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Sagre. Così ammazzano la ristorazione

La sagra sia immaginata essa stessa come attività sociale, di vitalizzazione di luoghi e tradizioni gastronomiche, e non come opportunità di accumulo di quattrini da destinare a scopi  più o meno collettivi

Ormai siamo in pieno tempo di sagre, che sono almeno cinquecento in Umbria, in corrispondenza ovviamente con il periodo estivo, quello in cui la gente ha più voglia di uscire e il mercato della ristorazione è proficuo. Come ogni anno è anche tempo di polemiche, tra quei ristoratori che sono organizzati per accogliere il pubblico estivo e le centinaia di soci di pro loco, associazioni  sportive, associazioni di volontariato eccetera che ogni anno trovano nella sagra il sostentamento per la squadra o per la festa paesana. Lo scorso anno la lettera di un ristoratore animò la discussione e intervenne anche Sandro Gulino, presidente regionale della Confeserecenti, che avviò una raccolta di firme per la revisione della legge Regionale n 46 del 1998 che disciplina le feste e le sagre e il rilascio delle relative autorizzazioni.
Anche quest'anno numerose segnalazioni di operatori della ristorazione ci invitano a sensibilizzare la gente e la politica sulla insostenibilità della situazione. Effettivamente, chi paga affitti e personale tutto l'anno, ha difficoltà ad accettare che nel momento migliore del mercato si sviluppi una concorrenza acerrima, effettuata da tanta brava gente che però attacca sensibilmente gli interessi vitali dei ristoratori, che operano in un settore già gravemente in crisi.
Il giusto, come sempre, si potrebbe trovare nel mezzo.
Sì alle sagre, ma "con juicio", uno o due giorni, con l' obiettivo di valorizzare tradizioni locali e sostenere qualche iniziativa, non per fare cassa a danno di professionisti. Non basta il rispetto delle regole sanitarie, che ormai è necessario, bisogna che si normi il settore secondo principi che ne limitino l'attività, spesso puramente economica, e la sagra sia immaginata essa stessa come attività sociale, di vitalizzazione di luoghi e tradizioni gastronomiche, e non come opportunità di accumulo di quattrini da destinare a scopi  più o meno collettivi.

Pubblicato il: 30/06/2011

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