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Cattolici italiani e politica. E' aperta la discussione

E' esercizio difficile, ma proviamoci. Contributi di Pier Luigi Leoni, Mario Tiberi, Silvio Manglaviti , Dante Freddi, Antonio Bergami, Nuccio Fava e Pier Luigi Leoni, che scrive che scrive: "In linea di principio  e di diritto nulla impedisce che un partito d'ispirazione cristiana riunisca chi, volendo impegnarsi in politica, assumendo la responsabilità e i rischi e di testimoniare i valori cristiani, non ha avuto mai o ha perso la fiducia nei partiti egemoni dei due poli. Ma un partito del genere, a mio modo di vedere, proprio perché partito politico e non movimento ecclesiale, dovrebbe armarsi di propositi chiari di riforma del sistema politico..."

foto di copertina

Pier Luigi Leoni chiede al nostro giornale di curare una pagina in cui possa trovare spazio la discussione su un tema particolarmente delicato in Italia, aperto da oltre cent'anni, come è il rapporto tra cattolici e politica. E' molto tempo che ci giriamo intorno, perché è tema delicato, che tocca le coscienze e le sensibilità nel fondo e non c'è spazio per equilibrismi, per vie di mezzo. Le contraddizioni che ciascuno di noi si porta dietro per sopravvivere, se si accetta di leggere e scrivere, potrebbero esplodere anziché quietarsi. E' esercizio difficile, ma proviamoci. (Dante Freddi)

Questo spazio è aperto ai contributi di quanti vorranno partecipare con commenti, attraverso l'apposito modulo a piè di pagina, o con interventi spediti a dantefreddi@orvietosi.it. Gli articoli apparirano in ordine cronologico.

di Pier Luigi Leoni (24 ottobre)

Sono profondamente grato alle persone che hanno onorato Orvietosì e il sottoscritto intervenendo nella discussione sul ruolo dei cattolici nella politica italiana. Ho letto tutto con doverosa attenzione e vera letizia spirituale. Quando sento parlare con familiarità del Signore e del Suo insegnamento avverto appunto il calore che dà l'appartenere a una stessa famiglia nella quale abbiamo avuto la grazia di nascere e alla quale, nonostante tutte le tentazioni, le provocazioni e i tradimenti, siamo rimasti legati. Non me la sento perciò di obiettare a nulla di ciò che è stato affermato perché tutto è stato scritto con sensibilità evangelica. Credo che meriti un approfondimento il tema della rifondazione di un partito d'ispirazione cristiana, perché è di grande attualità. Mi pare che la storia possa testimoniare che i partiti popolari d'ispirazione cristiana abbiano rappresentato un  ammorbidimento delle asprezze dei settarismi anticlericali o addirittura anticristiani. La semplificazione in senso bipolare della politica italiana vede coloro che dichiaratamente s'ispirano alla dottrina sociale della Chiesa sparpagliati in diversi partiti. Ma il bipolarismo ha fallito in quello che era il suo compito storico: ammodernare sia la prassi politica che l'assetto costituzionale. L'attaccamento alla Costituzione del 1948, nonostante qualche maldestro tentativo di riforma e nonostante qualche piagnisteo, è nei fatti. Né la destra né la sinistra hanno finora dimostrato di avere la forza e la volontà di imporre l'interesse dello Stato sugli interessi delle corporazioni. Una sola modificazione della costituzione è piena di significato e guarda caso riverbera un principio definito dalla dottrina sociale della Chiesa: il principio di sussidiarietà. Ma non è il caso per i cattolici di vantarsene troppo perché quel principio è un approfondimento e una rielaborazione di principi liberali rifluita nei principi del diritto europeo grazie al fatto che la maggioranza dei legislatori europei (atei, agnostici e protestanti) ignoravano che la sussidiarietà era stata definita dal papa Pio XI. Così come la bandiera europea reca dodici stelle d'oro in campo azzurro perché la commissione che scelse il bozzetto non si accorse che l'autore era un devoto della Vergine e aveva riprodotto il diadema della Medaglia dell'Immacolata, ispirata dalle visioni di santa Caterina Labouré.
In linea di principio  e di diritto nulla impedisce che un partito d'ispirazione cristiana riunisca chi, volendo impegnarsi in politica, assumendo la responsabilità e i rischi e di testimoniare i valori cristiani, non ha avuto mai o ha perso la fiducia nei partiti egemoni dei due poli. Ma un partito del genere, a mio modo di vedere, proprio perché partito politico e non movimento ecclesiale, dovrebbe armarsi di propositi chiari di riforma del sistema politico. Dovrebbe dire che la corruzione è scandalosa, ma che non è caritatevole esporre alla corruzione un numero sterminato di politici. Quindi tagli drastici al numero dei parlamentari e dei consiglieri a ogni livello. Dovrebbe dire che gli ordini professionali, le associazioni di categoria e i sindacati devono vivere di forza propria e non coi privilegi legalizzati. Dovrebbe dire che il debito pubblico non si paga da sé e che il domestico, il panettiere e il manovale meritano molto più rispetto del laureato in scienza della comunicazione che si lamenta perché nessuno gli dà il lavoro a cui aspira. Devono dire che non se ne può più di pagare le più numerose forze dell'ordine d'Europa e di avere le mafie più efficienti del mondo. Devono dire che non è più possibile avere nel Lazio più avvocati che in tutta la Francia e avere processi penali e civili scandalosi per numero e durata. Queste e altre cose devono dire, per rispetto della verità. Altrimenti il dichiarare l'ispirazione cristiana non basta.

