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La politica locale: merita ancora che ne parliamo, ed eventualmente come?

Ping pong #21 "Lo sport preferito dalla classe dirigente locale è discutere per non discutere, per cui le idee e le iniziative, più che stimolarle, conta smorzarle, metterle a tacere, far finta che non ci siano. Ma si sa che ci sono". "Gli Orvietani sono in grado di insegnare come si campa senza eccessi rigoristici di stampo nordico e senza rilassatezza mediterranea"...

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"Questa consiliatura, pur provvista di ottime personalità, non riesce a decollare e sembra restare basita di fronte a un destino avverso e alle difficoltà congiunturali, producendo solo un livello di confronto tra partiti,  quello imperante oggi a  Orvieto,  che, se si potesse descrivere con un odore lo si potrebbe confondere facilmente con quello pungente di una vecchia maglia infeltrita acquistata in un outlet di periferia. 'Adda passà a nuttata!'" (Da una nota di Massimo Gnagnarini su OrvietoSi del 31 gennaio 2012).

Il Direttore non s'impietosisce. Nonostante i miei disperati appelli, ritorna sempre sulla politica locale. La scorsa settimana, essendoci stato proposto il tema della droga, ho tirato un sospiro di sollievo. Ma mi è sorta spontanea una domanda: «Se il dramma della droga, col coinvolgimento anche di giovani figli di amici, mi dà meno angoscia della politica locale, c'è qualcosa che non va. O la mia sensibilità umana è del tutto evaporata o l'intossicazione della politica locale è più penosa delle tossicodipendenze». Spero in una terza ipotesi: non ci sono più parole; le abbiamo finite; siamo un po' tutti diventati ripetitivi. Vale per me, ma anche gli altri non scherzano. Non solo non ci sono più risposte, ma non ci sono più domande. Questa affermazione del mio amico Massimo Gnagnarini, messa dal Direttore sul tavolo del ping pong, è una palla che non rimbalza. Sono sicuro che se ne rende conto lo stesso Massimo, che scrive per segnalare che c'è, come il pescatore subacqueo mette la boa. Ma il suo lavoro è prevalentemente sommerso; e credo che sia un buon lavoro. Dice Massimo: «Questa consiliatura, pur provvista di ottime personalità ecc.». Perché non ha raccolto l'imprecazione popolare secondo la quale quelli che stanno in comune sono un branco d'imbecilli? Ma perché il suo è il linguaggio della politica, non della strada. E poi deve salvare almeno me, che sono suo vecchio amico, aduso ad attaccarlo qualche volta in pubblico (quando è per il suo bene) ma a difenderlo sempre in privato. E deve salvare il suo amico di partito Piergiorgio Pizzo, compagno di pesca subacquea.

Nonostante queste riflessioni, la palla non rimbalza, e allora, in attesa che Franco la ripari col suo efficace attack, provo a cercare le ragioni di questo clima e a ipotizzare come se ne può uscire. È la solita manfrina del pessimismo della ragione e dell'ottimismo della volontà.

Ho l'impressione che gli amministratori comunali, i partiti e la collettività orvietana intera siano tramortiti dalla delusione e dalla paura. Delusione delle sinistre per l'emersione dei guai provocati da decenni di leggerezza amministrativa. Delusione dei moderati per le difficoltà in cui si dibattono un sindaco e una maggioranza a cui si erano affezionati. Paura dei riflessi della crisi economica generale, della disoccupazione che incombe, della povertà che ha cominciato a mordere moltissime famiglie. Perfino le lavoratrici e i lavoratori extracomunitari sono angosciati perché sanno che si va restringendo lo spazio della loro indispensabilità.

Dove risiede la speranza? Un po' nella ripresa economica, nella quale ci fanno sperare la ormai assodata consapevolezza dei pubblici poteri continentali e nazionali e l'andamento ciclico dei fenomeni economici. Ma la ripresa, quando arriverà, non partirà da economie deboli, come quella del nostro territorio, che non sono attrezzate per produrre beni e servizi esportabili. La ripresa di Orvieto non può che basarsi sulla messa a reddito del suo patrimonio contenuto in tre forzieri:

-       il forziere della collocazione geografica, perché Orvieto è collocata in una fascia di clima temperato, è servita da eccellenti linee terrestri di comunicazione, ha un grande aeroporto internazionale a 100 minuti di strada, il mare e la montagna a 80 minuti, il lago a 20; la densità della popolazione del suo territorio (75,2 abitanti al Km2 rispetto ai 201,57 dell'Italia) rivela che c'è abbondante territorio salubre e comodamente accessibile da valorizzare; inoltre ha un centro antico collocato su un acrocoro tufaceo di singolare bellezza;

-       il forziere della storia, con i relativi giacimenti culturali, universalmente conosciuti e apprezzati;

-       il forziere dello stile di vita orvietano con la civiltà dei suoi abitanti, il saper convivere pacificamente, l'ospitalità, il gusto nel vestire, nel mangiare e nel divertirsi.

