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Droga. Un no detto nel modo giusto e al momento opportuno, e una carezza senza chiedere nulla in cambio sono gesti importanti che vanno compiuti da chi ne ha titolo

Ping pong #20 Nel 2003 "Operazione CAOS", oggi "Fiesta 2011", nomi fantasiosi di interventi delle forze dell'ordine su una realtà che al contrario si presenta, ed in genere è, proprio carente di fantasia

foto di copertina

"Primi interrogatori in carcere e prime parziali ammissioni per i ragazzi, undici in tutto, arrestati giovedì mattina ad Orvieto al termine dell'inchiesta "Fiesta 2011", partita nel luglio 2010 e che ha portato anche ad altri sei provvedimenti restrittivi, 61 denunce e 145 segnalazioni per assunzione di sostanze stupefacenti". (Da una notizia pubblicata su OrvietoSi il 21 gennaio 2012)

Nel 2003 "Operazione CAOS", oggi "Fiesta 2011", nomi fantasiosi di interventi delle forze dell'ordine su una realtà che al contrario si presenta, ed in genere è, proprio carente di fantasia. Senza riferimento ai giovani delle due operazioni sopra citate, che sono ancora da giudicare e magari sono in condizioni diverse, penso però che in generale si possa dire che chi assume sostanze e soprattutto chi spaccia non solo non ha fantasia, ma si brutalizza con operazioni di fuga dalla realtà che è difficile immaginare di più banali e dannose. E' come se cercasse un'autopunizione.

Ma autopunizione perché, derivante da quale sentore di "peccato"? Io credo che il "peccato", più che materiale o spirituale in senso totalizzante, sia di natura psicologica: la consapevolezza, magari solo latente, di non essere in grado di crescere, di essere cioè persone autonome e quindi responsabili per sé e per gli altri. Ed è noto che questa condizione di difficoltà a sentirsi ed essere responsabili, questa debolezza e fragilità della personalità, non è frutto di un destino cinico e baro, ma di determinati processi di strutturazione del carattere che avvengono in un certo ambiente umano, scolastico, culturale e sociale. Si tratta di fenomeni studiati a fondo dalle scienze sociali, le cui analisi e i cui risultati sarebbe un gran bene che fossero più conosciuti e utilizzati per fare politiche serie, continuative, e appunto scientificamente fondate, mentre spesso si fanno solo discorsi superficiali e si adottano strategie che non sono affatto tali, ma solo risposte immediate a pulsioni e pregiudizi.

Fuga dalle responsabilità dunque. Però sarebbe forse anche il caso di chiedersi: fuga da chi e da che cosa? Io direi fuga anzitutto proprio dagli ambienti e dalle persone con cui impatta la vita quotidiana, visti spesso entrambi come insoddisfacenti, come incapaci di rappresentare punti di riferimento attendibili, credibili. E poi senso di estraneità ad un mondo che si presenta non semplicemente come mondo degli adulti, ma di adulti che il più delle volte blandiscono i giovani senza riservare loro spazi di vita significativi, e come mondo ferocemente competitivo che spesso scoraggia la speranza di farcela anche con i sacrifici più duri. E' chiaro che di fronte a ciò un carattere debole il più delle volte si arrende.

Da ultimo c'è quella che tutti chiamano la ricerca dello sballo, ma che resta quasi sempre qualcosa di misterioso perché sembra difficile da capire e da definire nella sua natura e nelle sue cause. In realtà essa si compone di due aspetti tra loro connessi, che a loro volta sono tasselli del mosaico di cui fanno parte anche gli altri indicati prima: la vita di gruppo (che può arrivare alla logica del branco) e la ricerca di emozioni estreme ottenute con stimoli dall'esterno (ad es. con assunzione di sostanze). In definitiva ci si fa comandare da ciò che è fuori, con il risultato dell'ottundimento della capacità di autogenerazione e di controllo del proprio sistema emozionale.

Ho introdotto queste riflessioni non certo con l'intento di cercare giustificazioni a comportamenti sbagliati, né con quello di attribuire a soggetti indeterminati (come la società o il mondo in cui viviamo) responsabilità che sono invece personali, degli individui che quei comportamenti tengono e per i quali nel caso pagheranno. Le ho introdotte perché, se si vuole ragionare sul serio, fenomeni come questi, che sono fenomeni sociali e culturali complessi, non possono essere né capiti né tanto meno efficacemente affrontati con le consuete semplificazioni, che sanno tanto di meraviglia ipocrita e spesso anche di solidarietà un po' pelosa.

