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Non uccidiamo la speranza, non arrendiamoci all'idea di una triste realtà

PING PONG #16 "Che il nuovo anno, nonostante la farmacia, il patto di stabilità e quant'altro oscura ancor più l'orizzonte, non ci induca in depressione. Poi, se si deve gettare la spugna, la si getti e si ricominci. Ma comunque no alla pura sopravvivenza"

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"Altro tema su cui amministratori e uffici stiamo portando avanti un lavoro quotidiano è quello delle infrastrutture. Un lavoro che è delicato e complesso poiché ogni giorno vi sono situazioni da fronteggiare per arrivare a conclusioni". (Dal resoconto della conferenza stampa di fine anno del Sindaco Concina pubblicato su OrvietoSi il 28 dicembre 2011)

A volte, quando digerisco bene, mi capita di sognare che la palla del ping pong abbia la leggerezza dei concetti elevati e astratti; quelli che mi dilettano quando passo il tempo coi classici della politica. Per esempio, preferirei giocare la partita con Franco discettando sul contrasto tra Niccolò Machiavelli ed Erasmo da Rotterdam. L'uno convinto, sebbene non l'abbia mai detto (ma s'è fatto capire), che in politica il fine giustifica i mezzi, poiché la salvezza dello stato rappresenta una esigenza etica di fronte alla quale deve cedere la morale comune. L'altro persuaso che al potere presiedono criteri morali universalmente validi; perciò il sovrano deve comportarsi come il buon padre di famiglia, deve «non far del male a nessuno, non depredare nessuno, non vendere magistrature, non lasciarsi corrompere dai doni».

Invece il Direttore mi richiama alla realtà quotidiana, al nostro comune, alle cose fatte e a quelle da fare, alle cose dette e a quelle da dire. Nell'ultima seduta consiliare del 2011 echeggiavano ancora le parole della conferenza stampa di fine anno, nella quale il sindaco, col suo eloquio sciolto ed elegante, che alleggerisce il peso dei problemi ma non li nasconde, aveva detto, come al solito, che vi sono difficoltà ma che l'amministrazione comunale sta lavorando; che c'è poco da stare allegri ma che speriamo bene. Si sapeva che il sindaco non era riuscito a sbloccare con la  Regione il problema dell'ex ospedale. Questo  complesso immobiliare è di proprietà della regione e il comune lo vorrebbe acquistare, in base a un accordo del 2007 che dava al comune una opzione per l'acquisto al prezzo fissato dalla regione. Ovviamente l'amministrazione comunale, che non ha un soldo, vuole acquistare per rivendere a un prezzo maggiore, che può essere spuntato solo se il complesso immobiliare viene acquistato da  un imprenditore privato per farci con ogni probabilità un albergo. Che cosa se ne farebbe altrimenti un privato di un grande edificio in piazza del Duomo?

Se la regione acconsentisse, sarebbe un bel successo per l'amministrazione Concina. Ma sia gli organi regionali che l'opposizione di sinistra orvietana stanno mettendo il bastone tra le ruote. A Perugia vogliono aggiornare la stima dell'immobile in base a un ragionamento del cavolo, perché vogliono aumentare la stima mentre, essendo crollato il mercato immobiliare, dovrebbero abbassarla. A Orvieto l'opposizione vuole che l'immobile sia destinato ad uso pubblico, come del resto prevedeva il vecchio accordo con la regione. Però interpretano «pubblico» come servizio pubblico, mentre può essere interpretato anche come servizio al pubblico. Vale a dire che non vogliono l'albergo; e poiché il comune non lo può comprare se non lo rivende per farci un albergo, in realtà non vogliono che il comune lo compri.

