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Capire le origini della crisi per uscirne presto e bene

A Destra e a Manca#91  "T'invito a discutere con me su alcune schematizzazioni del comportamento politico degli Orvietani che non vorrei fossero delle mere cantonate, quindi inutili per comprendere il presente e  ipotizzare il futuro...""Contributo di Fausto Vergari

Caro Franco,
Marguerite Yourcenar mette in bocca all'imperatore Adriano l'affermazione che "gli uomini, nella maggior parte dei casi, s'adoperano per nasconderci i loro segreti o per farci credere di averne". Sono propenso a credere che ciò avvenga sempre, e non nella maggior parte dei casi. Tuttavia, a meno che non siamo in coma, o immersi del sonno, o distratti da un impegno che ci assorbe completamente, non possiamo fare a meno di riflettere sui nostri e sugli altrui comportamenti, anche se con risultati sempre discutibili. Perciò t'invito a discutere con me su alcune schematizzazioni del comportamento politico degli Orvietani che non vorrei fossero delle mere cantonate, quindi inutili per comprendere il presente e  ipotizzare il futuro.
Se andiamo indietro con la mente ai tempi in cui prevaleva largamente in Orvieto, e governava, la fazione social comunista, dobbiamo dare atto che per le altre fazioni vi erano poche speranze di agguantare il potere. La fazione neofascista, divisa al suo interno tra i nostalgici dell'ordine e dei contadini al loro posto, e i sognatori di un mondo mitico non spoetizzato dalla liberal democrazia, contava quanto il due di briscola quando c'è l'asso in tavola e sopravviveva fiera del disprezzo da cui era circondata. La fazione clericale s'arrabattava a difendere e ampliare spazi di potere, soprattutto clientelare, consentiti dal fatto che la Democrazia Cristiana era saldamente al governo e il governo aveva poteri più ampi di oggi. La DC poteva fare favori anche ai compagni, e i compagni ricambiavano con qualche contentino sul piano del clientelismo locale. Poi c'erano i cosiddetti laici, che erano tanto pochi da riuscire a buscare solo episodicamente un consigliere comunale. Completati gli studi e rientrato in Orvieto dopo cinque anni di assenza per lavoro, m'inserii in quella che, senza disprezzo e solo per colorire il quadro, chiamo fazione clericale. Fortunatamente, l'educazione familiare e le mie scelte di vita mi rendevano estraneo sia al sistema clientelare che al mondo degli affari. Feci così le mie esperienze nella DC, in seno alla quale trovai una grande volontà di rinnovamento intrecciata con un buon grado di cinismo, sempre però in un clima di grande libertà di manifestare le proprie idee e di organizzarsi per affermarle. Lì constatai il maturare di due correnti di pensiero tra coloro che davano per scontata l'impossibilità di mettere in minoranza i social comunisti in Orvieto e avvertivano che si stava spegnendo il ruolo della DC sul piano nazionale. Vi era chi, realisticamente, si proponeva di inserirsi nel sistema di poter social comunista per addomesticarlo e, in fin dei conti, sabotarlo. E vi era chi, idealmente, confidava che fossero maturi i tempi per una convergenza dei progressisti d'ispirazione cristiana con quelli d'ispirazione marxista, anche perché il marxismo stava boccheggiando. Ovviamente, vi era pure chi, come il sottoscritto, preferiva il fronte moderato e lì rimaneva.
Quel che è successo al Partito Democratico di Orvieto trova la sua origine, a mio avviso, in quelle che possono sembrare vicende lontane, ma i cui protagonisti sono vivi e vegeti.
Tu hai respirato altra aria e hai avuto altre esperienze e quindi sei in grado, meglio di me, di evidenziare altri aspetti nella genesi della crisi del PD orvietano.
Tuo Pier

