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La relazione di Mons. Crociata, Segretario Gen. Cei, al Ritiro del clero della diocesi di Orvieto-Todi

Tema "L'educazione dei giovani alla buona vita del Vangelo sotto l'aspetto dei sacramenti dell'Iniziazione cristiana"

Si è svolto ieri mattina il ritiro mensile con la partecipazione numerosa del Clero della Diocesi di Orvieto-Todi presso la Casa diocesana di Spagliagrano.

Dopo la preghiera dell'Ora Media, l'Arcivescovo Marra nell'omelia sulla Lettura breve ha posto in risalto l'esigenza della comunione che trova fondamento nell'amore scambievole. Dopo l'Adorazione e la benedizione eucaristica, i partecipanti all'incontro si sono portati nel salone dei convegni per ascoltare la Meditazione di Sua Ecc. Mons. Mariano Crociata, Segretario Generale della Cei che ha svolto il tema: "L'educazione dei giovani alla buona vita del Vangelo sotto l'aspetto dei sacramenti dell'Iniziazione cristiana".

Mons. Marra dopo aver espresso il compiacimento per la costante, larga partecipazione dei sacerdoti  ha  salutato con espressioni di calorosa e fraterna amicizia Sua Ecc. Crociata che ha svolto la sua riflessione.

Il contesto del ritiro mensile conferisce alla mia proposta di riflessione - ha detto Mons. Crociato in apertura della sua riflessione -  il tono prevalente di una meditazione. Mi sollecita in tal senso anche la relazione tenuta da mons. Marra all'assemblea diocesana dell'ottobre scorso, che fissava i termini del rapporto tra iniziazione cristiana e educazione. Mi pongo pertanto in continuità con quelle indicazioni, nella fiducia di accompagnare e sostenere il vostro impegno pastorale di presbiteri.

Il clima di meditazione mi permette - ha soggiunto - di porre l'accento su un aspetto che, comunque, ha un rilievo oggettivo anche quando parliamo della educazione cristiana in termini di pedagogia religiosa. Per questo motivo, mi viene spontaneo prendere spunto dal brano del Vangelo di Giovanni (1,35-42) che è stato proclamato domenica scorsa. Il ruolo decisivo che vi svolge Giovanni Battista in rapporto ai suoi discepoli consente di prenderlo a modello di educatore. Egli si presenta come colui che sta portando a compimento la missione di preparare la strada al messia che viene. La lunga attesa si consuma nell'atto del riconoscimento di Gesù, nell'indicazione di lui ai suoi discepoli e nel conseguente invito a seguirlo.

L'educazione è l'accompagnamento verso il riconoscimento e l'incontro con una presenza. La circostanza che da a pensare è che Gesù è già presente, ma non è visto, non viene ancora identificato né riconosciuto. All'educazione questo aspetto della pagina evangelica ha molto da dire, perché fa capire che educare non è aggiungere, sovrapporre, inserire dentro, costringere, o altro di simile. Da parte dell'educatore si richiede innanzitutto la convinzione che ciò che deve essere portato a maturità è già presente nell'educando, non si deve inventare. Questo vale già sul piano semplicemente umano (che non è altra cosa da quello cristiano). Gli elementi necessari per diventare persona, i fattori costitutivi della sua personalità, un bambino o un ragazzo o un giovane ce li ha già, non li deve cercare fuori di sé. Solo che senza un percorso educativo, quegli elementi non è in grado di coglierli e di svilupparli da sé. In questo senso è decisivo il ruolo dell'educatore. Egli ha il compito fondamentale di far incontrare chi sta crescendo con se stesso e nello stesso tempo anche con gli altri, di far  riconoscere la propria umanità avendola vista realizzata in un altro, di imparare ad assumerla in prima persona, di diventare consapevole e responsabile delle proprie scelte e decisioni, e dell'orientamento da dare alla propria vita. Per incontrare Cristo, per riconoscerlo presente nella propria vita, c'è bisogno di qualcuno che già lo abbia incontrato, lo conosca, lo frequenti. C'è bisogno di un testimone. L'educatore è innanzitutto un testimone. Non a caso è questo il titolo che il Vangelo di Giovanni soprattutto conferisce al Battista. Non solo il prologo, ma anche il seguito qualifica tutta la sua missione come «testimonianza» (1,19).