di Nuccio Fava (12 ottobre)
Fortunatamente non è destinata a fermarsi la riflessione sull'impegno politico dei cattolici. Si è imposta come ineludibile difronte alla eccezionalità della crisi, prima di tutto culturale e morale. La riflessione è stata accelerata dall'analisi severa del cardinale Bagnasco ma anche dagli infiniti punti offerti da Benedetto XVI. Ci sono state reazioni differenti. Più sorprendente l'atteggiamento di quanti hanno cercato di anestetizzare, quasi non riguardasse chi oggi ha responsabilità di governo, specie al massimo livello. Mi pare un atteggiamento non condivisibile perché rischia di ripetere il diffuso luogo comune: tutti colpevoli nessun colpevole; tutti rubano nessun ladro!
La primaria responsabilità dei cattolici è al contrario quella di capire i tempi in cui si vive, i valori che sono in gioco, l'efficacia delle risposte da promuovere laicamente e in dialogo con tutti quelli che intendono operare per il bene comune. Necessario partire da quello che si è e da quello che si intende fare. Certi luoghi comuni del tipo "nostalgici del passato", "vogliono rifare la D.C" andrebbero semplicemente ignorati.
Ho ben presente il valore della ispirazione cristiana così come la declinava Aldo Moro:"principio di non appagamento". Espressione di una corretta visione laica dell'impegno dei cattolici, secondo l'intuizione sturziana e la straordinaria opera di De Gasperi per il superamento degli storici steccati. Una forte e laica ispirazione religiosa è non solo assunzione di responsabilità autonoma e personale senza coperture confessionali, ma favorisce un continuo rapporto dinamico con la realtà storica, i suoi problemi, le soluzioni da ricercare e affrontare. E' anche garanzia di ricerca costante di dialogo e di valorizzazione reciproca delle posizioni di diversa ispirazione da ricondurre a finalità di giustizia e di solidarietà, di bene comune insomma. Per troppo tempo invece è prevalsa la categoria della contaminazione, oltremodo ambigua e allo opposto di quello che c'è bisogno: ciascuno esprima al meglio le sue identità e i suoi progetti nella loro interezza, per poi metterli a confronto e attraverso un dialogo costruttivo realizzare i punti di incontro e le piattaforme programmatiche più utili al paese e alla sua proiezione internazionale sempre più esigente. Il drammatico contesto attuale dell'Italia, che deve misurarsi anche con l'esplosione referendaria e l'urgenza di superamento del porcellum, non può fare subire supinamente il ricatto di un maggioritario abnorme, con la giustificazione che il bipolarismo Berlusconi-Prodi ha costituito una conquista irreversibile. Luoghi comuni anche questi se l'Italia è allo stremo e l'Europa e il mondo ci considerano così poco affidabili e credibili. Il nuovo metodo di voto - che dovrebbe far convergere il massimo di forze parlamentari - dovrà assicurare insieme governabilità e rappresentatività, entrambi criteri e valori irrinunciabili per avere un parlamento rappresentativo della società tutta e un governo in grado di guidare e operare nell'interesse generale.
De Gasperi tentò di dare soluzione ma gli toccò l'accusa di avere pensato a una "legge truffa", anche se il premio di maggioranza sarebbe scattato soltanto una volta che un partito o la coalizione avesse superato il 50+1%. Abbiamo invece sopportato la vergogna di un sistema elettorale unico al mondo, con parlamentari nominati dai capi partito, senza possibilità di scelta da parte dell'elettore, con un premio di maggioranza che richiama la legge Acerbo. Ma la domanda più importante è, a questo punto, con quale strumento i cattolici - in una fase di estremo disagio e a rischio crescente di irrilevanza - devono operare? La risposta è a mio parere quella a cui lavorò lungamente Sturzo e realizzò alle elezioni del 1919. Serve secondo me un partito politico di ispirazione cristiana, non confessionale, che corrisponda a quel principio " di non appagamento" così caro ad Aldo Moro. Una tale scelta che avrà bisogno di suoi tempi di realizzazione dovrà essere sin dall'inizio aperta a quanti, pur non religiosamente motivati ma attenti e sensibili alle domande fondamentali che riguardano il corretto e onesto governo della polis e la dignità di ogni persona, intendono contribuire ad un arricchimento continuo della democrazia e alle sue scadenze elettorali con partecipazione personale ed impegno responsabile. Ciò ovviamente esclude ogni arroccamento o chiusura presuntuosa o, peggio, integralista. I grandi politici cristiani, italiani ed europei dello scorso secolo, seppero affrontare gli enormi problemi della costruzione della democrazia e della ricostruzione materiale dopo l'immane conflitto mondiale, traendo ispirazione da grandi valori religiosi e umani, da coraggiosi progetti di sviluppo e di promozione dell'uomo. Il concilio vaticano II era ancora lontano eppure seppero trovare da cristiani laici politicamente impegnati le ragioni e gli strumenti per costruire un futuro migliore. Spetta alle generazioni cristiane di oggi - in questi nostri tempi di crisi e di sfide nuove e globali - non attardarsi oltre e assumere le proprie responsabilità anche in campo politico e istituzioanale. C'è un compito difficile di ricostruzione  - prima di tutto ideale e morale - e i cattolici non possono disertare.

di Antonio Bergami (2 ottobre)

Cari amici,
sollecitato dai vostri interventi non ho resistito anche io nel dire la mia. "Cattolici Italiani e Politica": tema di grande attualità ed interesse. Il sicuramente insufficiente approfondimento che in questi ultimi anni ho avuto la fortuna di fare delle Sacre Scritture,  mi pone, rispetto a questo tema, di fronte ad un messaggio inequivocabile della Parola del Signore. Tramite Giovanni la Parola ci pone di fronte ad una scelta senza compromessi per ogni cristiano :  "quella di essere nel mondo senza essere del mondo". Ce lo ricorda anche tramite un passo della lettera di Paolo ai Romani:
"Non amate il mondo, né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui." (1Gi 2:15)
"E non vi conformate a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza qual sia la buona, accettevole e perfetta volontà di Dio." (Rom 12:2)
Come dire che il cristiano pur vivendo, respirando, attraversando le strade del mondo, è chiamato a non appartenere alla logica del mondo ma soltanto ad essere fedele alla Parola del Signore. La logica del mondo è improntata storicamente al prevalere degli Dei di ogni tempo: Denaro e Potere, che oggi più che mai scorazzano indisturbati in ogni angolo del pianeta, apparentemente eclissando Dio. La logica del cielo, improntata alla Parola del Signore, è la logica dell'Amore, della Giustizia, della Fratellanza e del Perdono, tutto ciò di cui ad oggi non vediamo il minimo barlume.
Come dire che il cristiano autentico deve andare per scelta consapevole contro-corrente. Di qui il messaggio rivoluzionario di Gesù.
Certamente la Parola però non ci invita ad alienarci dal mondo ma ad esserci consapevolmente e ad impegnarci, e a farlo in tutti i settori della nostra vita: nelle relazioni amicali, nella famiglia, nell'impegno sociale ed anche in Politica.
Allora potrebbe a questo punto sorgere spontanea una domanda: con chi? Ogni passo del Vangelo mi porta sempre e comunque ad una sola risposta:ovunque ma sempre dalla parte del Signore.
Sempre di più mi si propone una immagine del cristiano come un "uomo solo nel deserto contro ogni tentazione, solo ma non smarrito, anzi tutt'altro, forte nella consapevolezza di una precisa scelta morale,
mai disperato, ma speranzoso anche nella prova più dolorosa, certamente impegnato, che grida nel deserto quando è necessario".
Certo sembra sfuggire a questo punto ogni logica di appartenenza ed anche la storia italiana degli ultimi decenni ha dimostrato, a mio avviso, la verità e la necessità di questo assunto.
Certo poi si è anche cittadini elettori e questo diventa sempre di più un dilemma che invita a riflettere  sulla necessità di un radicale cambio di rotta della Politica, per una rinascita della Speranza. Altrimenti quale scheda riponiamo nell'urna?Non credo che questo sia qualunquismo: pensateci bene.
Il Vangelo ci ricorda che la Chiesa (Ecclesia) è l'assemblea dei credenti nel Signore che cammina nella Storia verso il trionfo pieno di Cristo. Certo lo smarrimento del nostro tempo è anche smarrimento nella e della Chiesa, fatta di essere umani con le loro fragilità e mancanze, ma il cuore del messaggio cristiano è intatto, è tutto lì sempre più forte ed attuale, tanto più lo si nega: prendere o lasciare.
A proposito di smarrimento, di speranza e perseveranza vorrei proporvi la lettura di una lettera del Priore della Comunità di Bose per la festività di Pentecoste 2011, che un'amica mi ha girato con e-mail. La pongo per una riflessione alla vostra attenzione e dei lettori:
 ANTONIO BERGAMI