Ebbene, nell'ultima seduta dell'anno, dopo aver più o meno attentamente ascoltato tre ore di disquisizioni sul tema del patrimonio e dell'ex ospedale, che mi sembravano del tutto inutili, decisi di intervenire per dire, piuttosto sinteticamente:

-       che la regione più rossa d'Italia non poteva concedersi il lusso di favorire il successo di una importante iniziativa del sindaco che, nel 2009,  aveva inflitto una umiliazione storica alla sinistra di una delle città più rosse della regione;

-       che la regione potrebbe mollare solo se le fosse chiesto dall'opposizione orvietana;

-       che l'opposizione orvietana è consapevole di avere il coltello dalla parte del manico e lo sta usando senza alcuno scrupolo;

-       che se ne può uscire soltanto con un compromesso nel quale l'opposizione faccia vedere che ha ancora qualche muscolo, sebbene ammaccato, e  la maggioranza rinunci  a qualcosa o contraccambi in altro modo.

D'altronde l'opposizione ha il suo interesse a far vedere agli elettori che può ottenere dalla regione benefici per Orvieto, purché sia chiaro che il merito è suo. Il godimento estremo per un politicante di provincia consiste nel poter dire «questo l'hai avuto perché ci ho pensato io». I Siciliani esprimono quel tipo di godimento col detto «è mègghju cummannàri ca fúttiri».

Naturalmente il mio intervento non ha posto fine alla discussione, che è continuata inutilmente per un'altra ora. Però mi ero già vendicato in anticipo citando Woody Allen: «I politici hanno una loro etica. Tutta loro. Ed è una tacca più sotto di quella di un maniaco sessuale».

La palla a Franco, che non so se riuscirà a essere più cattivo.

Pier Luigi Leoni

Riconosco che è difficile essere più cattivi. Ci potrei provare usando quella citazione di Pier Luigi che dice che il 10 % dei buoni politici non riesce a compensare i danni che fa il 90 % di loro. Ma si tratterebbe di aforismi, che notoriamente non sfiorano chi ha la coscienza nascosta sotto una pesante coltre di pelo. E poi di fatto mi autocollocherei, beninteso sempre insieme a Pier Luigi, in  quel 10% che fa buona politica, cosa che non sarebbe dello stile che tanto amiamo.

Dunque bando alla gara sulla cattiveria, e concentriamoci sulla realtà. Che è dura, ah se è dura!, e sufficientemente cattiva di per sé. Capisco per questo il desiderio di Pier Luigi di portarsi sui piani alti dell'osservatorio, quello dei concetti astratti (l'individuo e lo stato, l'etica pubblica e la morale individuale, il bene e il male, i diritti e i doveri, eccetera), e anch'io non ho dubbi che in qualche modo dovremo tornare ad occuparci della brutale realtà con lo sguardo rivolto ai grandi orizzonti culturali e sulla base di solidi quadri concettuali.

D'altra parte resto convinto che nell'esercizio delle funzioni pubbliche, in particolare quelle di governo a qualunque livello, conta prima di tutto l'impostazione culturale, la capacità di analisi e di contestualizzazione dei problemi. Senza una visione, certo flessibile, elastica, disposta ad adattarsi ai mutamenti della realtà, ma comunque visione, idea generale strategica che lega tra loro le ipotesi e sviluppa le relazioni per le soluzioni migliori, dicevo, senza questo atteggiamento mentale, non si va da nessuna parte. Semplicemente si sbatte. Lo sto dicendo da una vita, e so anche che non basta praticarlo, oltre che dirlo, se da soli: assume senso se diventa metodo di governo, azione collettiva.

C'è stata una fase nella recente storia della città in cui questo è accaduto. Ma io non sto coltivando nostalgie, non sto riproponendo quella fase. Sto ben piantato nella realtà di oggi e cerco di proporre un modo di ragionare che appunto è utile oggi, qui ed ora. Ripeto perciò quello che ho detto ormai tante volte: quando ci si occupa di patrimonio e di infrastrutture ci si occupa in realtà di questioni decisive, cioè di come si può costruire il futuro di una comunità. Su queste questioni non si può sbagliare, o si deve sbagliare il meno possibile, o se si ha il dubbio di poter sbagliare bisogna fermarsi a riflettere, o se ci si accorge di essere sulla strada sbagliata bisogna tornare indietro finché si è in tempo. Insistere su una strada chiaramente fallimentare è da irresponsabili.