Caro Pier,
mi sembra senz'altro utile questa tua riflessione sulle origini dei problemi politici della nostra città. Parti da lontano e addirittura indichi come base teorica una condizione di natura antropologica ancora più radicale di quella espressa da Marguerite Yourcenar nel celebre Memorie di Adriano.
Nulla quaestio, si può. Naturalmente con l'avvertenza che i segreti, quando ci sono, sono appunto segreti, e le interpretazioni dei comportamenti restano pur sempre solo interpretazioni. Peraltro, seguendo il pensiero della stessa Yourcenar, dobbiamo ammettere che è difficile per ognuno (e quindi anche per noi che scriviamo) conoscere a fondo se stessi e in particolare riconoscere gli errori commessi senza tentare di attribuirli in parte o in toto agli altri. Per questo dunque, pur non rifiutando il piano di analisi che tu proponi, ritengo più utile attenerci ai fatti accaduti e alle azioni che i diversi soggetti hanno compiuto e compiono. Su questo piano il giudizio diventa più semplice e trasparente, cioè più realmente discutibile. E dico discutibile perché il giudizio politico è e deve essere ritenuto sempre discutibile.
Con queste premesse, entriamo dunque finalmente in argomento. E l'argomento che tu mi proponi di affrontare è perché il PD è in crisi. Non mi rifiuto di farlo, ma non posso evitare di trasformarlo in un argomento più ampio, che è - così mi pare di poterlo tradurre - perché oggi la realtà politica generale e in essa quella orvietana (che tuttavia ha le sue peculiarità) è così incerta e frammentata e perché è così difficile uscire dalla crisi che viviamo.
Parto dal PD, per non dare l'impressione di voler sfuggire al compito. Il PD orvietano deriva dalla sommatoria non riuscita (ma le sommatorie non riescono mai, e questo lo sapevano tutti fin dall'inizio) di eredi del PCI e della DC, più pochi elementi minori, e naturalmente le origini lontane hanno pesato e pesano molto di più delle novità che si sarebbero dovute introdurre e far diventare prevalenti e caratterizzanti. Ci sono gli aspetti che tu descrivi presenti nella DC, ed altri che tu hai la bonomia di sottacere, ma ci sono a maggior ragione quelli che hanno connotato la lunga storia del PCI: l'idea della società da costruire ad opera del partito dei giusti, con le derivate della (ovviamente presunta) superiorità morale dei militanti di professione, il dovere della loro salvaguardia e della quasi sacralità della loro carriera, in sostanza l'interesse personale santificato come bene collettivo, fino naturalmente all'emarginazione di chiunque avesse un pensiero libero, tentasse perciò di guardare oltre gli steccati e cercasse di affermare un'idea di governo razionale delle cose possibili. Direi, in sintesi, la politica come puro esercizio del potere.
Qui sta a ben vedere l'anello di congiunzione con il cinismo presente nella DC e in alcuni settori laici, e la ragione di fondo dei due processi contestuali che, dopo tangentopoli, hanno caratterizzato la vita politica italiana: da una parte la formazione di un centro sinistra che nel tempo ha portato alla nascita del PD e di formazioni alleate personalistiche, nel contempo satellitari e concorrenziali, e dall'altra la formazione di un centro destra intorno al PdL del capo indiscusso Silvio Berlusconi con satelliti parimenti personalizzati e concorrenziali.
Si direbbe, in apparenza, processi positivi caratterizzanti le aree centrali della politica, capaci per un verso di includere e per l'altro di espellere le estreme, e dunque almeno in un certo senso fattori stabilizzanti, benefici per la linearità e l'efficacia dell'azione di governo a tutti i livelli, per l'affermarsi di classi dirigenti meno ideologizzate e più capaci, per la diffusione di comportamenti virtuosi sia dei dirigenti di partito che degli eletti. Invece niente di tutto questo, è avvenuto esattamente il contrario: di fatto, i vecchi vizi sono rimasti e ad essi se ne sono aggiunti di nuovi. Il duopolio formale si è trasformato in costellazioni inquiete e traballanti, l'azione di governo a tutti i livelli si è trasformata in una trattativa continua sulle tecniche di sopravvivenza.
Colpisce in particolare la frammentazione sia orizzontale che verticale (relativa alle alleanze e interna a partiti e gruppi), la friabilità delle posizioni, il movimentismo ondivago degli individui e la conseguente mancanza di iniziative efficaci, per continuità e spessore, tendenti ad aggregare forze individuali e collettive disposte anche a sacrifici pur di misurarsi responsabilmente con moderne strategie di governo calate nella realtà.
Così abbiamo lo spettacolo che abbiamo, con un Paese in declino e una realtà locale che lo sta accompagnando in un preoccupante gioco delle parti, che se fosse appartenuto ad un'epoca diversa e non fosse di così scarso spessore potrebbe essere osservato anche con distacco divertito.
Sento di dover ripetere con fermezza che da questa situazione bisogna uscire presto. E se non ce la fanno le forze maggiori, ci pensino quelle minori. Se non ce la fanno le forze politiche reagisca la società e si impegnino i singoli. Comunque abbiamo il dovere civico di far saltare gli schemi consunti, di ricostruire strumenti adeguati alla bisogna e di generare azioni virtuose che ci permettano di invertire la rotta.
Mi fermo qui, caro Pier, con l'intento di continuare la discussione in altre occasioni. Magari con riferimento anche alle mie vicende personali, che in questa occasione ho taciuto sia per non ripetere cose già dette altre volte, sia per evitare di confondere il personale con il politico nel momento in cui tentiamo proprio di superare questo limite delle espressioni attuali della politica.
Tuo Franco


