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Centro studi. Da cambiare non da abbandonare

di Angelo Ranchino, Orvieto Libera "Appare indispensabile l'ingresso di soci privati, al fine di ottenere partecipazioni in capitale e un indotto in termini di apporto di attività, nonché potenziare i servizi fino ad oggi resi e soprattutto di affiancarne di nuovi, al fine di accrescere l'aspettativa di fatturato fino a raggiungere almeno l'equilibrio economico"

foto di copertina

Il polo universitario Orvietano affidato al Centro Studi Città di Orvieto è stato frutto di un disegno politico che, pur utopistico ma possibile in un determinato periodo storico, è divenuto inattuabile a seguito dell'intervento del Ministro Mussi e a seguito dello sviluppo normativo successivo.

Anche il Polo Didattico Scientifico della Città di Terni, che conta circa quattromila iscritti, ha subito a causa di tali disposizioni il taglio del corso "DAMS" ed un notevole ridimensionamento dei corsi di Scienze Politiche e di Scienze dell'Informazione, per i quali si profila nell'immediato futuro una ipotesi di soppressione.

Nonostante uno sforzo di salvataggio da parte del Ministro Gelmini, anche tale realtà, di dimensioni ben diverse rispetto a quella orvietana, ha subito notevoli compressioni dalla nuova normativa.

Il Corso di Laurea in Ingegneria Informatica e delle Comunicazioni di Orvieto ha partorito 154 ingegneri in quasi 10 anni di attività (ovvero poco più di 15 all'anno) e a causa delle attuali condizioni normative ed economiche, oltre che per le specificità della nostra realtà, non è possibile continuare a perseguire utopie ormai divenute di impossibile realizzazione.

Gli accentramenti in fase di realizzazione anche nel settore della Giustizia e della Sanità, dettati da impellenti necessità di razionalizzazione e risparmio economico, fanno apparire ridicolo pensare ancora a corsi decentrati in Orvieto per poche decine di persone.

Peraltro è stata l'Università di Perugia a decretare la fine dei relativi corsi ( http://www.uniorvieto.org/it/corso_di_laurea_in_ingegneria_informatica_e_delle_telecomunicazioni_di_orvieto_si_sono_laureati_altri_tre_ingegneri_junior.html )

L'Amministrazione ciò nonostante ha affermato chiaramente che sussiste piena volontà politica di mantenere la funzione della alta formazione (affiancata da ulteriori progetti di offerta formativa) come obiettivo per la qualificazione della Città e come pedina strategica nel quadro dell'impegno per la salvaguardia ed il rilancio degli assets ad effetto produttivo per l'economia di Orvieto.

Dunque sono da rigettare le contestazioni avanzate sulla stampa per le quali si vorrebbe abbandonare a se stesso il Centro Studi Città di Orvieto.

E' emersa però l' inevitabile presa d'atto dell'inadeguatezza dello strumento adottato fino ad oggi e la necessità procedere ad una sua integrale ristrutturazione o una sua totale liquidazione con prosecuzione dell'attività da parte di una nuova entità.

Ciò in quanto appare indispensabile l'ingresso di soci privati, al fine di ottenere partecipazioni in capitale e un indotto in termini di apporto di attività, nonché potenziare i servizi fino ad oggi resi e soprattutto di affiancarne di nuovi, al fine di accrescere l'aspettativa di fatturato fino a raggiungere almeno l'equilibrio economico.

Non si dimentichi che l'utile lordo derivante dalla struttura è meno di Euro 100.000,00 con il quale si dovrebbero pagare canoni di locazione nella quota di Euro 370.000,00, costi di personale per i 4 dipendenti, consumi e spese fisse, nonché estinguere una posizione debitoria attualmente superiore a 500.000,00 Euro.

Nessun privato è disposto a subentrare in una situazione deficitaria quale quella attualmente in essere nel Centro Studi Città di Orvieto e in una gestione finanziariamente così squilibrata.

Il business plan rimesso dagli organi del Centro Studi Città di Orvieto si basa essenzialmente su una riduzione di costi, partendo dalla necessità di abbandonare la sede storica che appare eccessivamente onerosa, e da un necessario ridimensionamento dell'apparato amministrativo della struttura e poggia sulla salvaguardia delle attuali linee di business oltre all'identificazione di nuove linee strategiche (alcune delle quali si stanno profilando particolarmente interessanti e proficue).

La collocazione all'interno del Museo della Ceramica, mantenendo la funzione dello stesso e attribuendo al CSCO (o alla struttura che lo sostituirà) anche l'implementazione del Centro di Documentazione della Ceramica, oltre che la formazione nel relativo campo, nonché numerosi altri progetti già in fase di avanzata definizione (con università e strutture governative nazionali ed estere), tra i quali anche la fase esecutiva del Centro Culturale della Tuscia, costituisce l'unica possibilità di un rilancio dell'Ente che altrimenti è destinato, per la sua attuale situazione economica e per la definitiva presa d'atto della sua inadeguatezza, ad una inevitabile eutanasia.

 

Pubblicato il: 30/11/2011

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