Se da questo piano metodologico scendiamo su quello delle cose che accadono, basta un rapido sguardo per accorgersi che la realtà parla da sola il linguaggio della cattiva politica: si continua a discutere di scelte essenziali per il futuro della nostra comunità senza uno straccio di visione capace di ricollocare la città e il territorio nel contesto dei sommovimenti del nostro tempo. Cioè senza ricerca di una prospettiva credibile. Perciò chi ti potrà credere? Leggo che siamo ancora alla discussione sullo spezzettamento sì o no della ex Piave. Leggo che si insiste a dire che la Palazzina Comando può essere ritenuta slegata dal resto del complesso e quindi venduta senza danno per l'operazione appunto più complessiva. Leggo che addirittura c'è qualcuno che con il piglio del sapiente tiè e dà qua afferma che bisogna frazionare il Casermone perché cosi si vende meglio. Leggo ancora di iniziative affannose per comprare, e poi vendere guadagnandoci, l'ex Ospedale. Ancora vendere, vendere, vendere! Ma insomma, non vi viene in mente che la cosa essenziale, prioritaria, è sapere che cosa ci si fa con il nostro (certo, nostro perché di tutti!) patrimonio? O dobbiamo rinunciare a pensare e ad agire con metodo e con attenzione all'interesse generale?

Francamente, di fronte a questo spettacolo non si sa più che dire. Perciò a questo punto mi taccio. Faccio solo la seguente domanda: siete sicuri di essere legittimati a svendere (sì, svendere, perché adesso qualunque operazione condotta per fare cassa equivale a svendere) il patrimonio strategico della città? E vi siete chiesti che futuro avrete costruito una volta che ci foste riusciti e aveste fatto cassa come sembra desideriate?

Il Sindaco non pensi ad un peccato di lesa maestà se mi permetto di ricordargli che egli è il garante dell'interesse generale e che ha il dovere di dire a tutti che cosa pensa, se ha idee e progetti e quali sono. So bene che ci sono momenti e aspetti che richiedono riservatezza. Ma non l'idea di città, non l'idea di come usare il patrimonio, per quali prospettive, con quali soggetti e con quali metodi. Egli ha il dovere di indicare la via migliore, con un orizzonte, una prospettiva. Perciò egli deve dire risolutamente no alla logica della sopravvivenza, perché egli ha il dovere di sapere che il risanamento non si fa con la sopravvivenza. Inoltre egli sa, perché è persona colta ed esperta, che è proprio nei momenti di grave crisi generale che vi possono essere le migliori condizioni per riprogettare il futuro. Il suo dovere primario è dunque di verificare se esse sussistono e non quello di badare alla pura sopravvivenza.

Che il nuovo anno, nonostante la farmacia, il patto di stabilità e quant'altro oscura ancor più l'orizzonte, non ci induca in depressione. Poi, se si deve gettare la spugna, la si getti e si ricominci. Ma comunque no alla pura sopravvivenza.

Franco Raimondo Barbabella


Ping Pong è la rubrica di Orvietosì curata da Franco Raimondo Barbabella e Pier Luigi Leoni. Un appuntamento del lunedì in cui i due nostri "amici" raccontano la loro su una frase apparsa sul nostro giornale durante la settimana, una palla che io lancio ad uno dei due e che loro si rimpallano. Ci auguriamo che questo gioco vi piaccia e si ripeta il successo di "A Destra e a Manca". Naturalmente tutti i lettori sono invitati la tavolo di Ping Pong. Basta inviare una e-mail a dantefreddi@orvietosi.it 

Questa è la puntata n°16

Pubblicato il: 02/01/2012

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