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Il Faraone non fa le uova

Ping pong 04 "Un mondo in cui persone come Stefano Cimicchi, Stefano Mocio, Gianni Cardinali e Fausto Cerulli, invece di beccarsi, si mettessero attorno a un tavolo con altre persone intelligenti, di sinistra, di destra, di centro e di niente, per conversare sulle cose che sono state fatte bene, su quelle che sono state fatte male e su quelle che andrebbero fatte, non sarebbe migliore  di questo pollaio?"

foto di copertina

"Tra il 2004 e il 2009 sono stati compiuti atti che l'attuale amministrazione ha coperto e che costituiscono un vulnus gravissimo e una pesante eredità che doveva essere denunciata e avrebbe permesso ai cittadini orvietani di separare il grano dal loglio".
Da "Lettera aperta alla mia città" di Stefano Cimicchi
 



Questa volta il nostro direttore ci fornisce una di quelle palle che possono rimbalzare male, toccare rete e fermarsi lì. Vedremo come evitarlo e consentire così a Pier Luigi di assestare il suo colpo, come è nel suo diritto.
Di fatto sto confessando che questa volta il tavolo di gioco non mi piace, perché è troppo scivoloso, equivoco, mentre a me piacciono le cose chiare, lineari, anche se mi rendo conto che raramente questo può avvenire, soprattutto in politica, e soprattutto oggi, l'epoca della navigazione a vista.
Che cosa rende il tavolo scivoloso, equivoco? I personaggi? In parte sìi, perché Cimicchi, uomo della sinistra liberalcomunista o totalpossibilista, ama le metafore, il dire e non dire, l'ammiccamento fino all'indovinello; e perché Mocio, uomo di dichiarata tradizione e fede democristiana, si trova a suo agio più con l'instabile equilibrismo correntizio che con le stabili coerenze dei disegni strategici; infine, per la terza parte che non manca mai nelle vicende complesse, perché Concina, trovatosi per caso (si dice) a interpretare la parte del terzo incomodo, ci si è trovato talmente bene che intende incomodarsi fino a che gli altri si sentiranno costretti a scomodarsi (nel senso di sentirsi scomodi) definitivamente.
Ma per un'altra parte il tavolo è scivoloso in ragione della situazione di realtà, connotata da fenomenologie magmatiche, che dal livello nazionale si estendono senza soluzione di continuità a quello locale, e che di fatto "costringono" gli attori (che forse addirittura si acconciano volentieri alla costrizione) a rivestire ruoli improvvisati in recite a soggetto su canovacci di dubbia autenticità.
Esco dal linguaggio criptico (quello che si usa quando non si vuol far capire niente) e vado al sodo: la frase di Cimicchi, interpretata con riferimento al contesto, significa che Concina è accusato di aver coperto scelte sbagliate dell'Amministrazione Mocio che hanno avuto riflessi negativi fino ad oggi, essendosi con ciò assunto anche la responsabilità di confondere le idee agli orvietani su ciò e chi è sano e su ciò e chi è malato. In sostanza: Mocio ha fatto vincere le elezioni a Concina, e Concina copre gli atti sbagliati di Mocio. E gli orvietani non ci capiscono niente. Non sarò certo io a negare che la Giunta Mocio (e poi l'Aggiunta Capoccia) si porti addosso responsabilità colossali, con la sola precisazione (credo non proprio insignificante) che esse si sono aggiunte a quelle di più lungo periodo. Ma su questo ho detto altre volte ed a ciò rimando senza annoiare ulteriormente il gentile pubblico.
Può darsi dunque che Cimicchi abbia ragione, ma per averla sul serio deve esser chiaro fino alla pignoleria; e Mocio deve rispondere non con polemica che respinge polemica, ma con argomenti che contrastano argomenti. E che tutto sia riscontrabile. Altrimenti si tratta solo di contrasti personali e di diatribe insensate di cui non solo la sinistra, ma tutti, dicasi tutti, facciamo volentieri a meno.
Credo di avere titoli sufficienti per sostenere che è da tempo immemorabile che la sinistra non fa i conti con la propria storia e naturalmente in tal modo la storia ritorna inesorabile assestando palate in faccia che tramortiscono. Risultato: non c'è uno, dicasi uno, che si sforzi di elaborare una strategia unificante con l'ambizione di ricollocare Orvieto in corsa con il mondo. Continua, al contrario, il gioco al massacro, quello preferito a sinistra. E non si capisce che questo è invece davvero il momento della politica con la P maiuscola, da Roma a Perugia ad Orvieto. Viene in mente il paragone più irriverente di questo momento, quello tra Steve Jobs (il visionario) e il pollaio: l'uno, la metafora delle visioni unificanti, del coraggio che inventa il futuro e sfida le incrostazioni conservatrici; l'altro, la metafora di Orvieto come città della zuffa permanente e inconcludente.
Toni Concina ringrazia, e a chi ha speso una vita per fare qualcosa di buono per la sua città non dà fastidio che si faccia un favore a Toni Concina, ma che oggettivamente si collabori alla "decadance" di Orvieto.
A questo punto va messo un punto. Ora bisogna passare ad altro. E non si illuda Pier Luigi, la cosa riguarda anche l'altra parte, anzi, le altre parti, perché ormai è del tutto sciocco continuare a far finta che le questioni vadano trattate come se fossero di destra o di sinistra o di centro. Va detto chiaro: le questioni serie sono questioni serie, e l'ottica di destra o di sinistra o di centro (e tutte le relative combinazioni) deve lasciare spazio a quella dell'interesse generale. Ed è interesse generale innanzitutto capire che avere un futuro significa non illudersi che ti protegge il piccolo mondo antico, in cui ti puoi azzuffare tutti giorni indisturbato. Significa sguardo lungo, visione larga e disinteressata, innovazione, coraggio progettuale, capacità di collaborazione. Significa luogo di vita (dunque prezioso) dentro un mondo multiforme, che non essendo buono per definizione, ti chiede di essere pronto e attrezzato.
Se avevo qualche dubbio sul da farsi, ora non ce l'ho più. E con me spero altri. Avanti, caro Pier, prendi la palla e schiaccia.
Franco Raimondo Barbabella

