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IL FOTOVOLTAICO ALL'ALFINA NON SCALDA I CUORI DEGLI ORVIETANI

di Gabriele Vagnucci Il risparmio energetico e il fotovoltaico domestico sono il futuro e il presente di questa tecnologia. E l'Alfina è una risorsa di tutti, non di qualcuno

foto di copertina

Non è difficile trovare su giornali o su internet annunci di imprenditori agricoli disposti a vendere o affittare porzioni di terreno ad altrettanti imprenditori della cosiddetta "green economy" con l'intento di "seminare", ma celle di silicio.

Perché con la crisi che c'è le cifre che questi "imprenditori verdi" possono offrire fanno gola, soprattutto a chi ha piccoli appezzamenti di terreno non coltivato.

E' un po' quello che sta accadendo sull'altopiano dell'Alfina, famoso per l'aeroporto, per il castello e purtroppo anche per il rischio che corrono le sue dolci distese di essere ricoperte di pannelli fotovoltaici. 

E' notizia di qualche tempo fa di come circa un terzo delle domande di fotovoltaico dell'intera provincia di Terni sono state presentate nel nostro piccolo e bellissimo Altopiano.

Quando si parla di energia dal sole si parla solo del beneficio che questa apporta in termini di riduzione di anidride carbonica e che sfruttando l'energia pulita del sole non vengono utilizzate fonti fossili: quello che si ripete un po' sempre e che costituisce il cavallo di battaglia di questa forma di energia pulita. Forma energetica del presente e ma anche del futuro, a impatto ambientale basso, ma non nullo.

Altrimenti non si capirebbero i timori giustamente espressi dai comitati dell'Alfina e dei sindaci di Orvieto, Castel Viscardo e Castel Giorgio che insieme hanno deciso di esternare le loro perplessità direttamente al ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare Prestigiacomo nonché alle cariche istituzionali regionali e provinciali competenti in materia.

Cerchiamo però di capire perché questa forma di energia non è ad impatto nullo.

Oltre all'energia consumata nel ciclo di produzione delle celle fotovoltaiche (costituite essenzialmente da ossido di silicio trasformato in forni particolarmente "energivori") c'è da considerare l'impatto ambientale che queste distese di pannelli hanno sul territorio circostante.

Gli impianti fotovoltaici posti su terreni (si parla di un impianto di oltre 50Kw quindi di notevole estensione in termini di porzione di terra sfruttata) rischiano di ridurre fortemente l'attività fotosintetica degli stessi.

Questione paradossale, per una tecnologia che punta a ridurre le emissioni climalteranti.

Inoltre, per carenza/assenza di precipitazioni, a causa della copertura, la superficie andrebbe incontro a progressiva desertificazione, a meno che non si intervenga con impianti irrigui ad hoc. Non si tratta di enfatizzare un problema, si tratta di vedere la realtà dei fatti. Perché sotto quella terra che guarda il bellissimo borgo dell'Alfina vi sono importanti bacini acquiferi, che vanno salvaguardati.

Per ultimo, ma non certo per importanza, la questione dell'impatto visivo.

Una distesa di pannelli così enorme sarebbe un colpo mortale alla bellezza dell'altopiano.

Proprio recentemente lo stesso assessore regionale Rometti, sollecitato dai sindaci dell'Orvietano, ha chiarito come "siano da escludere, nella localizzazione delle zone per gli impianti produttivi, le aree classificate come beni paesaggistici".

Come può salvarsi l'Alfina quindi da questa aggressione? Solo se sarà annoverata come bene paesaggistico. Qualche mese fa è stata presentata, a tal proposito, da parte del Comune di Acquapendente alla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, la proposta di fregiare l'Alfina come "territorio di notevole interesse pubblico". E questo è già un passo avanti importante in attesa di ulteriori novità.

 

La forte concentrazione di pochi e grossi impianti realizzati al suolo rischia di vanificare quello che è lo scopo del fotovoltaico e degli incentivi messi in campo a livello nazionale (Conto energia), che giustamente attribuisce una valore incentivante maggiore per impianti di piccola taglia ad uso domestico (come i pannelli integrati sui tetti delle case ad esempio), volti all'autoconsumo in loco dell'energia prodotta e alla vendita al mercato di quella prodotta e non consumata.

Un impianto di grandi dimensioni invece, come quello che verrebbe insediato sull'Alfina, sarebbe solo uno strumento speculativo nella mani di qualche "imprenditore verde" che non farebbe altro che rivendere l'energia prodotta alla rete, usufruendo degli incentivi governativi e non apportando alcun beneficio (in termini di sfruttamento dell'energia prodotta) alla popolazione locale, distruggendo al contempo la storia rurale di un pezzo importante dell'Orvietano.

Con questo non si vuole bandire una forma energetica così preziosa come quella del fotovoltaico ma si vuole mettere l'accento sul fatto che si dovrebbe trovare alternative valide a quella dell'altopiano, dal punto di vista del sito di installazione. Ci sarebbero terre già compromesse, come ad esempio ex cave, ex discariche, che sarebbe meglio utilizzare prima di rovinare un paesaggio così ricco di fascino.

Oggi più di ieri si capisce come i ragionamenti di ordine ingegneristico faticano a collimare purtroppo col il bello e con la storia di un piccolo paese e dei suoi dintorni. I soldi non guardano in faccia a nessuno. Inoltre nessuno di coloro che hanno plasmato quel territorio e nessuno di coloro che lo abitano avrebbero dei benefici concreti (in termini di riduzione del costo dell'energia).

Il risparmio energetico e il fotovoltaico domestico sono il futuro e il presente di questa tecnologia.

E l'Alfina è una risorsa di tutti, non di qualcuno.

 

 

 

 

 

Pubblicato il: 01/08/2011

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