Perseverare nella speranza
Lettera agli amici n.52
Pentecoste 2011
Cari amici e ospiti,

quanti di voi ci frequentano con maggiore assiduità o seguono gli interventi del Priore su giornali e periodici avranno notato una nostra crescente preoccupazione per la situazione ecclesiale, italiana ma non solo. Avvertiamo un clima di stanchezza, di fatica, di scoramento che qualcuno ha riassunto in un'espressione molto efficace: "Manca il respiro". Quello che già anni fa era stato definito uno "scisma sommerso" ha assunto più i tratti di un sofferto silenzio, di un ritrarsi in disparte riflettendo su un grigiore che come nebbia autunnale sembra avvolgere e intridere tutto. Anche tra di noi, i più anziani, che han conosciuto lo slancio della primavera conciliare, vedono sfuocarsi sempre più le speranze nate allora dalla fede salda e dall'audacia profetica non di singole figure ma della massima autorità magisteriale cattolica: un concilio ecumenico cum Petro et sub Petro. I più giovani risentono del clima da orizzonte chiuso con cui deve quotidianamente confrontarsi la loro generazione cui viene negata la credibilità stessa di un possibile futuro migliore. Sì, dire che "manca il respiro" non significa solo avvertire l'affanno di polmoni affaticati o non irrorati da aria fresca, ma vuol dire anche constatare che "il nostro respiro" di credenti, lo Spirito del Signore risorto trova ostacoli nell'aprire mente e cuore alla sua volontà di pace e vita piena.

Assistiamo alla voce sempre più soffocata di quella che nella chiesa non si dovrebbe chiamare "opinione pubblica" ma piuttosto sensus fidelium: la sensibilità, la percezione della fede e delle sue implicazioni che ogni battezzato è abilitato dallo Spirito santo a esercitare e ad alimentare attraverso il confronto con i fratelli e le sorelle nella fede, attraverso la correzione fraterna, l'ascolto reciproco, la comune edificazione di quell'edificio spirituale di cui siamo chiamati a essere "pietre vive" (cf. 1Pt 2,5). Oggi, nel torpore dominante, molte delle stesse guide della comunità cristiana paiono incapaci di una parola convinta, decisa, obbediente al "sì sì, no no" evangelico, una parola in grado cioè di far risuonare con vigore nell'oggi della storia le assolute esigenze cristiane. Quando anche la voce di un pastore si leva con parresia, questa cade senza ulteriori risonanze perché il paradossale intreccio di mutismo e frastuono, unito all'assuefazione alla menzogna, la soffocano sul nascere o la relegano nel campo delle buone intenzioni di un personaggio "singolare".
Per contro, quasi ogni giorno vi è chi vuol far apparire la chiesa come un'arena in cui si fronteggiano fazioni contrapposte, incapaci di ascoltarsi e di ricercare insieme un cammino di comunione e tese invece a tacitare "l'altro", a prevalere negli organigrammi, a "vincere" chissà quale conflitto ideologico. Eppure Gesù ha ammonito con forza i suoi discepoli. "Non così tra voi!" (Mc 10,43). E "non così" si erano comportati i padri conciliari al Vaticano II, che avevano saputo confrontare le loro diverse visioni di chiesa per sottometterle al giudizio della parola di Dio e del suo farsi storia nell'oggi dell'umanità, fino a farle convergere in una lettura condivisa perché docile allo Spirito.

Questo nostro tempo si sta rivelando tempo di prova e di sofferenza. Certo, non la prova estrema della persecuzione e del martirio, cui tanti nostri fratelli e sorelle nella fede vanno incontro, ma la prova della perseveranza, della fedeltà a scrutare "come se si vedesse l'invisibile". Anche dopo la vittoria di Cristo, dopo la sua resurrezione e la trasmissione delle energie del Risorto al cristiano, resta infatti ancora operante l'influsso del "principe di questo mondo" (2 Cor 4,4), sicché il tempo del cristiano permane tempo di esilio, di pellegrinaggio, in attesa della realtà escatologica in cui Dio sarà tutto in tutti. Il cristiano infatti sa - e non ci stancheremo mai di ripeterlo in un'epoca che non ha più il coraggio di parlare né di perseveranza né tanto meno di eternità, in un'epoca appiattita sull'immediato e sull'attualità - che il tempo è aperto all'eternità, alla vita eterna, a un tempo riempito solo da Dio: questa è la meta di tutti i tempi, in cui "Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre" (Ebr 13,8). Il télos delle nostre vite è la vita eterna e quindi i nostri giorni sono attesa di questo incontro con il Dio che viene.
Risuonano quanto mai attuali le parole di Dietrich Bonhoeffer, testimone di Cristo in mezzo ai suoi fratelli in una stagione di martirio per quei cristiani che avevano rifiutato ogni compromesso con la barbarie nazista: "La perdita della memoria morale non è forse il motivo dello sfaldarsi di tutti i vincoli, dell'amore, del matrimonio, dell'amicizia, della fedeltà? Niente resta, niente si radica. Tutto è a breve termine, tutto ha breve respiro. Ma beni come la giustizia, la verità, la bellezza e in generale tutte le grandi realizzazioni richiedono tempo, stabilità, 'memoria', altrimenti degenerano. Chi non è disposto a portare la responsabilità di un passato e a dare forma a un futuro, costui è uno 'smemorato', e io non so come si possa colpire, affrontare, far riflettere una persona simile". Scritte quasi settant'anni fa, queste parole pongono il problema della fedeltà e della perseveranza: realtà oggi rare, parole che non sappiamo più declinare, dimensione a volte sentite perfino come sospette o sorpassate e di cui - si pensa - solo qualche nostalgico dei "valori di una volta" potrebbe auspicare un ritorno.

