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Lingue biforcute

di Dante Freddi Stiamo perdendo le speranze e la voglia di discutere, che è alimentata soltanto dall'aspettativa che sia utile a qualcosa. Rimane il tifo e la partigianeria, peggiori dell'interesse più bieco e meschino. San Pietro Parenzo, illumina almeno i nostri amministratori, nel nostro piccolo, perché al male che ci fanno gli altri  non si aggiunga anche quello che ci stanno facendo loro

foto di copertina

Il Partito democratico e i suoi amministratori del comprensorio, in una nota dei giorni scorsi lanciata sotto la spinta dell'abolizione delle province, concordano con l'opportunità che, in questa fase di discussione di nuovi assetti, Orvieto e l'Orvietano "possono e debbono giocare le proprie carte quale area strategica dell'Umbria tra l'Alto Lazio e la Bassa Toscana, partendo da un punto per noi irrinunciabile: l'unità e la dignità del nostro Comprensorio".
Per il PdL il riferimento è invece ancora la Tuscia e l'idea, che ha radici nel primo dopoguerra, presenta una sua dignità ma anche evidenti limiti di prospettiva. Se poi è agganciata al ridicolo Patto con Roma, di cui non si sa niente né qui né a Roma, si corre il rischio che perda anche il suo decoro culturale. Il giusto atteggiamento, perché realistico e concreto, mi sembra quello di Franco Raimondo Barbabella, abbracciato anche a sinistra, che da anni insiste nell'idea del territorio orvietano come "area-cerniera tra tre regioni", senza bisogno di affondare in "mitologie simil-leghiste"  e neppure in rivendicazioni nei confronti delle angherie che subiamo dal  resto dell'Umbria, determinate più dalla pochezza della nostra classe dirigente che dalla volontà di sopraffazione degli altri. Se fossimo stati nel Lazio non sarebbe andata meglio.

Mentre la fantasia al potere con cui siamo governati ci fa discutere sulla eventuale soppressione delle  province, non si sa quando, regioni, province e comuni sono strangolati e servizi importanti saranno falcidiati, a detta di amministratori di destra e sinistra che vanno a Roma insieme a protestare.  
In questo clima da caduta dell'impero, in cui la verità ci è nascosta furbescamente e i telegiornali più popolari raccontano da anni un'Italia felix che non c'è, a Roma "ladrona" non cambia nulla. La presa per i fondelli sul "taglio delle spese della politica" si è sgonfiata indecorosamente,  tutto è come sempre, chi ha privilegi e li può mantenere lo fa senza ritegno. Di Scilipoti è pieno il parlamento nazionale e giù giù fino ai più modesti consessi. Siano le posizione di potere misere o cospicue, sono sempre mantenute con inesauribile voglia di esserci e di rimanerci, per prosperare o molto più banalmente per "essere".
Etica e politica non vanno d'accordo e una miriade di personaggi di mezzo della politica, gente perbene, contribuisce a mantenere questo rapporto di contrapposizione, perché non si scandalizza, giustifica, subisce. 
Domenica scorsa è morto Mino Martinazzoli, vecchio democristiano onesto, l'uomo che ha "chiuso" la DC sopraffatta dagli scandali di "mani pulite". Ottantenne, guardando l'Italia di oggi sosteneva amaramente che il nostro è un Paese "senza politica, senza etica, senza pensiero". Drammaticamente vero e dimostrato sempre più dai fatti.

Con la depressione economica ed il disagio ormai trionfanti,  i partiti nostrani si concentrano su Tuscia sì o Tuscia no, Umbria sì, Umbria no, e non sanno neppure cògliere l'opportunità che si presenta di trovare un senso alla nostra collocazione geografica di confine. Si guarda a Viterbo e Roma senza ignorando che il territorio nostro è anche Castel Giorgio, Castel Viscardo e Allerona, "addirittura"  Montegabbione e Monteleone e Baschi, troppo vicini e poco esotici.

Argomento di primo piano è anche la questione "tribunale". Tra botte e risposte, tutti auspicano l'ampliamento della circoscrizione del tribunale, ma non si sentono tra loro e polemizzano per ruolo.
Nel frattempo, in questo bailamme di comunicati stampa, con riservatezza, come d'abitudine, Còncina ed i suoi vendono la palazzina comando della Piave e tutto quello che c'è, aspettando di concludere anche un bell'affare con l'ospedale. Sono riusciti a ridurre la città ad un paesetto di 20mila abitanti, privo di prospettive e di idee, senza che la gente si raduni minacciosa sotto il palazzo comunale. Stiamo perdendo le speranze e la voglia di discutere, che è alimentata dall'aspettativa che sia utile a qualcosa. Rimane il tifo e la partigianeria, peggiori dell'interesse più meschino.

San Pietro Parenzo, illumina almeno i nostri amministratori, nel nostro piccolo, perché al male che ci fanno gli altri  non si aggiunga anche quello che ci stanno facendo loro.

Piero Piscini ha commentato la mia considerazione sulla realtà nascosta e negata in cui versa il Paese con questa foto. Mi sembra calzante.

Pubblicato il: 06/09/2011

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