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Maggioranza e opposizione in Orvieto: divergenze parallele

Ping pong#26 Non servono linee programmatiche se sono generiche, perché in questo caso rischiano di essere solo un paravento per governare senza dichiarare esplicitamente che cosa si vuol fare, come e perché, cioè affidandosi al vento che tira, a ciò che passa il convento, ecc. ecc. Parimenti non servono documenti di opposizione che con linee programmatiche così concepite fanno il paio per inconsistenza di analisi e di prospettive

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«È un programma di governo che sa tanto di programma elettorale. Di programma elettorale ne ha la vacuità, e le promesse che non potranno mai diventare realtà» (Da un documento del PD pubblicato su OrvietoSi il 6 marzo 2012"

Ci risiamo, il Direttore mi riaffida una palla tutta orvietana. Lo capisco, perché lui sa che i lettori preferiscono le questioni immediate a quelle generali. Preferiscono sentir parlare di Orvieto che dell'Italia e del mondo. Anzi, se fosse possibile, preferirebbero sentir parlare dei vicini di casa invece che della città. Tutto ciò è molto naturale.

Stando così le cose non mi resta che fare buon viso a un gioco che non posso definire cattivo, ma che m'imbarazza. E non certo per timidezza, ma perché in quelle linee programmatiche sbertucciate dal PD io ci sono dentro. Ho contribuito a costruirle e le ho approvate in consiglio comunale. Non dico che mi sono figlie e nemmeno sorelle, ma nemmeno mi sono estranee.

Superato l'imbarazzo con questa premessa vagamente ipocrita, provo a dire quello che penso. E se cerco di non offendere nessuno non è per opportunismo, ma solo perché offendere è peccato.

Intanto bisogna ricordare che cosa sono le linee programmatiche. Lo statuto comunale, conformandosi alla legge, prescrive  che «il sindaco, entro 90 giorni dal suo insediamento, sentita la giunta comunale, presenta al consiglio le linee programmatiche relative alle azioni e ai progetti da realizzare nel corso del mandato. Il consiglio comunale, con cadenza semestrale, nelle sedute in cui sono in esame il bilancio di previsione o il conto consuntivo, prima dell'approvazione degli stessi, oppure nelle sedute immediatamente precedenti, provvede alla verifica dello stato di attuazione delle linee programmatiche da parte del sindaco e dei singoli assessori. Il consiglio, in qualsiasi momento, con deliberazioni di indirizzo, può integrare, adeguare o modificare le linee programmatiche.»

Vale a dire che chi ha fatto la legge ha voluto imporre agli enti locali una dialettica piuttosto serrata tra il sindaco e la giunta, da una parte, e il consiglio comunale dall'altra. Cioè sindaco e giunta devono preannunciare ciò che intendono fare e il consiglio comunale non solo deve controllare che le azioni corrispondano alle promesse, ma può anche modificare le promesse. Non c'è bisogno di essere filosofi per arguire che le cosiddette linee programmatiche possono essere sommarie o dettagliate, puntuali o sfuggenti, sintetiche o prolisse, eleganti o sciatte, credibili o stravaganti. Non sono le linee programmatiche che tengono in piedi un'amministrazione comunale, bensì la scelta sintetica del sindaco di preferire di fare il sindaco piuttosto che l'ex sindaco e la scelta sintetica della maggioranza dei consiglieri comunali di non ritenere opportune nuove elezioni.

Ciò detto, le linee programmatiche recentemente presentate dal sindaco, mi sembra che appartengano decorosamente al genere. Non mancano di correttezza formale e sono generiche nei limiti del lecito. Anche perché ciò che il sindaco ha scritto non può essere avulso da ciò che ha fatto e sta facendo e dal credito che si è conquistato. Quel che non è scritto nelle linee programmatiche è scolpito nei fatti o circola nell'aria. L'opposizione attendeva e sollecitava da un bel po' le linee programmatiche, non certo per applaudire: l'opposizione non può che fischiare le linee programmatiche del sindaco. Quando non lo fa è perché non si sente opposizione. Come accadde subito dopo le elezioni, quando il centrosinistra approvò le linee programmatiche del sindaco di centrodestra. Ma i consiglieri del centrosinistra erano in quel momento ancora maggioranza e tenevano quindi il coltello dalla parte del manico. Non sapevano che dopo un anno il coltello sarebbe caduto loro dalle mani.