Gli Orvietani sono in grado di insegnare come si campa senza eccessi rigoristici di stampo nordico e senza rilassatezza mediterranea. Chi ha girato un po' il mondo sa che non è facile trovare stili di vita così equilibrati. È uno stile che affascina tutto il mondo e soprattutto quell'appendice dell'Europa, largamente influenzata dai migranti italiani, che sono le Americhe, coi loro 800 milioni di abitanti.

Credo che lo stile di vita orvietano dovrà essere sempre più al centro delle nostre attenzioni per la sua promozione e la sua valorizzazione.

Quando, alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, i miei genitori, che non avevano proprietà cospicue, decisero di lasciare un paese della Tuscia viterbese, troppo lontano dagli istituti scolastici necessari per i figli, scelsero Orvieto. Avevano la possibilità di spostarsi in qualunque città d'Italia. Scelsero Orvieto e non mi risulta che se ne siano mai pentiti.

Pier Luigi Leoni

E' vero, il quadro della politica locale che Massimo Gnagnarini descrive in modo pungente come il freddo di queste nevose giornate della lunga merla e che il nostro Direttore ci propone di commentare è da depressione irreversibile. Capisco perciò la reazione di Pier Luigi, che prova un senso di ripulsa, parla di intossicazione "più penosa delle tossicodipendenze" e ne dà una spiegazione drastica, direi drammatica: "non ci sono più parole; le abbiamo finite; siamo un po' tutti diventati ripetitivi Non solo non ci sono più risposte, ma non ci sono più domande". E' come dire che siamo ormai alla traversata del deserto, ed è un'immagine certamente estrema, ma efficace.

Poi però lo stesso Pier Luigi accetta di parlarne e ne cerca sia le cause che i rimedi possibili, con ciò dimostrando che le parole in realtà ancora ci sono, e con esse sia le domande che le risposte. Dunque di fatto la pallina rimbalza, eccome se rimbalza! Perciò il mio compito non è così arduo come mi si era prospettato ad un primo contatto con il tavolo da gioco: non c'è bisogno di riparare la pallina con una colla speciale a presa rapida, che essendo fatta necessariamente di parole non potrebbe essere diversa da una riparazione alla bell'e meglio. E penso che di tutto ormai ci sia bisogno tranne che di operazioni di maquillage, tale è lo stato delle cose. Perché appunto anche secondo me l'immagine corrisponde alla realtà e però, come di fatto fa Pier Luigi, se ne può parlare, sia perché soggettivamente non se ne può fare a meno, sia perché oggettivamente è necessario.

Allora veniamo al sodo e chiediamoci anzitutto che cosa indichi il fatto che sulla politica locale abbiamo in molti l'impressione che ormai si sia detto tutto, e di conseguenza, non potendosi aggiungere nulla di nuovo, tutto ciò che d'ora innanzi si dirà sarà inevitabilmente ripetizione del già detto. La risposta è assolutamente semplice: è solo un'impressione, ma - e questo è il punto - è un'impressione vera. E l'impressione deriva dal fatto che lo sport preferito dalla classe dirigente locale è discutere per non discutere, per cui le idee e le iniziative, più che stimolarle, conta smorzarle, metterle a tacere, far finta che non ci siano. Ma si sa che ci sono. E, come con le idee, si gioca con le persone: si fa finta che non ci siano persone preparate all'altezza dei problemi da affrontare. Ma parimenti si sa che ci sono.

Si dirà: storia antica, ed è vero. Ma è anche storia recente. E allora ad ognuno toccherebbe riflettere sul perché dalle nostre parti i cambiamenti sono solo di facciata: dopo l'illusione di un qualche tempo (che peraltro ormai si rivela sempre più corto, forse perché la crisi che morde non ha tanto fatto diminuire gli ingenui quanto piuttosto i furbi o presunti tali) ci si accorge che chi ha raggiunto le sfere di comando (piccolo o grande che sia) tende a fare solo ciò che conserva il potere, non ciò per cui il potere trova giustificazione, che è e resta il bene di tutti, quello che con espressione mai desueta si chiama appunto bene comune.