Ora, se la fedeltà è virtù essenziale a ogni relazione interpersonale, la perseveranza è la virtù specifica del tempo: esse pertanto ci interpellano sulla relazione con l'altro. Non solo, i valori che tutti proclamiamo grandi e assoluti esistono e prendono forma solo grazie ad esse: che cos'è la giustizia senza la fedeltà di uomini giusti? Che cos'è la libertà senza la perseveranza di persone libere? Non esiste valore né virtù senza perseveranza e fedeltà! Oggi, nel tempo frantumato e senza vincoli, queste realtà si configurano come una sfida per ogni essere umano e, in particolare, per il cristiano. Ma come riconoscere la propria fedeltà se non a partire dalla fede in Colui che è fedele? In questo senso il cristiano "fedele" è colui che è capace di memoria Dei, che ricorda l'agire del Signore: la memoria sempre rinnovata della fedeltà divina è ciò che può suscitare e sostenere la fedeltà del credente nel momento stesso in cui gli rivela la propria infedeltà. E questo è esattamente ciò che, al cuore della vita della chiesa, avviene nell'anamnesi eucaristica.
È lì, al cuore della nostra fede, che dobbiamo tornare per ritrovare speranza contro ogni speranza, per ritrovare un respiro capace di riaprirci orizzonti di vita piena, perché nulla mai potrà separarci dall'amore di Dio e dal Vangelo che ce lo ha narrato
I fratelli e le sorelle di Bose
(Nella foto Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose)
 

 

di Dante Freddi (30 settembre)

Caro Pier Luigi,
non so da che parte debbano stare i cattolici in Italia, ma credo che arrivare a giustificare il "bunga bunga" ed a cedere il voto con la presunta difesa di quei principi "non negoziabili" a cui tu accenni abbia prodotto l'avvilente situazione attuale, in cui i cattolici sono usati, secondo le convenienze, perfino dalla Lega. 
Il clericomoderatismo è una sensibilità sempre presente nella cultura cattolica, prezioso contrappeso alla forza rivoluzionaria del Vangelo, ed è un contributo utile al raggiungimento del migliore equilibrio nei rapporti con la politica, che non può fondarsi però sulla "concessione in gestione"  di valori sostanziali, primo l'amore ( non quello del Partito dell'amore berlusconiano), quella caritas che  per i cattolici si realizza "nella verità" ma che è contenuto comune delle aspirazioni dei popoli e si concretizza nella pace, nella giustizia, nella difesa della vita, nella tolleranza, nel lavoro, nella sicurezza, nella salute, nella serenità, in una possibile felicità anche su questo versante terreno della vita. Tutti, non soltanto i cattolici, vogliono perseguire questi obiettivi e possiamo procedere insieme per raggiungerli, in ogni schieramento politico, ma per noi la caritas si realizza completamento soltanto in veritate, in Cristo.
Cambia l'obiettivo finale rispetto ad altri ed il percorso comune è possibile se è illuminato, non possiamo procedere con tutti, il fine non giustifica i mezzi, non possiamo subire l'umiliazione di "bunga bunga" o roba del genere.

Il "bunga bunga" è emblematico perché gradino più basso della moralità, è mancanza di rispetto per la persona, è arroganza, riassume tutte quelle "concessioni" che sono soltanto uno scontato elenco dei soprusi che il nostro Paese sta subendo in questi sciagurati giorni.

Tu ricordi che "Un vero cristiano deve difendere i principi in cui crede: con fermezza sempre, con intransigenza se necessario, con eroismo se indispensabile, ma con fede assoluta nella Divina Provvidenza e senza cedere alla disperazione". E' giusto. Bisogna credere che c'è un disegno che non conosciamo, ma probabilmente fa parte dei disegni della la Provvidenza anche che noi insorgiamo per contribuire alla realizzazione della volontà di Dio. L'accoglimento della Provvidenza, altrimenti, potrebbe risultare rassegnazione e la società non farebbe un passo avanti né nella carità né nella verità.

"Volere il bene comune e adoperarsi per esso è esigenza di giustizia e di carità". "La carità manifesta sempre anche nelle relazioni umane l'amore di Dio, essa dà valore teologale e salvifico a ogni impegno di giustizia nel mondo"

Serve forse altro per i cattolici?

Offro a te, ai lettori e a me questo brano, centrale a mio avviso, dell'enciclica di Benedetto XVI "Caritas in veritate". E' così denso che riempie l'anima.

P.S. La foto in home e anche qui a lato ritrae don Romolo Murri, fondatore della prima Democrazia Cristiana, ispiratore ad Orvieto, all'inizio del Novecento, del periodico cristiano sociale "Il Comune", a cui io, te e tanti amici sono ancora affezionati.

« Caritas in veritate » è principio intorno a cui ruota la dottrina sociale della Chiesa, un principio che prende forma operativa in criteri orientativi dell'azione morale. Ne desidero richiamare due in particolare, dettati in special modo dall'impegno per lo sviluppo in una società in via di globalizzazione: la giustizia e il bene comune.

La giustizia anzitutto. Ubi societas, ibi ius: ogni società elabora un proprio sistema di giustizia. La carità eccede la giustizia, perché amare è donare, offrire del "mio" all'altro; ma non è mai senza la giustizia, la quale induce a dare all'altro ciò che è "suo", ciò che gli spetta in ragione del suo essere e del suo operare. Non posso « donare » all'altro del mio, senza avergli dato in primo luogo ciò che gli compete secondo giustizia. Chi ama con carità gli altri è anzitutto giusto verso di loro. Non solo la giustizia non è estranea alla carità, non solo non è una via alternativa o parallela alla carità: la giustizia è « inseparabile dalla carità » [1], intrinseca ad essa. La giustizia è la prima via della carità o, com'ebbe a dire Paolo VI, « la misura minima » di essa [2], parte integrante di quell'amore « coi fatti e nella verità » (1 Gv 3,18), a cui esorta l'apostolo Giovanni. Da una parte, la carità esige la giustizia: il riconoscimento e il rispetto dei legittimi diritti degli individui e dei popoli. Essa s'adopera per la costruzione della "città dell'uomo" secondo diritto e giustizia. Dall'altra, la carità supera la giustizia e la completa nella logica del dono e del perdono [3]. La "città dell'uomo" non è promossa solo da rapporti di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione. La carità manifesta sempre anche nelle relazioni umane l'amore di Dio, essa dà valore teologale e salvifico a ogni impegno di giustizia nel mondo.