Ma il nucleo del problema è che «non si nasce imparati». Concina era un uomo di successo, ma non aveva amministrato mai una città. I suoi consiglieri comunali e i suoi assessori, quei pochi che avevano esperienza, se l'erano fatta all'opposizione. Hanno dovuto arrabattarsi in una città ridotta allo stremo dalla cattiva amministrazione e tarpata nelle sue speranze dalla recessione economica nazionale. Si ironizza sul fatto che cinque assessori hanno già mollato. Sarebbero meglio stupirsi perché ne è rimasto qualcuno. Saranno i prossimi mesi, non certo le linee programmatiche, a dimostrare se il sindaco e la maggioranza hanno maturato la capacità di fare con coerenza e con credibilità tutto ciò che è necessario e possibile.

Ma anche l'opposizione fu colta di sorpresa dal suo ruolo. Quei consiglieri avevano concorso con la sicurezza di vincere e chi di loro aveva esperienza amministrativa, se l'era fatta in maggioranza e in tempi di vacche grasse.

Ai colleghi dell'opposizione vorrei dare un consiglio non richiesto, ma che non potranno respingere sia perché è autorevolmente firmato sia perché mi vogliono meno male di quello che la gente pensa.

Antonio Giolitti, all'inizio degli anni Novanta, rivolgendosi all'opposizione di sinistra, fissò tre principi che il presidente Napolitano ha recentemente richiamato come vademecum della buona opposizione.

Primo, serve credibilità. «Bisogna essere capaci di esercitare l'azione di governo». Secondo: l'affidabilità. «Bisogna togliersi di dosso il sospetto di volersi insediare al potere come un'alternativa senza alternativa». Terzo:occorre offrire soluzioni praticabili. «Bisogna rendere realistico e convincente il perseguimento degli obiettivi, gli ostacoli da superare e la gradualità da adottare».

Il resto è noia.

Pier Luigi Leoni

E già, contano davvero solo quei tre principi di Antonio Giolitti per chi, trovandosi all'opposizione in quanto minoranza, vuole assumere ruolo di governo diventando maggioranza: credibilità, affidabilità, capacità di soluzioni realistiche. Che poi però sono anche i principi che contano per chi, essendo maggioranza, non vuole diventare minoranza e deve pertanto dimostrare di saper governare. Alla luce di ciò, io penso che ad Orvieto ci troviamo in una situazione che supera le più strane stranezze e che perciò pone il problema se sia semplicemente sensato discutere di quei tre sacri principi. C'è da chiedersi perfino che cosa avrebbe suggerito questa realtà ad un redivivo Fazio degli Uberti. Di che cosa si tratta?

Mi pare sia appropriata una descrizione del tipo che segue. Uno schieramento sicuro di vincere per aver sempre vinto effettivamente vince, ma in realtà perde perché, complici tante cose tra cui anche il sistema elettorale, una parte di esso fa vincere il sindaco dello schieramento avverso. Perciò, pur avendo la maggioranza e potendo decidere di annullare la vittoria del sindaco vincitore, si preoccupa soprattutto di non andare subito a nuove elezioni per il timore probabilmente fondato di diventare minoranza, e così opera con straordinaria abilità (è da ritenere inconsapevolmente) per diventare minoranza senza elezioni, ciò che avviene con una certa facilità nell'ottobre 2010 quando tre consiglieri passano dalla maggioranza alla minoranza facendola cosi diventare maggioranza e dando al sindaco quella sicurezza di poter governare che all'inizio gli mancava. Direi un meraviglioso esempio di "lungimiranza", che è bene mettere tra virgolette perché, trattandosi di modalità di pensiero e di azione di una maggioranza eletta che opera efficacemente per diventare minoranza senza elezioni, da qualcuno poco esperto di cose nostrane potrebbe essere scambiata indifferentemente per furbizia ineguagliabile o per dabbenaggine.