Il presidente Mario Monti ha detto che nel nostro Paese c'è poca propensione al cambiamento, ed è certamente vero: quando tocchi qualcosa che rischia di modificare in un senso o nell'altro la tua posizione, sono guai. Per questo si parla di caste e di castine di una società infeudata, giù giù a cascata, proprio come nella società feudale. Da qui anche la politica labirintica, mai chiara, mai progettuale, mai capace di grandi sfide, squarci e prospettive che parlino insieme alla testa e al cuore. Ed anche l'attendismo, per cui solo quando c'è il morto ci si accorge del problema. E che il morto sia una persona, una città o uno stato, poca differenza fa.

Questo discorso si attaglia alla nostra condizione, voglio dire quella orvietana? Io penso proprio di sì. Con l'aggravante però che qui mi pare non si tenti nemmeno di pensare a come porvi rimedio. Anzi, se c'è qualcuno che poco poco ci prova, se non incontra un "vade retro Satana" come minimo viene semplicemente ignorato. E non si dica che si è in attesa di come va lo spread, ché in realtà, se capita di poterlo fare, hai voglia se si tenta di fare delle cose!  Ma così, aumm' aumm', senza idee portanti, senza linea di tendenza, senza progetto e strategia.

Pier Luigi dice, e giustamente, che Orvieto ha notevoli potenzialità, e ne elenca alcune. Naturalmente ce ne sono anche altre, ma ora non è questa la questione. La questione è la classe dirigente, il tipo di cultura politica e la disponibilità delle persone a ragionare sulle cose e non sugli schieramenti. Iniziammo a ragionare di questo più di due anni fa con la rubrica "A destra e a manca" e traducemmo poi quei nostri ragionamenti da una parte, insieme ad altri amici (come noi preoccupati di come eravamo e siamo conciati, e però anche di come uscirne), nella fondazione del COVIP (non a caso subito ostracizzata), e dall'altra in vere e proprie iniziative politiche che parlavano di assunzione comune, seppure temporanea, di responsabilità di governo, per risanare il bilancio, raggiungere la stabilità, riprendere fiducia e guardare al futuro.

Com'è noto questa iniziativa fu fatta scientemente fallire, tanto era dirompente per chi è abituato ai giochi di potere e non alla soluzione dei problemi della comunità. Mi chiedo: ma è proprio un lusso per noi e per i nostri figli sperarci? So che oggi quel tipo di iniziativa non può essere riproposta, ma perché metterne da parte la logica che ad essa era sottesa? Io non più tardi di due settimane fa ho lanciato l'idea che il Sindaco attuale prenda la situazione in mano, azzeri la Giunta, ne nomini una tecnica a sua libera scelta, come è in suo potere fare, elabori una coraggiosa piattaforma programmatica, vada in Consiglio e lì cerchi la sua maggioranza per attuarla. Proposta regolarmente ignorata. Legittimo, naturalmente. Ma, oltre alle schermaglie inconsistenti e davvero insopportabilmente ripetitive, resta solo l'attesa di non si sa che cosa e non si sa in quali tempi, o vogliamo ancora esercitare la nostra intelligenza per non morire noi di inedia e per non far morire la nostra città, non di noia soltanto, ma di crisi vera, che inevitabilmente si incancrenisce e ci incancrenisce? Non dice nulla sul modo di essere classe dirigente l'approccio ai nuovi-vecchi problemi di salvaguardia del patrimonio storico-ambientale del nostro masso tufaceo, con ciò che ci sta sopra e sotto? E non dice nulla il modo, a mio parere egualmente tragico (anzi, ancor di più, perché questo avviene, oltre tutto, nell'incompetenza e nell'indifferenza generale), di affrontare i problemi della riorganizzazione del sistema scolastico in Umbria e nel caso specifico ad Orvieto (si badi bene, una riorganizzazione voluta da una legge dello Stato! E però prima ancora dalla logica e dal buon senso!)? Su queste questioni leggo al massimo interventi in politichese spinto. Ma che ci si aspetta, che qualcuno ci tolga le castagne dal fuoco? Ci si aspetta che il futuro ce lo regalino altri per grazia ricevuta? Badate che nessuno lo farà, nessuno si assumerà gratuitamente la supplenza di noi stessi!

Franco Raimondo Barbabella


Ping Pong è la rubrica di Orvietosì curata da Franco Raimondo Barbabella e Pier Luigi Leoni. Un appuntamento del lunedì in cui i due nostri "amici" raccontano la loro su una frase apparsa sul nostro giornale durante la settimana, una palla che io lancio ad uno dei due e che loro si rimpallano. Ci auguriamo che questo gioco vi piaccia e si ripeta il successo di "A Destra e a Manca". Naturalmente tutti i lettori sono invitati la tavolo di Ping Pong. Basta inviare una e-mail a dantefreddi@orvietosi.it 

Questa è la puntata n°21

Pubblicato il: 06/02/2012

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