7. Bisogna poi tenere in grande considerazione il bene comune. Amare qualcuno è volere il suo bene e adoperarsi efficacemente per esso. Accanto al bene individuale, c'è un bene legato al vivere sociale delle persone: il bene comune. È il bene di quel "noi-tutti", formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale [4]. Non è un bene ricercato per se stesso, ma per le persone che fanno parte della comunità sociale e che solo in essa possono realmente e più efficacemente conseguire il loro bene. Volere il bene comune e adoperarsi per esso è esigenza di giustizia e di carità. Impegnarsi per il bene comune è prendersi cura, da una parte, e avvalersi, dall'altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale, che in tal modo prende forma di pólis, di città. Si ama tanto più efficacemente il prossimo, quanto più ci si adopera per un bene comune rispondente anche ai suoi reali bisogni. Ogni cristiano è chiamato a questa carità, nel modo della sua vocazione e secondo le sue possibilità d'incidenza nella pólis. È questa la via istituzionale possiamo anche dire politica della carità, non meno qualificata e incisiva di quanto lo sia la carità che incontra il prossimo direttamente, fuori delle mediazioni istituzionali della pólis. Quando la carità lo anima, l'impegno per il bene comune ha una valenza superiore a quella dell'impegno soltanto secolare e politico. Come ogni impegno per la giustizia, esso s'inscrive in quella testimonianza della carità divina che, operando nel tempo, prepara l'eterno. L'azione dell'uomo sulla terra, quando è ispirata e sostenuta dalla carità, contribuisce all'edificazione di quella universale città di Dio verso cui avanza la storia della famiglia umana. In una società in via di globalizzazione, il bene comune e l'impegno per esso non possono non assumere le dimensioni dell'intera famiglia umana, vale a dire della comunità dei popoli e delle Nazioni [5], così da dare forma di unità e di pace alla città dell'uomo, e renderla in qualche misura anticipazione prefiguratrice della città senza barriere di Dio.

