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SAGRE vs RISTORATORI. LO SCONTRO E' SERVITO

di Gabriele Vagnucci Ogni anno, quasi fosse una ricorrenza, con il solstizio d'estate si alza il solito polverone estivo che contrappone "sagraioli" da una parte e ristoratori dall'altra, e lo scontro non si placa almeno fino alle idi di settembre. Cerchiamo di entrarci dentro

foto di copertina

Siamo a luglio e le sagre tanto care agli orvietani (e non solo) sono finite già abbondantemente sulla graticola, tanto per rimanere in tema.

Perché ogni anno, quasi fosse una ricorrenza, con il solstizio d'estate si alza il solito polverone estivo che contrappone "sagraioli" da una parte e ristoratori dall'altra, e lo scontro non si placa almeno fino alle idi di settembre. Poteva il 2011 sfuggire a questa saga che si ripete ormai da anni senza soluzione di discontinuità? 

Ovviamente no. 

I vertici dei commercianti parlano di concorrenza sleale, i "sagraioli" delle varie associazioni di volontariato e pro loco di "movimenti che fanno crescere il senso di collettività". 

Dove sta la verità? Non è facile capirlo.

In ogni caso il fenomeno piace alla gente e si evince soprattutto dai numeri.

Numeri significativi, che evidenziano un movimento in crescita, che muove soldi, sempre di più.

Nell'ultimo periodo ci sono state ben tre sagre importanti nell'Orvietano; se si considera che il costo medio per una cena è sui 15 euro, che sono stati registrati quasi 500 coperti a sera e che la durata media di ogni sagra è di circa 3 settimane, risulta facile calcolare come il volume d'affari generato si avvicini, secondo semplici calcoli spannometrici, ai 160mila euro di fatturato per ogni singola sagra (o festa che dir si voglia), mezzo milione di euro se si considerano tutte e tre le manifestazioni . 

"Le sagre sono l'anima del tessuto associativo, uniscono anziani, bambini, persone di ogni età"- dicono i "sagraioli".

"Ben vengano le sagre e le manifestazioni che promuovano prodotti tipici del territorio, purché questi non si trasformino in veri e propri ristoranti a cieli aperto che non sottostanno alle regole ed ai vincoli dei ristoranti tradizionali". 

In effetti il nodo della questione sta tutto qua. Anche sulla interpretazione delle norme che regolamentano queste manifestazioni.

I ristoratori puntano il dito sulla mancanza, il più delle volte, di prodotti locali nelle sagre, e sul fatto che questo sia contrario alla finalità stessa di questi eventi. A ben guardare, la Legge regionale 10-12-1998 n.46 art.2,atta a discliplinare  lo svolgimento delle sagre e delle feste paesane ,contempla sia la sagra volta a favorire la promozione di prodotti tipici del territorio 

sia quella con "finalità di volontariato in genere, culturali, politiche, religiose e sportive". Insomma, tutto e niente. Dipende da come la si vuole leggere e dagli interessi che si vogliono tutelare, anche se la stessa norma al punto 2 chiarisce che"i Comuni formulano il calendario delle sagre....previa analisi riconoscitiva in sede tecnica delle caratteristiche storiche e naturali del territorio e delle sue tradizioni civili, religiose, folcloristiche in genere...". Un punto a favore dei ristoratori.

Ma è anche sulla vastità e varietà dei menu che si incentra la diatriba. 

"Non è accettabile che una sagra proponga, per esempio, una lunga lista di antipasti, primi e secondi, la maggior parte dei quali non ha nulla a che vedere col prodotto tipico che si dovrebbe valorizzare"- dicono i ristoratori. Di contro i "sagraioli", che replicano :"Proporre un menu vasto significa poter far scegliere il cliente" e poi "..se quei ristoratori che protestano riguardassero un po' i listini dei prezzi al ribasso forse si lamenterebbero di meno".

Il regolamento adottato dal Consiglio Comunale il 15-12-2008 con deliberazione n. 182, secondo quanto previsto dalla L.R. n.46 del 1998 e alla quale le sagredevono conformarmarsi non impone, di fatto, come previsto in altri regolamenti comunali, un menu con pochi piatti, di norma caratterizzati dall'uso di prodotti tipici locali. Questa volta un punto a favore dei "sagraioli".

Risulta quindi difficile capire da che parte stia la ragione. Quello che risulta lampante è che le Pro Loco e le varie associazioni di volontariato non possano prescindere dagli introiti economici derivanti dalla ristorazione, preponderanti nel bilancio finale di ogni manifestazione.

E' pertanto possibile che a volte si tenti di "gonfiare" i menu con qualche piatto in più, in affiancamento a quelli maggiormente tipici che caratterizzano la sagra stessa. Allo stesso tempo, però, viene da domandarsi se effettivamente i ristoratori abbiano motivo di temere così tanto la concorrenza delle sagre che, per quanto disseminate lungo tutto il periodo estivo, hanno una durata massima di 15 giorni e non possono essere paragonate ad un ristorante dal punto di vista dell'arredo dei locali e del servizio offerto.

Certo è che, come avviene spesso in Italia per qualsiasi attività in proprio, i ristoratori sono costretti ad una vera e propria via crucis tra scartoffie, autorizzazioni di ogni genere, idoneità e chi più ne ha più ne metta, via crucis che interessa anche i "sagraioli" ma in misura molto ridotta, anche (giustamente) a causa della durata temporanea delle manifestazioni stesse, seppur il servizio offerto sia non identico ma molto simile a quello dei ristoranti.

Come sempre servirebbe una tavola rotonda dove si possano sedere associazioni di categoria, Pro loco e Comune per trovare delle soluzioni condivise.

L'obiettivo è fare delle regole di comune accordo per scontentare il minor numero di persone possibili.

Nell'attesa, però, la gente gradisce e la polemica incalza. 

Lo scontro è servito.

 

Pubblicato il: 24/07/2011

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