Gli Orientamenti pastorali dei Vescovi italiani per il decennio Educare alla vita buona del Vangelo riservano -ha precisato Mons. Crociata - adeguata attenzione alla dimensione testimoniale dell'educazione. Il paragrafo 29 è dedicato interamente a questo tema:

"L'educatore è un testimone della verità, della bellezza e del bene, cosciente che la propria umanità è insieme ricchezza e limite. [] Educa chi è capace di dare ragione della speranza che lo anima ed è sospinto dal desiderio di trasmetterla. [] L'educatore compie il suo mandato anzitutto attraverso l'autorevolezza della sua persona. Essa rende efficace l'esercizio dell'autorità; è frutto di esperienza e di competenza, ma si acquista soprattutto con la coerenza della vita e con il coinvolgimento personale".

Vero educatore è, allora, chi è stato docile verso i suoi formatori e non cessa mai di educare se stesso, forgiando senza posa la propria persona nella libertà. Bisogna mostrare sul campo come si è maturi, persone adulte e responsabili. Il solo fatto che ci siano persone così, ha una efficacia educativa straordinaria sulle nuove generazioni.

Noi preti siamo i primi educatori. Lo siamo per il ministero che abbiamo ricevuto, e lo siamo per la responsabilità che portiamo dentro le nostre comunità. Per quanto i sacramenti che celebriamo abbiano efficacia ex opere operato, noi saremo veri educatori se viviamo come se tutta l'efficacia della nostra azione dovesse dipendere dalla coerenza della nostra vita. Due aspetti soltanto vorrei mettere in evidenza tra le caratteristiche che fanno di un sacerdote un vero educatore.

La prima è la capacità di attrarre e di richiamare, la seconda è la capacità di lasciare liberi e lasciar andare.

La capacità di attrazione del presbitero non è verso la propria persona, ma verso la ragione ultima e l'anima profonda della sua vita, e cioè l'amore per il Signore, per la sua parola e per l'unione con lui e la sua volontà, nella Chiesa.

Chi è libero da sé e proiettato sul Signore crea comunità nella libertà, ed è capace di spingere ad andare oltre, altrove, verso altri, perché aiuta a riconoscere e ad andare dove chiama veramente il Signore. Per far questo bisogna che siamo anche noi persone libere per il Signore, mai catturabili da niente e da nessuno, ma capaci di donarci a tutti e di coltivare in questa libertà per il Signore relazioni autentiche e comunità compatte attorno al Signore.

In realtà l'incontro con Gesù - ha detto - si configura come l'incontro con il vero educatore e maestro, la guida insuperabile che conduce alla piena maturità. Così commentano gli Orientamenti pastorali questo passo evangelico al n. 25:

La meta del cammino cristiano è dunque l'incontro con Gesù e la comunione con lui. Il nostro servizio educativo deve comunque condurre a imparare questo rapporto personale con Gesù, da ascoltare, da obbedire, da amare, da contemplare, da assimilare nella fede e nel sacramento, da far rivivere nella propria vita e nella fraternità cristiana. Dimorare in lui è camminare nella vita in modo nuovo.

A questo dovrebbe condurre l'iniziazione cristiana. Sentiamo, non senza pena - ha sottolineato Mons, Crociata - tutta la distanza che presenta la condizione in cui versa tante volte questa fase così centrale di tutta l'azione della Chiesa. Dobbiamo certamente fare i conti con la situazione sociale, culturale ed etica in cui vengono a trovarsi i bambini, i ragazzi e i giovani di oggi. Una situazione che, via via che crescono, sono essi stessi a contribuire ad alimentare e, a volte, ad aggravare. Di che cosa c'è bisogno? Che cosa dobbiamo fare? Bisognerebbe innanzitutto respingere l'illusione che ci sia una formula, una ricetta, che abbia potere risolutivo. Dobbiamo metterci in testa che i problemi sono complessi e i tempi lunghi. Bisogna armarsi di pazienza e di coraggio, ma anche di passione e di speranza, cose che non possono semplicemente scaturire da ciò che osserviamo attorno a noi, ma dalla visione che la fede ci ispira e dalla forza che essa ci dona nella grazia dello Spirito Santo per guardare e agire.