Chi si meraviglia che ad Orvieto il fenomeno del consumo di droghe ci sia da tempo e si sia diffuso, e insieme ad esso quello dell'alcool, come minimo ha la memoria corta o è abituato a girarsi dall'altra parte qualunque cosa accada. Orvieto sta in questo nostro mondo e i nostri giovani sono immersi a pieno nell'atmosfera di oggi, con tutti i suoi stimoli positivi, le sue opportunità, e insieme però i limiti, i problemi, le tentazioni, i pericoli.

Il punto è la capacità dell'individuo di rendersi conto di che cosa comporta un'azione e la sua forza di fare scelte corrette, che non fanno correre pericoli né a se stesso né agli altri. Per giungere a questo risultato non basta essere informati dei pericoli delle droghe, dell'alcool o delle devianze in genere. Ci vuole qualcosa di più e di diverso: la fiducia in se stessi, l'autostima, l'autonomia intellettuale e affettiva. Cose che nessuno ha mai regalato, cose che ciascuno conquista a duro prezzo, e non è affatto detto che ci riesca.

Chi lo può aiutare? Tutti, per un verso o per l'altro, a seconda dei ruoli. Ma nella realtà lo si fa? In parte, ma appunto non in modo sufficiente e sistematico. Per questo mi appare oggi straordinario il fatto che proprio in questi giorni abbia preso avvio un progetto di educazione affettiva che coinvolge ben 380 studenti sedicenni di tutte le scuole secondarie di secondo grado di Orvieto, cioè le 19 classi terze dei tre istituti operanti nel nostro territorio. Il progetto è finanziato dalla Fondazione CRO, è sostenuto dal Comune di Orvieto, ed è attuato con procedure scientificamente controllate dal dott. Stefano Pieri, psicoterapeuta legato da tempo al nostro territorio, noto per il suo impegno sociale. Il suo scopo è appunto di favorire nei giovani sedicenni del territorio orvietano la conquista di livelli adeguati di dinamismo, controllo e gestione, del proprio sistema affettivo-emozionale. Si sa infatti che questa è la via per staccarsi dalle dipendenze affettive, e di conseguenza (ma non si tratta certo di un processo meccanicistico) anche dalle altre dipendenze.

Funzionerà? Lo vedremo a consuntivo delle complesse e lunghe attività programmate. Possiamo però dire fin d'ora che qualcosa si muove anche dalle nostre parti, sempre così lente non solo a rendersi aperte a capire come gira il mondo, ma soprattutto a darsi da fare con tempestiva determinazione e con assunzione di responsabilità da parte di chiunque debba svolgere un ruolo nella crescita dei giovani. Questa volta la sfida è stata raccolta: è partita dal basso verso l'alto, ma poi dall'alto torna vero il basso. Insomma, al contrasto delle forze di polizia e della magistratura, si affianca la prevenzione delle istituzioni educative e degli enti locali. Ci si augura però che a seguito di tutto questo movimento accada qualcosa di significativo anche all'interno delle famiglie e nella società largamente intesa. Senza pretese di insegnare qualcosa a qualcuno, e soprattutto senza voler colpevolizzare nessuno, se mi venisse chiesto un consiglio, direi così: un no detto nel modo giusto e al momento opportuno, e una carezza senza chiedere nulla in cambio sono gesti importanti che vanno compiuti da chi ne ha titolo. I genitori sono ovviamente i primi. Ma anch'essi devono sapere che si tratta di una conquista, difficile sì, ma non impossibile. La palla a Pier Luigi.

Franco Raimondo Barbabella 

L'inchiesta "Fiesta 2011" colpisce nel cuore la società orvietana svelando ciò che si sapeva e ciò che non era difficile immaginare. Poiché si tratta di stupefacenti, l'argomento è pesante e merita di essere affrontato sotto molteplici aspetti. Il prof. Barbabella ha lucidamente impostato un approccio sociologico, psicologico e pedagogico. Approccio giusto perché ispirato dall'amore per i giovani e animato dalla volontà di capire e di intervenire per migliorare.