di Silvio Manglaviti

L'invito del Dottor Leoni è di quelli che non si possono eludere da struzzi.
Mi piacerebbe poter contribuire alla discussione ragionando (pur con tutti i miei pesanti limiti in materia) degli alti spunti di riflessione che sull'argomento ci hanno regalato immense figure di pensatori ed innamorati della Conoscenza.
In particolare, al riguardo, mi preme affrontare l'aspetto indifferenza - nutrimento della disconferma - il vero veleno dell'esistenza.
Premesso che la storia della Chiesa cattolica è pregna di contrasti e vicissitudini, malefatte e turpitudini perpetrate nel nome di Dio e di Cristo a scapito di malcapitati fedeli ed infedeli, e che quindi è perfettamente comprensibile la causa della dissociazione e dell'indifferenza di oggi (ma anche di ieri ed avantieri) nei confronti del Vangelo, non si può non tentare un ragionamento sull'inesauribile proliferazione di inebetimento, alienazione, per varie cause psichiche e materiali, e pure droghe fumate e virtuali ma anche culturali, e televisive ed internetiche, in parte risultanza anche forse di un progetto per il controllo mentale e materiale degli esseri viventi. Chi tesse la tela? Persino un tempo anche la Chiesa. A quale scopo? Ad esempio, per la gestione della pubblica opinione, da sempre fil rouge dell'evoluzione di culture, civiltà e società umane. L'indifferenza è l'antimateria del Pensiero e della Vita del Cristiano. Seppure materia ed antimateria condividano la genesi.
Nato cattolico di famiglia cattolica, del cui significato poco in realtà comprendevo veramente, mi resi presto conto, che - nella famiglia e nella società, nei rispettivi ruoli dati e conseguenti interazioni dei soggetti attori: figli, genitori, parenti, amici, conoscenti, compagni di studi, di giochi, concittadini, amministratori della cosa pubblica, governanti, professionisti, dilettanti, amatoriali, politicanti e umanità varia - lo stile di vita, se improntato o di natura cattolica, rivelava delle falle; discrasie, distonie, incongruenze, che si mostravano con sempre maggior evidenza via via che, crescendo ed ampliando gli elementi di conoscenza a mia disposizione, inevitabilmente mi trovassi a confrontare, comparare, paragonare, il Vangelo di Cristo con la quotidianità.
Maritain (Humanisme integral, 1936) mi offriva la sponda nel distinguo posto in evidenza tra quello che il cattolico fa "in quanto" cattolico, connesso a culto e dottrina, e quello che fa "da" cattolico quale attore, soggetto nella storia. Un escamotage non di poco conto. Non mi pareva velleitario trasporre sulle mie imberbi perplessità di "tranvato" dal Messaggio Evangelico ed Apostolico, le speculazioni relative alla Rerum Novarum leoniana e alla sua 'celebrazione' nella Quadragesimo Anno di Pio undecimo. Il "Diario di un curato di campagna" di Bernanos, poi, sugellava tanti miei punti esclamativi (e interrogativi) in quell'angusta Ambricourt - Orvieto dell'indifferenza e dell'ostilità. Con essi e con le risorse che la scuola e il mondo andavano proponendo, incontrai anche Agostino. Girolamo. Francesco, sul Subasio. Salvatore monaco, a Camaldoli. E mi capitarono pure Murri, Sturzo, De Gasperi, La Pira il rapporto tra quanto mi pervade dall'incontro col Santissimo Sacramento e quel che deriva dallo struscio per il Corso è però sempre, ancora, su due binari ( saran nate così anche le "convergenze parallele" di Moro?) e comincio a rendermi conto di quello che vuol dire Maritain nel cercare di venire quantomeno a capo del perché di questa divisione tra religiosità e sociale; il Pensiero Sociale Cristiano; Stato e Chiesa e liberi entrambi; l'autonomia dei cattolici: nella vita e nella politica (scissione nella scissione). Parecchi elementi di riflessione ho potuto rintracciare attraverso Roncalli, Montini e Wojtyla. Con Ratzinger sono alla fase di approccio. Ma non è semplice e ogni volta torna il dubbio se tanta ricerca sia davvero necessaria e se valga la pena.
Mi ha sempre confortato per fortuna ritornare alla lettura del Vangelo che il mio parroco aveva impresso nel mio piccolo cervellotico mondo, soprattutto laddove continuamente ci si stupisce del perché e percome Gesù non avesse voluto aderire compiutamente alla causa zelota: eppure perfino San Tommaso mi pareva anticipare il comunismo, non ritenendo furto quanto preso, contro la volontà del proprietario, per saziar la fame; sanciva il maggior valore del diritto all'uso comune rispetto a quello dei beni sull'appropriazione privata degli stessi. Anche il Jesus Christ Superstar di Norman Jewison contribuiva poi non poco a gettar benzina sul fuoco. Quella lettura mi ricordava ogni volta il superamento (attenzione: non il distacco; il distoglimento; l'indifferenza dolosa, cercata, voluta e praticata) della naturale propensione tutta umana verso il materiale, in senso esclusivo.
Ed ogni volta - continuamente incrociando Riforma e Controriforma - riemerge sempre e solo il Vangelo. Quel Cristo che nella storia umana caccia i mercanti dal tempio ed intima di restituire a cesare il proprio; che prende nella sequela un esattore delle tasse.
Ma un povero cattolico di rito romano (transitato incidentalmente in quello ambrosiano), in tutto 'sto popo' di caos sociale, politico, economico, che cosa può e deve fare?
La Pira - che sempre più oggi m'ispira - mi propone ogni volta un cristianesimo concreto e d'impegno reale sociale. C'è un ospedale? Deve poter funzionare. C'è un opificio? Deve poter lavorare e produrre!
Quindi la vita vera vissuta prima di tutto, poi il filosofar.
Come far camminare la macchina però? Col carburante dell'Ama il prossimo tuo come Dio ti ama, ovvero come Tu ami te stesso. Che comprende e va oltre il laico rispetto di diritti, dignità e libertà.
L'impegno politico da cristiano cattolico è la marcia in più dunque?
Non credo che oggi un partito dei cattolici abbia più senso, ammesso e non concesso che lo avesse pure la D.C. quale baluardo antisovietico.
Quella lettura del mio parroco di cui sopra dicevo, mi ha convinto che un cristiano non può e non dove sposare una causa in particolare. Egli è seme e sale ovunque. Come tale deve - nel Vangelo il mandato, il missa est - spingersi in ogni direzione, portare frutto ovunque e a prescindere; affidandosi soltanto al Padre, senza curarsi di sandali e bisacce.
Le visioni del mondo infatti sono infinite, anche una volta operato il discernimento delle migliori, buone e propositive, da quelle autodistruttive.
Avviandomi a concludere, invito a dare un'occhiata al "Cristo dell'Amiata" di Arrigo Petacco. Si narra del visionario postrisorgimentale David Lazzaretti che sul Monte Labbro presso Arcidosso (tra l'Alfina e l'Amiata) vi fondò la Società delle Famiglie Cristiane o Lega della Speranza, miscugliando artatamente socialismo reale e visione cristiana. Fece una brutta fine: come tanti, sia socialisti che cristiani. Al di là ovviamente di ogni considerazione val la pena vedere cosa accade quando si tenta di far convergere le rotaie di un binario. Altro sarebbe se si trattasse di monorotaia. Ed anche qui, non mancano esempi anche attuali di se e come funzionino certe teocrazie. Da quel poco che oggi, a cinquanta primavere, mi pare di riuscire a scorgere nel Vangelo - e sono ancora immerso nelle nebbie - è che nella Vita bisogna portarselo in mano (nemmeno in tasca) e sfogliarlo di continuo, specchiandovisi. Non è sufficiente battersi il petto e procacciar messe per i propri morti. Non basta un mantello e una benedizione. Qual è la distanza tra Cristo, zeloti e sepolcri imbiancati?
Ritengo che il cattolico, cioè il cristiano universalizzato (perché Cristo nasce ebreo in terra di Palestina e parla ad un popolo che si ritiene eletto) in virtù della diffusione che del Messaggio Evangelico fecero gli Apostoli, debba restare autonomo (Salvatore monaco lo chiarisce bene in un bel dipinto in cui noi siamo pali elettrici o telefonici, tutti stagliati e distinti ma collegati), indipendente rispetto ai tanti ruoli che la società contempla, permeandoli si e caratterizzandoli certo, quale cristiano.
In questo senso credo che il cittadino cattolico possa portare il proprio contributo nella politica, che deve però essere la vera vita vissuta di ogni giorno da tutti i cittadini e non solo lo scranno dei palazzi del potere. La politica non può essere alta e bassa. È la vita quotidiana cittadina. Gesù - se in certo senso lato alcuni tratti del ministero evangelico possono sapere di politica - stava per la strada tra la gente, pur tracciando il catechismo con i Suoi. Praticando l'amare, per discernere, comprendere e perdonare se del caso, fino a porgere l'altra guancia, al fine di non prender lo schiaffo da schiavo dato di manrovescio dal padrone.
Fino a dove però è possibile spingersi per un cattolico in politica nell'arte dell'intrigo, del doppiogioco, dell'ipocrisia, del voltagabbana, del far quadrare i conti con cinico machiavellismo? Certo che si può errare: chi non fa non falla. Certo che il cristianesimo contempla peccato, confessione e perdono: ma questi non posso essere alibi di comportamenti incongrui, ameni ed illeciti in politica. Quanto ci crede, un cattolico in politica, a quel che dice e fa, e quanto a quel che dovrebbe dire e fare? Credo all'impegno in politica da cattolico, assai meno ad una politica cattolica. Proprio al partito cattolico, oltre che ai pulpiti, si deve tanto scontento e distacco. E basta guardarsi in casa, qui nella nostra piccola realtà, per averne riscontro.
Un altro grande problema del mondo cattolico sta infatti, secondo me, nella delega del sacro alla gerarchia ecclesiastica, determinando così un'ulteriore suddivisione di ruoli e doveri, distinti tra laici cattolici e preti.
Il problema sta proprio nel comportamento. E qui siamo nel campo del tutticontrotutti. Noi che guardiamo i preti che a loro volta ci guardano. Tutti dimentichi che nessuno può giudicare l'altrui fare pregiudizialmente. Che noi come i preti rispondiamo ciascuno intimamente del pensiero e dell'azione, da cristiani.
Già, qui sta la differenza tra l'essere (il comportarsi di conseguenza) cattolici e no.
Non v'è dubbio che noi cattolici, in più, dovremo anche rispondere del compito assolto nella società rispetto al mandato ricevuto con il Vangelo.
Inoltre, e chiudo veramente, non credo che sia necessario per forza professarsi cattolico agendo nel sociale quotidiano. Siamo uno dei tanti colori dell'arcobaleno. Sarebbe quindi già sufficiente poter contribuire al perseguimento del comune benessere nella gestione della cosa pubblica con l'esempio che in quanto cattolici abbiamo il dovere di dare.
A rischio di beccarmi un'altra accusa di spaccio non richiesto di sermone, torno a dire che un cattolico non può eludere la consapevolezza di essere figlio di Dio. Come tale, responsabile e pronto ad assumersi la responsabilità delle proprie azioni, nella vita quotidiana e dunque anche in politica.
Ed è ben diverso che comportarsi da sudditi beoti, idioti servi sciocchi ed arroganti scaltri yesmen.


di Mario Tiberi (8 settembre 2011)

STRADA FACENDO, DOVE ANDRANNO I CATTOLICI ITALIANI?.

