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La sorte dell'ospedale secondo la setta degl'incappucciati

di Pier Luigi Leoni Un racconto semiserio su fatti seri durante un incontro possibile con personaggi probabili

foto di copertina

Caro Direttore,

"senta il caso avvenuto di fresco", direbbe il Giusti, a me che sabato pomeriggio stavo gustando in Castel Giorgio la rappresentazione di una commediola in vernacolo suganese. Vibra il mio telefonino, esco fuori e sento una voce amica. Si tratta di persona che ben conosci, ma che non posso rivelare in omaggio al detto che "ambasciator non porta pena".

-       Pronto!

-       Ti disturbo?

-       Sì.

-       Ti va sempre di scherzare. Ma ho una chicca per te.

-       Sarebbe?

-       Stasera un gruppetto di gente che lavora all'ASL ti vorrebbe parlare riservatamente. Hanno gradito il tuo timido tentativo di sollevare in consiglio comunale la questione del clima che si respira nell'ASL. Hanno molte cose da dire e, in mancanza di meglio, s'attaccano a te.

-       Che vogliono?

-       Vogliono che stasera alle venti ti fai vedere in un certo posto con matita e taccuino.

Non è che la cosa m'entusiasmi, perché non ho mai gradito la mania della gente di utilizzare un amministratore pubblico o uno che scrive sui giornali come discarica delle proprie ansie. La gente se ne accorge; infatti mi vota solo chi non mi conosce bene. A parte, forse, i familiari stretti. Ma la voce del nostro comune amico ha una inflessione che mi preannuncia una esperienza singolare.

Data l'ora dell'appuntamento, spero in una di quelle cenette orvietane nelle quali ti riempiono di chiacchiere, ma, per farsi perdonare, ti ammanniscono deliziosi piatti indigeribili da annaffiare con vini irresistibili.   

Ebbene, la sera alle venti, busso alla porta di un garage non lontano da casa mia. Si tratta di un ex tinaio adattato a garage e poi riadattato a ripostiglio e sala giochi. Della serie "se tutti mettono la macchina in giro dove vogliono, perché dovrei impuzzolire casa mia?"

Mi apre la padrona di casa, che stava nascostamente aspettandomi nel vicolo, e subito si dilegua per non frasi rivedere più.

Intorno a un tavolo da ping pong coperto con telo di polietilene, circondati da vecchi mobili ripieni di ogni cianfrusaglia, siedono sette personaggi incappucciati. Sì, caro Direttore, hai capito bene. Portavano tutti una cappa nera che nascondeva il volto e ricadeva sulle spalle. I due buchi frontali erano abbastanza piccoli perché gl'incappucciati potessero vedere senza  rivelare l'espressione degli occhi.

Tu sai che non ho mai messo piede in una loggia massonica, ma mi piace passare per uomo di mondo e ci tengo a far finta di non sorprendermi di niente.

Insomma, su invito di un incappucciato, mi siedo in una poltroncina di plastica che si flette leggermente sotto il mio peso, accrescendo l'apprensione che mi sforzo di dissimulare. D'ora in poi parlerà solo lui e capisco subito il perché: si tratta di una persona di cui non conosco la voce. Si sforza di correggere l'accento ternano, ma ovviamente con poco successo. Mi spiega le ragioni di quella messa in scena. Ragioni che non posso rivelare perché esistono leggi che prevedono le querele e una miriade di avvocati che ce l'hanno sempre pronte su moduli prestampati. Dopo aver ripulito le lenti appannate dal vapore tiepido del locale, tiro fuori carta e penna. Non senza sbirciare invano tutto ciò che possa rivelarmi qualcosa degl'incappucciati: le stature, le mani, i petti, gli abiti, i movimenti ecc. Posso solo dire che, oltre al mio interlocutore, c'erano altri tre maschi e tre femmine.

Il portavoce degli incappucciati, non senza qualche pesante insinuazione sull'entusiasmo degli amministratori orvietani per un albergo di lusso da mettere accanto al Duomo, snocciola un progetto che un gruppo di dipendenti dell'Azienda Sanitaria Locale, affiatatisi nella sala d'aspetto di uno studio legale, stanno mettendo a punto.

Trascrivo per te il contenuto dei miei appunti, non senza averti prima confidato, certo della tua commiserazione, che non mi hanno offerto nemmeno un pasticcino, o una lumachella riscaldata, o un bicchiere di vino, nonostante che dalla grata di una porticina filtrasse un inequivocabile odore di cantina.

Ecco il progetto.

Se l'ASL vende l'ex ospedale al comune e questo lo rivende guadagnandoci sopra, che figura fa il servizio sanitario? Se l'ex ospedale è ricercato per farci un albergo di lusso, perché l'ASL non lo vende direttamente? Ma prima di fare sogni sulla privatizzazione delle proprietà pubbliche, non sarebbe bene fare il punto sulle pubbliche esigenze?

Se si tiene conto delle vere esigenze pubbliche, la soluzione più razionale sarebbe riportare l'ospedale di Orvieto dov'era prima, integrandolo con residenza sanitaria assistenziale per i degenti non acuti, casa di cura per l'alzheimer, centro di recupero fisioterapico, casa di riposo e centro diurno per anziani, collocandovi i servizi di distretto e un bell'ambulatorio gestito dai medici di famiglia, che potrebbero organizzare turni per non abbandonare la clientela al servizio di guardia medica. Altro che casa della salute nel capannone della vecchia mensa militare a Vigna Grande. Ma lo spazio c'è? Certo che c'è. Il vecchio ospedale assicurava 220 ricoveri. Il nuovo stenta ad arrivare a 140. È vero che nel vecchio ospedale c'erano due sole sale operatorie, mentre nel nuovo ce ne sono quattro, ma due stanno ferme. E poi esiste una ipotesi di ampliamento del vecchio ospedale mediante sopraelevazione della ex pediatria, e non solo. E il baraccone del nuovo ospedale? Elementare Watson! Si dovrebbero impiegare lì le risorse che verrebbero altrimenti infognate nel progettato ospedale Narni-Amelia (velleitaria concorrenza al vicino e potente ospedale di Terni) e si potrebbe farne un vero ospedale per l'emergenza, magari con qualche altra specializzazione che non è difficile immaginare in una società sempre più vecchia, quindi sempre più malata, ma sempre meno desiderosa di lasciare questa valle di lacrime. L'operazione ha un costo, ma non ci sono i milioni del lascito Solis? Perché spendere male nell'ospedale Narni-Amelia quel capitale destinato agli Orvietani dagli oculati benefattori?

Caro Direttore, te l'ho riferita come me l'ha raccontata il loquace portavoce dei sette incappucciati, appassionati e prudenti come una squadra di combattenti nella lotta di liberazione.

Non ti nascondo che, per alleggerire il clima, ho accennato all'idea di utilizzare l'ospedale nuovo come casa di riposo per politici abbandonati. Lo sfoltimento della classe politica dovrebbe garantire un bel po' di ospiti. Ma da certi brontolii ho capito che gl'incappucciati non avevano alcuna voglia di scherzare.

Tuo Pier

Pubblicato il: 07/12/2011

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