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La crisi c'è e il pericolo di declino incombe. Ma quale interpretazione ne diamo? E che facciamo per non romperci le ossa?

A Destra e a Manca #89 " C'è il rischio che la sperata ripresa arrivi troppo tardi, quando la nostra città si sarà spenta e i giovani volenterosi e coraggiosi, cioè quelli più preziosi, se ne saranno andati. Rischiamo di diventare una cittadina di vecchi chiacchieroni"

Caro Franco,

la crisi economica che attanaglia l'Italia si fa sentire sempre più intensamente anche in Orvieto, dove cominciano a essere sempre più insistenti i lamenti dei professionisti, dei commercianti  e degli altri imprenditori. La gente ha meno da spendere e chi ancora può spendere cerca di spendere meno.  Il comune, che è la più grande azienda della città, si trova nella situazione di crisi economica che ben conosciamo ed è costretto a spendere sempre meno. I milioni che la regione sta per riversare sul nostro territorio ci metteranno del tempo ad arrivare e non potranno essere risolutivi. L'edilizia, che ha trainato per decenni l'economia orvietana, è agli sgoccioli. C'è il rischio che la sperata ripresa arrivi troppo tardi, quando la nostra città si sarà spenta e i giovani volenterosi e coraggiosi, cioè quelli più preziosi, se ne saranno andati. Rischiamo di diventare una cittadina di vecchi chiacchieroni.

Il quadro è fosco. Le fertili campagne del territorio orvietano si sono troppo spopolate e i prodotti ortofrutticoli provengono ormai quasi esclusivamente da Bolsena e, tramite i grossisti, da chissà dove. La produzione vinicola e olearia, di eccellente qualità, rimane troppo sottovalutata rispetto ai confinanti territori della Toscana. Non si sono creati servizi e strutture ricettive per trattenere una parte consistente del flusso turistico, che la bellezza dell'acrocoro, la posizione geografica e l'autostrada convogliano in Orvieto. La presenza di opifici è assolutamente inferiore a quel che meriterebbero l'orografia, la demografia e le infrastrutture del territorio. Le banche raccolgono i risparmi di una popolazione parsimoniosa e li investono chissà dove.

Non ti nascondo che l'idea della green economy mi affascina, ma temo che non basti, e spero nel colpaccio che il complesso immobiliare di Vigna Grande potrebbe rendere possibile. Perché è vero che di caserme dismesse ce ne sono a iosa in giro per l'Italia, ma quella orvietana, nel suo genere, è bella ed è collocata in un posto magnifico.

Quando la Lega ha parlato di trasferimento al Nord di alcuni ministeri romani c'è stata una generale levata di scudi. E ben gli sta ai cosiddetti padani, dato che la loro proposta ha il tono e la sostanza del ricatto. Ma il decentramento di parti consistenti di ministeri farebbe bene a Roma  e agli altri. Del resto a Orvieto non vi è sempre stata una divisione del Ministero dell'Aeronautica, proprio quella dove anche noi abbiamo prestato il servizio militare di leva? La telematica rende ancora più agevole tale forma di deconcentrazione dei grandi uffici dei quali ogni Stato ha un imprescindibile bisogno. Ma vi è pure il problema, che mi sembra ancora non risolto, di una sede nazionale del servizio di protezione civile. E non finisce qui.

Come vedi, caro Franco, mi sono ridotto ad aspettare un colpo di fortuna. Sarà l'effetto dell'inconcludenza dei politici o degli arresti degli speculatori?

Tuo Pier

Caro Pier,

la tua descrizione a tinte fosche della situazione che viviamo nel paese e qui, nella nostra realtà, coglie il clima generale e individua il pericolo di fondo (che non siamo i soli ad aver intravisto da tempo): il declino strutturale di una città e di un territorio altrimenti ricco di esperienze e di potenzialità non utilizzate o utilizzate male.

Tuttavia io penso che ancora non siamo giunti al punto di non ritorno e credo che uno sforzo collettivo di rinascita sia possibile, giacché a mio parere esistono sia le condizioni materiali che intellettuali capaci di permetterci di invertire la tendenza, nonostante il difficile e problematico quadro nazionale e nonostante le inadeguatezze locali, non solo strutturali, ma soprattutto di mentalità.