L'accorato appello di Benedetto XVI°  rivolto ai cattolici italiani di non aver timore a impegnarsi in tutti i campi delle attività umane, in primo luogo nella politica, non dice nulla di nuovo rispetto ad una prassi ormai consolidata da circa cento anni a questa parte.
Dopo la "Legge delle Guarentigie", il "Non Expedit" di Pio IX° e i vari "Placet et Exequatur" di stampo giurisdizionalista, l'impegno dei credenti cristiani nella vita pubblica non è mai venuto meno e, nel segno del pluralismo, si è articolato non attraverso un'unica rappresentanza partitica.
Anche ai tempi della Prima Repubblica, l'allora Democrazia Cristiana non raccoglieva l'intero bacino elettorale del potenziale voto cattolico che, in porzioni seppur minoritarie, si posizionava sia alla sua destra che alla sua sinistra. Ho conosciuto personalmente cittadini, dichiaratamente atei, che avevano sposato gli ideali e il progetto politico del partito democristiano e ad esso sono rimasti fedeli finché il corso della storia lo ha loro consentito, come al contrario molti cristiani, in nome di una spesso giustificata avversione verso le gerarchie ecclesiastiche, scelsero strade politiche diverse non senza qualche sacrificio o rischio personale.
Dopo gli eventi succedutisi alla caduta del Muro di Berlino e la conseguente diaspora dal partito cattolico, il fenomeno della frantumazione e della polverizzazione si è ulteriormente accentuato fino ad arrivare a forme, ad oggi, ancora in parte sconosciute e non del tutto scandagliate.
Semmai, il solo elemento di vera novità è che l'invito del Papa deve necessariamente radicarsi nell' etica comportamentale indicata dagli insegnamenti sociali contenuti nei quattro Vangeli.
Quando si professa che "è la norma della legge posta al servizio dell'uomo e non l'uomo divenire schiavo di essa", che "ogni prestatore di opera ha diritto alla sua mercede", che "al nostro prossimo, chiunque esso sia, va concesso il sostegno materiale e spirituale di cui necessita", allora è nel fare ciò che sta scritto la distinzione tra chi non deve temere l'impegno pubblico e chi ,invece, traditore e incoerente, ne deve provare il massimo spavento.
Qualcosa sta bollendo in pentola: non posso credere alle parole di autorevoli esponenti della Destra attualmente al potere, quando affermano che i rapporti Stato-Chiesa sono eccellenti anche se richiedono costanti azioni di rinsaldamento e vivificazione.
Non ci posso credere per il semplice motivo che la legislazione atta a dirimere il conflitto d'interessi   
è servita solo ad uno a danno di tutti gli altri e, quindi, ha reso questi ultimi succubi e sudditi della norma divenuta legge, che la congiuntura economica, data come fosse una pura invenzione, ha determinato una lunga schiera di nuovi "senza lavoro" e senza la legittima mercede per i bisogni di vita, che agli ultimi degli ultimi non può più essere offerta nemmeno una minestra calda perché respinti ancor prima di capirne drammi e sventure.
La Chiesa di Pietro e di Paolo, di fronte a simili ingiustizie, non potrà non far sentire la Sua voce e, con essa, quella dei Suoi fedeli. Ai cattolici, dunque, il compito di contribuire in maniera determinante a concretizzare una svolta significativa nelle politiche sociali ad oggi stagnanti nelle paludi dell'egoismo individualistico e dell'ottimismo immotivato.
Il dibattito su questi argomenti è solo agli inizi, ma il terreno è dissodato e potenzialmente fertile: spetterà anche a me, cattolico e democratico, gettare un seme nel solco lasciato aperto dall'aratro.


di Per Luigi Leoni (6 settembre 2011)

Caro Direttore,

so il ruolo dei cattolici in politica fa parte della tua sensibilità, del tuo vissuto e della tua cultura. Perciò non ho remore a chiederti di ospitare nel tuo giornale un dibattito su questo tema.

L'argomento è d'attualità, come tutti sappiamo, ed è emerso in modo molto franco nel Meeting di Rimini. Estraggo da un articolo di Andrea Tornielli sulla "Stampa", alcune affermazioni piuttosto nette, che, pur non essendo nuovissime, possono servire come partenza per avviare il discorso.

"Il lento crepuscolo della leadership di Berlusconi rappresenta anche il tramonto del clerico-moderatismo, che in questi ultimi anni ha visto molti cattolici perdere molta parte della loro originalità in politica. Hanno finito per giustificare il bunga bunga." (Massimo Borghesi - filosofo).

"Negli ultimi anni si è finito per considerare i 'princìpi non negoziabili', cioè la difesa della vita, della famiglia e della libertà di educazione, non come un punto di partenza per l'impegno politico dei cattolici, ma come un punto d'arrivo. Così si finisce per ridurre l'originalità dei cattolici in politica e si rischia di dare deleghe in bianco, facendosi rappresentare in cambio della difesa dei valori. È come se, nel PdL, si fosse riproposto ciò che accadde col patto Gentiloni, quando i cattolici, alla loro prima partecipazione alle urne, votarono i candidati moderati che avevano sottoscritto alcuni punti programmatici Quest'epoca è al tramonto Serve un impegno rinnovato che non definisca la presenza dei cattolici in politica soltanto con i principi non negoziabili. Anche perché oggi, accanto a quelli, che per noi restano imprescindibili, ci sono le emergenze del lavoro, della povertà che cresce, di un Paese che ha bisogno di guardare al futuro" (Carlo Costalli, presidente del Movimento Cristiano lavoratori).

"Più che dire agli altri che cosa devono fare, i cattolici devono fare, per testimoniare che è possibile fare. La sussidiarietà, il valorizzare le iniziative dal basso è l'unica occasione di governo per le nostre comunità sconquassate, perché le persone tornino protagoniste. Bisogna dare più senso alla nostra democrazia, la quale o è partecipata o non è." (Raffaele Bonanni, presidente della Cisl).

"La Cei non sponsorizza la rinascita di un partito cattolico Non c'è (ancora) un partito Ma, soprattutto nel caso il Cavaliere non si ricandidasse e nonostante l'apprezzamento verso il cattolico Angelino Alfano, aleggia l'ipotesi di un nuovo 'contenitore' in grado di attrarre personalità del PdL, dell'Udc e del Pd Il sociologo Giuseppe De Rita ha scritto che i tre mondi separati, quello delle associazioni, quello dei fedeli e quello dei cattolici che già fanno politica, per convergere avrebbero bisogno di un grande 'federatore' Cercasi De Gasperi disperatamente." (Andrea Tornielli).