La citazione della decadance di Ivano Fossati mi fa venire alla mente i versi di un altro grande cantautore: "Quante stupide galline che si azzuffano per niente. Minima immoralia, ecc. ". Non certo perché io consideri stupidi i due ultimi ex sindaci e i loro interlocutori, tutt'altro, ma la sensazione del pollaio rimane. Purtroppo nel pollaio c'è anche la mia parte politica e anch'io, che ho in odio la zuffa inutile e le strida, non posso evitare di dare e ricevere qualche beccata. Le accuse reciproche tra destra sinistra le conosciamo, le sentiamo ripetere con monotonia esasperante ed esasperata. Segno evidente di profonda frustrazione. Frustrazione della sinistra perché si è lasciata scappare di mano il potere in una città che è stata ed è rimasta prevalentemente rossa. Frustrazione della destra perché, dopo un lungo e logorante assedio, è riuscita a espugnare la città al seguito di un alieno brillante e coraggioso, che ha sfondato una porta alla quale avevano tolto da dentro il catenaccio. Ma dietro alla porta c'era un cumulo di macerie.
Fatto sta che c'è un sindaco a cui coloro che avevano tolto il catenaccio assicurano stabilità e, se il diavolo non ci mette la coda, arriverà alla fine della consiliatura. Non solo, ma aumentano nella maggioranza quelli che sognano di vincere le prossime elezioni. Anche perché la minoranza fa del tutto per farli sognare..
Però le macerie sono lì. La ricostruzione è impresa ardua per la quale non basta la buona volontà. Occorre, a mio avviso, una diffusa presa di coscienza che si è spappolato un sistema di potere che aveva reso stabile la città nella seconda metà del secolo scorso. Quel sistema si è spappolato perché Orvieto, per la conformazione del suo territorio, per le dislocazione dei sui quartieri suburbani e delle sue frazioni e per la delicatezza del suo centro storico, è un città costosa. Invece la sua economia è debole perché troppo legata all'edilizia alimentata dalla forte propensione al risparmio degli Orvietani. Fino a quando sono piovuti i fondi statali e regionali per fare fogne, acquedotti, strade, scuole e restauri la città ha prosperato. A mano a mano che  il flusso dei finanziamenti è calato, la città ha cominciato a indebitarsi con le banche e poi ha finito col truccare i bilanci.
Se ne può uscire solo con la ripresa dell'economia, che non può più imperniarsi sull'edilizia, perché di case ce ne sono troppe e di soldi sempre meno, e con una politica finanziaria oculata.
Di tutto questo poco o nulla risulta nella zuffa da pollaio alla quale stiamo assistendo. Che la vendita della farmacia comunale sia criticata da una personalità come Stefano Cimicchi, che conosce molto bene il mondo degli affari, è inquietante. E che egli strizzi l'occhio ai reduci del comunismo contadinesco è segno di sfiducia nella possibilità di costruire qualcosa di adeguato a tempi.
Un mondo in cui persone come Stefano Cimicchi, Stefano Mocio, Gianni Cardinali e Fausto Cerulli, invece di beccarsi, si mettessero attorno a un tavolo con altre persone intelligenti, di sinistra, di destra, di centro e di niente, per conversare sulle cose che sono state fatte bene, su quelle che sono state fatte male e su quelle che andrebbero fatte, non sarebbe migliore  di questo pollaio?
E se loro non fossero disponibili perché il passato, invece di averli resi umili, li avesse irrimediabilmente feriti, pazienza. Ma qualcuno ci deve provare, prima che sia troppo tardi.
Pier Luigi Leoni 


Ping Pong è la nuova rubrica di Orvietosì curata da Franco Raimondo Barbabella e Pier Luigi Leoni. Un appuntamento del lunedì in cui i due nostri "amici" raccontano la loro su una frase apparsa sul nostro giornale durante la settimana, una palla che io lancio ad uno dei due e che loro si rimpallano. Ci auguriamo che questo gioco vi piaccia e si ripeta il successo di "A Destra e a Manca". Naturalmente tutti i lettori sono invitati la tavolo di Ping Pong. Basta inviare una e-mail a dantefreddi@orvietosi.it 
Questa è la puntata 04.

Pubblicato il: 10/10/2011

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