E non ti sembri strano questo mio modo di vedere le cose per il fatto che ho manifestato in diverse circostanze ancor più di te opinioni pessimistiche, soprattutto riferite appunto ad una mentalità rinunciataria e insieme litigiosa e maldicente che dà l'impronta ad una parte della società e della stessa classe dirigente. Io credo però che questa mentalità rappresenti solo un limite, tale magari da far male ma non tale da essere insuperabile e da impedire di organizzare reazioni creative, prospettive ambiziose e progetti realistici. Ci sono d'altronde in diversi settori non poche persone che per qualità e abilità non hanno nulla da invidiare a gente che opera in altre realtà, comprese quelle più dinamiche. Sono operatori economici, tecnici, professionisti, lavoratori manuali e intellettuali, che rappresentano un vero patrimonio sociale, un patrimonio su cui si può innestare una nuova fase di sviluppo. C'è un tessuto di piccole imprese e di organizzazioni nient'affatto disprezzabile. Lo ribadisco, tutto questo è una straordinario patrimonio, oggi certo in una condizione non pimpante, ma non ancora disperso, e comunque tale da suscitare l'impressione di poter resistere e di potere reagire. Spero naturalmente di non sbagliarmi.

Allora, dov'è soprattutto il problema e quale può essere la soluzione o almeno l'avvio di un'ipotesi di possibile soluzione? Naturalmente niente bacchetta magica: sono del parere che in un mondo come quello di oggi tutto si tiene, per cui ci riguarda quello che succede a New York, come quello che succede a Oslo o a Calcutta, o a Roma e Perugia. E ci riguarda la crisi internazionale e le sue conseguenze, come ci riguardano da vicino le dinamiche politiche generali e naturalmente i provvedimenti di governo che vengono adottati sia a livello centrale che regionale.

Ma anche, e forse soprattutto in queste condizioni, ci sono nostri (locali) non secondari margini d'azione. Per esempio, è tutta nostra la scelta delle soluzioni politiche, contingenti e di medio/lungo periodo, come è nostra la capacità o meno di avere una visione delle cose, contingente e di medio/lungo periodo, come è ancora nostra la capacità di ragionare sulle meschinità o sulle cose che contano per tutti. Ed è nostra la responsabilità di indicare usi ottimali per i nostri beni pubblici, da Vigna Grande all'ex Ospedale, e di operare concretamente per renderli effettuali.

Tu trai da una descrizione cruda della realtà odierna l'auspicio di un colpo di fortuna, che potrebbe essere il decentramento di ministeri o di parte di essi, una soluzione apparentemente facile e definitiva. Mi spiace di non essere d'accordo, ma appunto non sono d'accordo. E non perché sarebbe disdicevole, ma perché innanzitutto non la vedo possibile e quindi rappresenterebbe un'ulteriore dilazione dei tempi di soluzione, e poi perché sarebbe come mettere il timbro sulla mentalità rinunciataria così presente nel tessuto culturale e sociale e sull'incapacità della classe politica di interpretare la propria missione, che è quella di saper indicare una speranza di futuro possibile e però capace di suscitare interesse, movimento, azione, crescita generale. No, non mi sembrano accettabili soluzioni di ricasco. E poi, se non ci piacciono le sparate leghiste sui ministeri al nord, perché dovrebbe essere accettabile il loro sparpagliamento al centro?

In realtà Vigna Grande e il complesso del Santa Maria della Stella in piazza Duomo sono state e restano occasioni straordinarie per l'innesco di uno sviluppo di qualità della città e del territorio. Sono una sfida per chi si vuol porre come classe dirigente legittimata dal consenso popolare non demagogicamente strappato. Sono il possibile segno di una città disposta ad accettare il mondo e a starci dentro da protagonista, cioè senza aspettarsi tutele più o meno interessate, senza subire passivamente le prepotenze dei più forti e/o le scorribande degli speculatori.

Concludo. Io non penso che sia sbagliato il tuo modo di descrivere e di affrontare la situazione, perché è uno dei modi possibili. Né voglio dire che il mio sia migliore. E' solo diverso. E probabilmente sono io ad avere torto. Ma ho speso una vita a predicare (e anche a cercare di realizzare) visioni, progetti, sfide propositive, impegno personale e collettivo. Perciò mi risulta difficile proprio ora cambiare impostazione in modo radicale.

Caro Pier, so che tu capisci bene ciò che dico e sono anche convinto che in fondo le visioni pessimistiche ti sono estranee perché sai che nessuna classe dirigente degna di questo nome può ridursi ad una accettazione passiva di ciò che passa il convento, anche perché può darsi che al dunque il convento non passi proprio niente. I colpi di fortuna servono eccome, ma è Machiavelli a ricordarci che la fortuna va accompagnata e se possibile dominata, e che comunque non si governa senza intelligenza e senza coraggio.

Tuo Franco


La rubrica di Orvietosì  "A Destra e a Manca"è alla ottantanovesima puntata. La rubrica è animata da Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella, la destra e la sinistra delle "cose". 
Vorremmo attrarre i lettori nel ragionamento aperto da Leoni e Barbabella, non con i commenti, che in questa rubrica sono disattivi, ma con contributi firmati e spediti per e-mail a dantefreddi@orvietosi.it , specificando nell'oggetto la rubrica "A destra e a manca". 
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Pubblicato il: 27/06/2011

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