A questo punto non posso fare a meno di autocitarmi, anche perché il punto di vista di un "reazionario" può essere utile, se non altro per far saltare i nervi quasi a tutti e stimolare il confronto.

Trascrivo dal mio "Elogio di Papa Mastai" il capitoletto conclusivo, non senza avvertire che, come ha scritto quel grande reazionario che fu Nicolás Gomez Dávila, "credendo dire ciò che vuole, lo scrittore  dice solo ciò che può".

Il messaggio di Pio IX agli uomini d'oggi

Dopo Pio IX, data la prevalenza della moderazione da parte del governo italiano e grazie alla sufficiente indipendenza e libertà goduta dalla Chiesa cattolica, è andata pian piano maturando e si è consolidata nei cattolici la convinzione che la fine del potere temporale dei Papi sia stata un evento provvidenziale, che ha liberato la Chiesa dalle pastoie del potere politico e le ha consentito di purificarsi e di aumentare di prestigio spirituale.

Ma le cose stanno proprio così?

Nel 1922 la Santa Sede, legata di fatto all'Italia per la salvaguardia della propria libertà, di fronte ai seri pericoli di una rivoluzione bolscevica, si vide costretta a puntare sulla soluzione autoritaria, pur senza entusiasmo e consapevole della non evangelica ispirazione di essa. Evitò così il peggio a sé e all'Italia, ma dopo aver corso il rischio concreto di cadere dalla padella di un moderato regime anticlericale alla brace di un regime persecutore.

Nel 1929 la Santa Sede stipulò col governo fascista i Patti Lateranensi, consistenti in un trattato di diritto internazionale e in un concordato per gli aspetti religiosi. L'avvenimento frenò le tendenze totalitarie del regime, ma la Chiesa fu sostanzialmente costretta a venire a patti con un governo autoritario.  Peraltro col trattato veniva fondato lo Stato della Città del Vaticano. Uno Stato simbolico dal punto di vista territoriale e militare, ma tutt'altro che simbolico negli aspetti politici, diplomatici, economici e finanziari: una piccola "vendetta" della buonanima di Pio IX che perdura tuttora.

Negli anni 1943-44, durante l'occupazione nazifascista di Roma, la Santa Sede visse sul filo del rasoio. E, se fece l'impossibile per aiutare gli Ebrei braccati, non poté gridare ai quattro venti, con la libertà di cui avrebbero goduto i Papi nello Stato pontificio,  la condanna della persecuzione razziale. Da parte laicista, ancor più che da parte israelita, si accusa ingiustamente Pio XII per i suoi silenzi. Ma, in ogni modo, l'inconsistenza territoriale e militare del Vaticano non ha giovato né agli Ebrei perseguitati né al prestigio della Chiesa cattolica.

Finita la seconda guerra mondiale, la Santa Sede corse nuovamente il pericolo di essere prigioniera di uno Stato anticristiano. Non c'è da meravigliarsi se si dette molto da fare per portare e poi mantenere al potere un partito cattolico. Anche quella volta la Chiesa ha salvato se stessa e l'Italia. Ma ha dovuto inserirsi pesantemente nel gioco della politica lasciando che i politici cattolici s'impantanassero, come capita anche alle democrazie, nella ricerca del consenso attraverso il clientelismo e la corruzione.

Il buon Pio IX, quando difendeva la teocrazia pontificia, paventava i pericoli che puntualmente si sono verificati. Egli difendeva le istituzioni che gli erano state affidate con la tenacia di chi ritiene di adempiere un dovere, perché non voleva caricarsi sulla coscienza i guai che si annunciavano. Intuiva che la posizione della Santa Sede, una volta privata di una sua vera e propria entità statale e della relativa sovranità, si sarebbe indebolita sul piano internazionale, avrebbe corso tremendi pericoli e sarebbe dovuta scendere a pericolosi equilibri e  compromessi.

Ma Pio IX ha lasciato alla storia un esempio di come un vero cristiano deve difendere i principi in cui crede: con fermezza sempre, con intransigenza se necessario, con eroismo se indispensabile, ma con fede assoluta nella Divina Provvidenza e senza cedere alla disperazione. Infatti, mentre i politici in disgrazia solitamente si disperano,  si ammazzano, o si fanno ammazzare, Pio IX, acquisita la certezza della fine della sua funzione di Papa Re, si mise a comporre una  sciarada: meglio l'enigmistica che la disperazione.

Ma non va neppure taciuto che la difesa da parte di Pio IX, se era giusta sul piano religioso, era corretta anche sul piano giuridico e politico. Infatti la conquista dello Stato pontificio costituì un vera e propria violazione del diritto internazionale perpetrata dai Savoia per avidità di potere e per assurgere alla dignità di grande dinastia europea. Quanto alle forze che la sostennero, esse rappresentavano gli ideali e gli interessi di una parte limitatissima del popolo italiano, cioè della borghesia industriale, della casta militare e di una parte degli intellettuali. Le masse non ebbero voce in capitolo e, quando si trovarono coinvolte, manifestarono, anche col sangue, ben altre tendenze.

Oggigiorno nemmeno Pio IX rivendicherebbe il potere temporale, ma non per ragioni di principio, invece perché la  secolarizzazione di massa, prodotta dai veleni della modernità, e la democrazia di massa, in cui non si può prescindere da un vasto consenso per le trasformazioni epocali, rende improponibile un discorso, anche se rivisto e corretto, in tal senso. Per questo il potere temporale del Papa, o meglio il problema dell'autonomia e della libertà della Santa Sede, è un argomento completamente accantonato. Tanto che la stessa Chiesa italiana parla come se il problema non esistesse, ma si tutela e continua ad agire concretamente - poiché altro al momento non le è concesso - per controllare, condizionare e orientare la politica italiana. Non solo, ma i politici d'ispirazione cattolica, quasi d'istinto, una volta venuto meno il pericolo comunista e fattosi strada il bipolarismo, si sono ripartiti a destra, a sinistra e nel mezzo per sabotare il consolidamento di ciascuno degli opposti schieramenti. Infatti sarebbero guai per la Chiesa se l'uno o l'altro dei poli riuscisse ad essere tanto forte da non aver bisogno dei cattolici.

Non è una situazione ideale per una democrazia moderna,  ma è ciò che l'Italia s'è andata a cercare poco più di un secolo fa, quando non ha dato retta a Pio IX.

Pubblicato il: 23/10/2011

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