L'avvocato Fausto Cerulli, in un corsivo, affronta il tema con un esordio ironico scrivendo che «la magistratura orvietana ha dato il via ad una nuova operazione contro il commercio della droga. Arresti, perquisizioni, indagini serrate, probabilmente centinaia e centinaia di intercettazioni telefoniche. Una maxi operazione, come si suol dire Anni fa la stessa magistratura dette il via alla cosiddetta operazione Caos. Anche in quel caso sembrava che la giustizia avesse individuato una rete di spaccio colossale, con centinaia di indagati e moltissimi imputati. Anche allora un colossale tam tam mediatico; poi l'operazione finì quasi nel nulla. Pochissimi condannati, e condannati a pene lievi, e tutti coperti dalla sospensione condizionale della pena: un grosso giro di soldi per avvocati, in una città in cui gli avvocati, in proporzione al numero degli abitanti, sono più numerosi di quelli di Roma. È un grosso segnale, magari inconsapevole, a chi minacciava e ancora minaccia di sopprimere il Tribunale di Orvieto. Come si fa a sopprimere un Tribunale che mette in moto operazioni di così vasta rilevanza?» Ma subito Fausto mette le mani avanti: «Intendiamoci; non voglio assolutamente criticare l'operato della locale Procura, che compie il proprio dovere di promuovere l'azione penale».

Ebbene, quando si usa dell'ironia, si dà un significato ulteriore alle frasi. Significato che in questo caso è prudente non rendere esplicito. Ma Fausto, dopo essersi cavato quel bel sassolino dalla scarpa, affronta il tema sotto l'aspetto giuridico, sposando la nota teoria della liberalizzazione delle droghe, e sotto l'aspetto politico, con frasi di struggente fede comunista. «Noi abbiamo dimenticato la politica vera,» scrive Fausto «quella che ci teneva impegnati in un compito utopico ma galvanizzante; quello di lottare per un mondo diverso, migliore o peggiore non so, comunque diverso. Abbiamo perso il mordente, il gusto della sfida, ci siamo accomodati nella poltrona del meglio non pensarci, e abbiamo imparato a stare alla finestra che si affaccia sul nullaIo sogno un mondo in cui i giovani non siano spinti a drogarsi dalla mancanza di interessi concreti, di prospettive gratificanti, di voglia di lottare contro di chi li vuole stupefatti. Non dobbiamo criminalizzare questi giovani senza avere prima il coraggio e l'onestà di criminalizzare noi stessi A rischio di essere o sembrare retorico, voglio dire che dobbiamo recuperare, noi per primi, la fiducia in noi stessi e nella nostra capacità di cambiare questo mondo orrendamente stupefatto. La droga siamo noi, la generazione degli stupefatti e degli accomodati accomodanti.  Occorre, lo dico e lo ripeto a me stesso prima che ai miei trentacinque lettori, una ventata di comunismo, o quanto meno una brezza di anticonsumismo». 

A me non resta che l'approccio religioso. Infatti,  a parte le patologie del sistema nervoso, l'assunzione di droghe, pesanti e leggere, compresi alcool e tabacco, così come gli eccessi alimentari e sessuali, sono manifestazioni della ricerca spasmodica di felicità. Quella felicità che gli esseri umani desiderano sopra ogni cosa, con una tensione talmente forte che distrugge l'individuo qualora egli non approdi alla scoperta del senso della vita.

Ora mi sembra evidente (e qui concordo con Fausto) che la mentalità consumistica, fomentata con una pubblicità commerciale ossessionante, abbassi il livello della riflessione dell'uomo sul proprio destino e su quello dell'umanità. Ma il comunismo materialista, non avendo mai mantenuto ciò che promette, non è una risposta.

Allora dobbiamo rassegnarci?

Mai e poi mai. Perciò aderisco alle sagge e preziose riflessioni di Franco, alle quali però non posso fare a meno di aggiungere la celebre preghiera di Thomas More: «Signore, dammi la forza di cambiare le cose che posso cambiare, dammi la forza di accettare le cose che non posso cambiare, e dammi l'intelligenza di capire la differenza».

Pier Luigi Leoni


Ping Pong è la rubrica di Orvietosì curata da Franco Raimondo Barbabella e Pier Luigi Leoni. Un appuntamento del lunedì in cui i due nostri "amici" raccontano la loro su una frase apparsa sul nostro giornale durante la settimana, una palla che io lancio ad uno dei due e che loro si rimpallano. Ci auguriamo che questo gioco vi piaccia e si ripeta il successo di "A Destra e a Manca". Naturalmente tutti i lettori sono invitati la tavolo di Ping Pong. Basta inviare una e-mail a dantefreddi@orvietosi.it 

Questa è la puntata n°20

Pubblicato il: 30/01/2012

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