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Stefano Olimpieri. E' GIUNTO IL MOMENTO DI LANCIARE LA SFIDA ALLE STELLE

Nota dell'esponenete del centrodestra orvietano sulla soppressione delle rovince e sulla costruzione di una "nuova Italia"...

foto di copertina

Riceviamo da Stefano Olimpieri (PdL) e pubblichiamo

Dopo tanti anni di attesa e, soprattutto, dopo troppi anni di parole gettate al vento, la politica ha la possibilità di confrontarsi sulla modifica dell'architettura dello Stato, oltre a dimostrare se realmente sussiste la volontà di costruire un nuovo "sistema" Italia partendo dai territori: c'è l'opportunità, in buona sostanza, di poter capire realmente se la classe dirigente - in tutte le sue articolazioni - vuole seriamente cimentarsi con la necessità di definire un nuovo modello di Stato, le cui fondamenta si dovranno obbligatoriamente radicare sulla rigenerazione dei legami comunitari e sul senso di appartenenza. La "nuova" Italia potrà tornare ad avere una importante collocazione nello scacchiere mondiale soltanto se le proprie classi dirigenti avranno la lungimiranza e l'umiltà di mettere al centro del dibattito della riforma Istituzionale dello Stato, non più le logiche economiciste o, peggio ancora, gli interessi delle caste, ma gli elementi identitari e comunitari che hanno fatto grande nei secoli la nostra nazione e, più in generale, la nostra Europa.

Il dibattito che sta prendendo piede in merito alla cancellazione delle Provincie, invece di dare alle classi dirigenti lo strumento per alzare il livello del confronto ed avanzare proposte di ampio respiro e di lunga gittata, fa emergere in tutta la sua pochezza l'istinto primordiale della difesa del piccolo orticello. Burocrati di partito e vecchi parrucconi della politica che si inerpicano in ardite proposte di "bilanciamento" territoriale al solo fine di rimanere attaccati alla sedia del potere: in altre parole,  invece di provare a disegnare un più funzionale e serio assetto dello Stato, la politica, al solo fine di auto-tutelarsi, dibatte su qualche migliaio di abitanti o su qualche ettaro in più o in meno di territorio.Terrorizzati dal perdere la poltrona e lo stipendio, alcuni politici sostituiscono alle proposte e alle idee politiche la calcolatrice e, cosa ancor più parossistica, si cimentano nel disegnare confini impropri e fuori dalla storia al solo fine di salvare la propria poltroncina.  La sfida che oggi le classi dirigenti si trovano innanzi, non può essere affrontata attraverso la difesa degli egoismi e delle burocrazie, ma deve, al contrario, essere giocata attraverso l'apertura di un dibattito serio e fecondo per costruire un nuovo modello istituzionale, dove le piccole patrie possano tornare ad essere il motore dello Stato: aggregare attorno ad un mai sopito "idem sentire" territori e popolazioni ad oggi disarticolati e divisi da confini amministrativi anti-storici, significa rimettere in moto energie e potenzialità che un regionalismo forzato aveva (ed ha) messo in naftalina. Non solo, quindi, la possibilità di strutturare dal basso uno Stato fondato su realtà territoriali omogenee, ma, principalmente, la necessità di innovare un sistema istituzionale che, ad oggi, si è dimostrato non idoneo e, soprattutto, si è dimostrato incapace di sprigionare le tantissime potenzialità che i nostri territori e le nostre genti possono esprimere e liberare. Solamente la riscoperta delle identità e dell'appartenenza potranno porre un argine alla globalizzazione dilagante o alla crisi economica planetaria; così come solamente un sistema istituzionale nuovo (ma antico allo stesso tempo!), fondato sulla omogeneità dei territori, potrà innovare quello attuale. Ed allora, perché non rispolverare il progetto della Fondazione Agnelli della metà degli anni '90 e provare a ridisegnare il regionalismo italiano attraverso il superamento dello status quo, mediante la individuazione di tre grandi macro aree, all'interno delle quali inserire distretti territoriali realmente omogenei? Perché non superare i  vecchi e logori confini amministrativicon la costituzione di entità oggettivamente legate da strette sinergie economiche, culturali e storiche? Perché non fare dei Municipi i veri perni del decentramento amministrativo? Perché, da ultimo, non capire che secoli e secoli di storia hanno forgiato comunità, oltre ad averle assemblate attraverso il radicamento identitario?

Oggi tutta la classe dirigente si trova di fronte ad un bivio: o continuare a vivacchiare cercando di fare degli  assestamenti funzionali al salvataggio di un ormai piccolissimo orticello; o, al contrario, affrontare un difficilissimo viaggio che, seppur con grandissime difficoltà da superare, potrebbe portarci ad una Italia "nuova" e rigenerata. Da questa sfida passa il vero discrimine tra chi vuole rimanere a difendere un sistema ormai in avanzato stato di decomposizione e chi prova, ancora una volta, a lanciare la sfida alle stelle.

Pubblicato il: 19/08/2011

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