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Insieme all'agricoltura cambia pelle anche l'Umbria

Vincenzo Vizioli, presidente di Aiab Umbria L'Associazione Italiana per l'Agricoltura Biologica in Umbria esprime preoccupazione per il dato che emerge dalla rilevazione Istat

Sulla base dei risultati del censimento ISTAT il commento più gettonato è stato: "L'agricoltura umbra cambia pelle" senza però nessuna vera preoccupazione per la perdita di oltre 15000 aziende, quasi un terzo del totale, in soli 10 anni.

Poco consolante l'analisi che a sparire siano prevalentemente le piccole aziende con il consolidamento delle grandi in quanto a fronte del 30.4% la perdita di superficie coltivata è di "solo" il 10.6% ma, come dimostrano gli stessi dati ISTAT, sono ancora le piccole e medie aziende il tessuto connettivo dell'agricoltura umbra, così come di gran parte dell'agricoltura Italiana.

Impressionante poi il calo delle aziende con zootecnia che supera l'80% e, anche in questo caso, con una concentrazione di capi in poche aziende con relativo aumento dell'intensività di allevamento, nonostante il nostro sia un territorio montano e collinare che ha nell'allevamento zootecnico estensivo la sua potenzialità maggiore.

Conoscendo lo stretto legame sociologico dell'attività agricola nella cultura, nel paesaggio e quindi nell'offerta turistica umbra, il dato su cui riflettere è il cambiamento di pelle dell'Umbria e non solo del suo panorama agricolo.

Sicuramente l'assenza di una vera politica agricola dell'Italia ha pesantemente influito ma un mea culpa lo dobbiamo fare anche in regione; per esempio riflettendo sugli effetti di un PSR senza indirizzo politico e sull'incerta politica zootecnica, a partire dalla chiusura del relativo ufficio in Regione, operata dal binomio Liviantoni- Ranieri .


Attendiamo ulteriori dati, anche relativi all'agricoltura biologica. Se il calo dovesse riguardare, come purtroppo sarà, anche questo settore, con una perdita numerica di aziende, senza una corrispondente perdita di superficie, il problema dovrebbe preoccupare ulteriormente. L'agricoltura biologica è l'unico settore agroalimentare che in questo periodo di crisi ha visto una crescita dei consumi del 12%. Un calo di aziende significherebbe che il primo paese europeo per numero di operatori e superfici coltivate in bio, sta rispondendo alla crescita del mercato con l'importazione.   

Credo che questi dati non siano un normale assestamento operato dal mercato ma un serio  campanello di allarme, perché l'agricoltura oltre ad essere il settore produttivo primario, dovrebbe essere l'elemento di governo del territorio, soprattutto quando rispettosa dell'ambiente e della salute dei cittadini consumatori, com'è l'agricoltura biologica.
Una perdita di aziende significa anche perdita di presenza dell'uomo nelle zone meno vantaggiose ma letteralmente strategiche dal punto di vista dell'assetto idrogeologico e paesaggistico.


Sarebbe interessante capire quanta di questa perdita sia avvenuta negli ultimi anni ma è altrettanto importante aprire subito una riflessione su come intervenire per ridare ossigeno al settore, rielaborando una strategia di agricoltura strumento di governo delle risorse e del territorio.   

 

Pubblicato il: 09/07/2011

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