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Beni Culturali Ecclesiastici, una ricchezza da valorizzare

Si è tenuta a Palazzo dei Sette la conferenza organizzata dall’ISAO 'Valore e Significato dei Beni Culturali Ecclesiastici'. La tematica interessa da vicino la nostra realtà, impregnata di testimonianze culturali preziosissime

Cultura

Orvieto, come tutto il territorio nazionale, è una realtà fortemente caratterizzata dalla presenza di beni culturali. Beni culturali che si diversificano poi in una grande varietà di tipologie: tecnicamente si parla di beni archeologici, architettonici, archivistici, librari, storico-artistici, ecc. E proprio questa presenza capillare del bene culturale fa sì che esso divenga elemento per così dire familiare, fortemente radicato nella vita sociale di ognuno di noi. É questo il punto focale del discorso tenuto da Mons. Giancarlo Santi, direttore dell’Ufficio per i Beni Culturali Ecclesiastici della CEI (Conferenza Episcopale Italiana) a Palazzo dei Sette ieri, 6 febbraio, in occasione della conferenza “Valore e Significato dei Beni Culturali Ecclesiastici”, organizzata dall’ISAO nell’ambito delle iniziative per l’anno accademico 2002/2003, che hanno come tema “Orvieto riscoperta”. Mons. Santi ha precisato più volte l’importanza del patrimonio culturale in Italia (in particolar modo di quello ecclesiastico, estremamente consistente, ma non conosciuto), non solo come bene da conservare, ma anche e soprattutto da “vivere” e da fruire e quindi, per prima cosa da recuperare.

Ormai da una decina di anni la CEI e lo Stato italiano si stanno attivamente muovendo per cercare di strappare all’oblio molto del patrimonio storico-artistico ecclesiastico, che tanto intensamente ha caratterizzato e caratterizza la nostra storia: basti pensare che, attualmente, in Italia esistono 226 diocesi e 26.000 chiese parrocchiali, per non parlare degli ordini religiosi, delle confraternite e delle associazioni che vanno a costituire un panorama estremamente vasto e variegato. D’altra parte, nonostante gli accordi tra Stato e Chiesa (due le intese importanti, nel 1996 e nel 2000) molta strada sembra ancora da percorrere. Se infatti la collaborazione tra la CEI e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali sta portando alla realizzazione di un censimento informatizzato del patrimonio ecclesiastico (probabilmente verrà portato a termine entro il 2005), le trasformazioni sono ancora troppo recenti per parlare di vera propria rivoluzione. Siamo in un momento di cambiamento, le potenzialità ci sono, ma i tempi di realizzazione sono lunghi. La Chiesa sta passando da una situazione di chiusura e di conflitto ad una collaborazione sempre più forte. Lo Stato, da parte sua, deve imparare ad investire di più in una risorsa che veramente può essere considerata il “petrolio” d’Italia: il patrimonio culturale.

L’articolo costituisce una sintesi dell’intervento di Mons. Santi. Chi fosse interessato a conoscere maggiori dettagli può scrivere una mail a valeriacioccolo@orvietosi.it

Pubblicato il: 07/02/2003

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