Tutti però si sono resi conto che la "lungimiranza" di una maggioranza che abilmente diventa minoranza per paura di diventarlo non trasforma di per ciò stesso la minoranza diventata maggioranza senza merito in una formazione capace di governare perché trova giusta ispirazione, idee adeguate alla bisogna e capacità realizzativa. Infatti non è accaduto, cosicché possiamo ben dire che ciò che è si vede. Anche ad Orvieto, dove prima di vedere ce ne vuole, tanto forti, perché tanto a lungo respirati, sono i fumi dell'ideologia e perciò tanto presenti le reazioni di pancia rispetto ai dettami della testa. Mi dispiace, ma devo dire a Pier Luigi che, se fino ad ottobre 2010 ero anch'io disposto non solo a riconoscere gli errori compiuti dal centrosinistra (pur tenendo sempre ben presenti le diverse responsabilità), ma anche ad attribuire all'inesperienza le difficoltà del centrodestra che già si vedevano di rispettare le promesse di risanamento e sviluppo, oggi trovo che insistere su questo tasto sia semplicemente deviante.

Così il recente discutere sul programma, sia per i modi che per i contenuti, a me appare essere la dimostrazione più chiara che rischiamo di avere come unica prospettiva il nulla, o per dabbenaggine, o per impreparazione, o per indifferenza mascherata da rassegnazione. Pier Luigi spiega da par suo che cosa si deve intendere per linee programmatiche del sindaco con riferimento alla legge e allo statuto comunale. E qui è bene fare punto, perché è esattamente così, nella forma e nella sostanza. Non c'è dubbio però che sapere esattamente quello che chi governa vuole fare, in quale modo, con quali risorse e in quali tempi, è essenziale e non derogabile. Come non c'è dubbio che un'opposizione che voglia essere tale, per diventare a sua volta governo, deve parimenti manifestare la sua visione e le sue proposte di soluzione dei problemi, che non ci possono essere senza una approfondita conoscenza della realtà e una vera apertura mentale. Il che significa che più prima che poi bisognerà trovare luoghi e modi per fare ciò che finora non si è riusciti a fare.

Qui sta appunto il mio timore che si possa lavorare per la prospettiva del nulla. Da una parte infatti le linee programmatiche del sindaco sono quelle che sono: qualche buono spunto in un mare di cose generiche e con alcuni aspetti francamente deprimenti (ad esempio su scuola e sanità), comunque nessuna visione strategica degna di nota. Dall'altra un lungo documento del PD, che a sua volta è quello che è: inutilmente polemico, nient'affatto propositivo e tanto meno strategico. D'altronde in tal caso come potrebbe essere altrimenti se il massimo della preoccupazione sembra essere contrapporre alla mancanza di progettualità del centrodestra una cosa come il "Progetto Orvieto", che chi ha scritto quel documento dimostra di non conoscere né negli autori, né nell'origine, né nel rapporto tra gli aspetti caratterizzanti, né soprattutto nella logica, arrivando perfino a mettere in relazione la nascita dei progetti di mobilità alternativa con il battesimo del movimento internazionale Città Slow avvenuto ad Orvieto nel 1997. Che dire di più? Tutto è così disarmante!

Mi sento perciò di concludere riaffermando per l'ennesima volta quelle che a me appaiono essere elementari verità. Non servono linee programmatiche se sono generiche, perché in questo caso rischiano di essere solo un paravento per governare senza dichiarare esplicitamente che cosa si vuol fare, come e perché, cioè affidandosi al vento che tira, a ciò che passa il convento, ecc. ecc. Parimenti non servono documenti di opposizione che con linee programmatiche così concepite fanno il paio per inconsistenza di analisi e di prospettive. Ci vogliono invece piattaforme essenziali, rigorose, coraggiose: idee strategiche, in quanto capaci sia di valorizzare ciò che è stato fatto ed esiste come portato di uno sforzo e di una visione di lungo periodo, sia di prospettare soluzioni innovative, adeguate rispetto al mondo di oggi e alla realtà effettuale che viviamo. Operazioni strategiche come il Progetto Orvieto non possono essere ridotte né a occasionali citazioni nella quotidiana lotta politica per la sopravvivenza, né a pezzi di storia stiracchiati da questo e da quello per reciproche convenienze. Si è trattato di cose serie, che hanno consentito operazioni di largo respiro e di sicuro valore, culturale, sociale e d economico.

Oggi si tratta semmai di riprendere la logica di quelle idee, al di là delle singole soluzioni, che evidentemente vanno dimensionate su ciò che è cambiato in termini di bisogni del futuro. Ci vogliono però nel contempo classi dirigenti che quelle idee sanno maneggiare e realizzare. Ci si riuscirà? Mah, so solo che c'è un gran lavoro da fare.

Franco Raimondo Barbabella

Pubblicato il: 12/03/2012

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