da Fausto Vergari
Siamo proprio sicuri che il PD è in crisi?

La sintesi storica proposta dal Consigliere Leoni, in quanto sintesi, è abbastanza condivisibile, come è condivisibile l'immagine del mondo politico attuale, di destra e di sinistra, che propone Franco Barbabella. Entrambi parlano della crisi del PD. Eppure il PD è il partito più moderno che c'è sulla scena politica italiana; a livello di regole principe e metodi di gestione è il più democratico: tutti gli organi dirigenti vengono eletti mediante primarie o mediante elezioni dagli iscritti, tutte le principali decisioni in merito anche alle posizioni da prendere sui principali problemi del Paese vengono prese dalla Direzione Nazionale spesso coinvolgendo tutti gli organismi territoriali, si veda ad esempio la recente conferenza sul lavoro di Genova. Il problema è che il PD è nato dalla "sommatoria" di una parte del vecchio PC e da una parte della vecchia DC e questo neonato (rispetto ai tempi della storia lo possiamo considerare tale) è ancora guidato da genitori che non possono non aver mantenuto i vizi e i difetti del PC e della DC, tanto diversi nella teoria quanto simili nella pratica quotidiana della gestione del potere. A livello locale il PD, ha la stessa fisionomia e gli stessi problemi di quello nazionale, comunque al termine di un congresso sicuramente sofferto, ha eletto un segretario di 39 anni e una segreteria in cui la componente dei giovani è preponderante. In circa otto mesi ha elaborato una conferenza programmatica e oggi è in grado di presentare ai cittadini un progetto per il futuro di Orvieto: può essere condiviso o meno, ma c'è e potrà essere preso come solida base per una discussione seria con le altre forze politiche del centro sinistra che vorranno concorrere con il PD alle prossime elezioni, in alternativa all'attuale governo di centro destra. In questi giorni è in corso la Festa Democratica e la novità è che accanto agli "anziani ", ci sono anche un bel gruppo di giovani che con educazione e discrezione, si stanno facendo avanti: è gente che ha studiato ed è abituata al rispetto delle regole democratiche sin dai tempi della scuola, dove le elezioni della componente studentesca negli organi collegiali insieme allo studio del diritto, hanno gettato semi importanti per la formazione dei futuri Cives.
In conclusione io credo che l'istinto umano per la competizione e il desiderio di carriere prestigiose (anche economicamente sostanziose) giocherà sempre un ruolo significativo in politica come in qualsiasi altro ambito, ma ho fiducia in questi giovani, nati in un partito con regole moderne e sicuramente più democratiche di quelle del passato, ma soprattutto di quelle che ci sono anche oggi, in altri partiti di altri versanti. Sono convinto che abbiano la consapevolezza che sia a livello locale che nazionale si dovrà amministrare evitando sprechi e privilegi e nella consapevolezza che le risorse vanno distribuite in maniera più equa. Spero, in sostanza, che siano  in grado di "generare azioni virtuose che ci permettano di invertire la rotta". 




La rubrica di Orvietosì  "A Destra e a Manca"è alla novantunesima puntata. La rubrica è animata da Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella, la destra e la sinistra delle "cose". 
Vorremmo attrarre i lettori nel ragionamento aperto da Leoni e Barbabella, non con i commenti, che in questa rubrica sono disattivi, ma con contributi firmati e spediti per e-mail a dantefreddi@orvietosi.it , specificando nell'oggetto la rubrica "A destra e a manca". 
La rubrica esce ogni lunedì.

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Pubblicato il: 11/07/2011

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