Siamo così condotti a precisare che l'educazione di cui si tratta nell'iniziazione cristiana è qualcosa di distinto ma inseparabile dall'iniziazione stessa. Questa infatti è introduzione ecclesiale nel mistero della salvezza, cioè nella comunione delle Persone divine mediante la Parola, i sacramenti e la vita nella carità della comunità ecclesiale. Tale introduzione ha il suo protagonista incomparabile nel Signore Gesù risorto e nella potenza del suo Santo Spirito, così che l'azione formativa e plasmatrice della persona è innanzitutto opera divina. Tuttavia il carattere ecclesiale dello spazio umano in cui si compie tale azione mostra l'indivisibilità dell'azione umana dall'azione divina, di esteriorità e di interiorità, come dicevamo prima. Qui si colloca l'opera educativa della comunità ecclesiale che è consapevole di cooperare alla grazia di Dio attraverso la sua molteplice attività di catechesi, di liturgia, di esperienza di vita cristiana nella comunità e attorno ad essa. In quest'opera, una considerazione essenziale richiede la condizione delle nuove generazioni, richiamate dagli Orientamenti pastorali soprattutto nel primo capitolo. Comprendere cosa pensano e come vivono i ragazzi, gli adolescenti e i giovani di oggi è condizione imprescindibile per avviare un'opera educativa capace di parlare alle generazioni nuove di questo nostro tempo. I paragrafi 31 e 32 del documento rappresentano una sintesi efficace di alcune caratteristiche peculiari delle prime età della vita. Tenendo presenti queste caratteristiche, possiamo tentare di abbozzare alcune esigenze essenziali per fare opera educativa nel quadro della iniziazione cristiana.

La prima insurrogabile esigenza è quella di educatori, e in prima istanza di preti, di testimoni. La nostra maturità, la nostra libertà, il nostro entusiasmo, soprattutto la forza della nostra fede sono vitalmente necessari alla nostra responsabilità di educatori.

La seconda esigenza sta nella vitalità della comunità attorno a noi. Il dono della fede ha carattere personale ma non individualistico: è dato nella Chiesa e cresce e vive nella Chiesa. Non è pensabile che un processo di iniziazione cristiana condotto individualisticamente possa portare frutti di fede forte e duratura.

La terza esigenza, insieme alla necessità di conoscere e di capire le età delle nuove generazioni e le condizioni in cui si conduce la loro vita, sta nella capacità di elaborare una proposta di fede che sia proporzionata alle varie fasi generazionali, che intercetti fragilità e potenzialità, che conosca e valorizzi il rapporto con la famiglia, l'importanza del gruppo dei coetanei, il significato dell'esperienza scolastica, l'emergere della dimensione affettiva e sentimentale insieme all'affermarsi della pulsione sessuale, la pervasività dei nuovi media e i loro effetti sul modo di pensare e di relazionarsi gli uni gli altri. Sono alcune delle caratteristiche che non possono essere ignorate in un rapporto educativo significativo per l'educazione cristiana di ragazzi e giovani nel nostro tempo.

Una quarta esigenza riguarda la necessità di integrare la formazione catechistica con una esperienza di vita cristiana a partire dalla comunità ecclesiale. Insieme alla cura di una catechesi sicura e completa, c'è bisogno che ragazzi, adolescenti e giovani trovino nella comunità parrocchiale uno spazio accogliente di incontro, di condivisione, di collaborazione, più in generale di vita comune, un luogo di vita. Una educazione reale non può passare solo per la via intellettuale, anche se nemmeno può ridursi, all'opposto, a esperienzialismo inconcludente e in nessun modo formativo.

Infine, una quinta esigenza consiste nella capacità di risvegliare e rafforzare nelle nuove generazioni una tensione verso l'alto, verso il di più, verso l'ideale.

Nell'incontro con Gesù si rinnova l'identità delle persone - ha concluso Mons. Crociata - e si rivela il profilo affascinante di una vita buona.

Ha fatto seguito un largo e inteso dialogo con il relatore.

Pubblicato il: 20/01/2012

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