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Francesco Casorati. Il sogno e la realtà.

In esposizione a Palazzo dei Sette fino al 23 febbraio le opere di Francesco Casorati. Le sue immagini, pur suggerendo mondi irreali, diventano icona e metafora delle contraddizioni della vita quotidiana

Cultura

di Valeria Cioccolo

Prosegue a Palazzo dei Sette la mostra personale di Francesco Casorati: “La pittura salvata dal tempo”. Francesco, pittore anche per dinastia (è figlio del celebre Felice Casorati ), ha saputo tuttavia affrancarsi dall’eredità paterna assorbendo e rielaborando tutto ciò che i suoi numerosi viaggi e la sua curiosità gli hanno permesso di acquisire. Ne scaturisce una produzione estremamente originale e affascinante, come emerge dalle opere presentate ad Orvieto. L’osservatore, guardando le tele dell’artista torinese, viene subito “investito” da forti emozioni: la pittura è molto calda, i colori sono brillanti, i verdi, i rossi e i blu accesissimi colpiscono subito l’interlocutore. La pennellata è fortemente “materica”, caratterizzata da linee essenziali, geometriche, quasi infantili. Tuttavia l’apparente semplicità nasconde invece una profonda complessità. L’osservatore non può non continuare a immergersi nelle opere, per cercare di capirne il messaggio, catturato dal fascino di quei mari blu, dai voli meccanici di uccelli e farfalle, dai fili che si intersecano e si intrecciano senza mai dipanarsi. Perchè il mondo che ci presenta Casorati è un mondo onirico, fantastico, un mondo che si richiama alla fiaba e alla poesia, fuori dal tempo come ci suggerisce anche il titolo della mostra. Eppure il discorso va ben oltre queste prime impressioni. La sua diventa “metapittura”, una pittura cioè che parla di se stessa, che mette in risalto le proprie finzioni, i propri giochi. È una pittura bifronte, che presenta situazioni doppie, enigmatiche (assistiamo ad un fatto reale o sognato? alla rappresentazione di un evento accaduto o solo ad un racconto fantastico?). L’artista sembra sentire l’urgenza di rifugiarsi fuori della realtà, nella memoria, nel sogno, le immagini divengono giochi labirintici che portano a seguire vie favolose. L’equilibrio delle forme sprofonda, gli oggetti si appiattiscono e si dipanano in fili che si intrecciano. Ma se i quadri suggeriscono giochi di apparenze, nello stesso tempo vi troviamo sempre un richiamo a ciò che ci appartiene, a un particolare del quotidiano, a un oggetto conosciuto, inserito però in un racconto fantastico. È proprio qui che si coglie un non so che di inquietante. A ben vedere le immagini hanno un aspetto angoscioso. La superficie del quadro è sempre doppia, molteplice se non infinita. Le figure spesso si sovrappongono le une alle altre e ci mostrano aspetti completamente diversi tra loro, contrapposti con quelli che prima potevamo aver intuito. I colori, è vero, sono brillanti, rossi, blu accesi, verdi smeraldo, ma sono legati ad una visione di qualcosa intrappolato, che cade, o si disfà. I personaggi sono legati da fili che si annodano e si spezzano e lasciano cadere nel vuoto, o sono burattini impossibilitati a qualsiasi decisione propria. Il filo è, sì, un filo di speranza, un filo di Arianna che ci guida fuori dai labirinti, dalle difficoltà della vita, è il filo che non ci fa perdere la strada e la memoria di ciò che siamo. Ma nello stesso tempo esso si annoda intorno a noi, ci lega e ci impastoia nella cecità della nostra visione limitata. Le chiavi di lettura delle opere sono molteplici, dai quadri emerge l’ironia del pittore il suo invito a distaccarci da una realtà che è come un aquilone di cui teniamo le redini ma che non possiamo raggiungere veramente . E emerge sicuramente la critica al mondo in cui ogni giorno noi, uomini del nuovo millennio viviamo: ci sembra di capirlo e di dominarlo, ma ne siamo intrappolati perchè non riusciamo a cogliere di esso che pochi particolari.

Pubblicato il: 02/02/2003

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