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La 'Gente di plastica' di Pippo Delbuono

Cupa ironia, spietata lucidità, atipici ed affascinanti interpreti per lo spettacolo della compagnia di Pippo Delbono, un itinerario nel vuoto dell'apparenza oltre le soglie del grottesco

Cultura

Maria Flavia Timperi

"Plastic People!

Oh baby, now you're such a drag...

I'm sure that love will never be a product of plasticity.

Plastic, plastic people.

You're Plastic..."

Frank Zappa, Plastic People, 1967.

C'è il mondo ironico e spietato di Frank Zappa mediato dal teatro "scandaloso", che impasta e confonde arte e vita, nella "Gente di Plastica" di Pippo Delbono, in scena al Mancinelli domenica 16 novembre.

Uno spettacolo che tocca livelli di sconvolgente intensità, aspro ed efficace, sarcastico e deflagrante, viscerale e velenosamente liberatorio....uno spettacolo che assesta un pugno dritto allo stomaco.

Non c'è partitura verbale ma una drammaturgia che si costruisce e si frammenta negli stralci di letture che la "burrosa" voce di Pippo Delbono, amaro disc jochey della notte, scandisce da una cabina di regia che si illumina a tratti sul fondo della scena.

Lancia pezzi urlati o unghiati di chitarra, grida i pensieri strazianti dell'angosciante viaggio nella depressione di Sarah Kane, poesia spezzata dalla prosaicità della vita, morta suicida all'età di ventotto anni, ed assiste alle contraddizioni dell'esistenza "plastificata" di una carrellata di personaggi e situazioni che prorompono sul palco come uno schiaffo.

La sua anomala e affascinante compagnia, i suoi sorprendenti attori-non attori evocano silenziosi e stucchevoli quadretti da telefilm americani anni settanta, amorevoli genitori intenti al breakfast, figli sorridenti, soavi deliri pubblicitari e sfilate di moda con ancheggianti signori in mutante ed improbabili giovanotti in tanga che spingono fino al grottesco ogni immagine artificiosa di bellezza e perfezione esistenziale; qualche trasparenza, poca stoffa, molta carne, scuoiata sotto la luce di un faretto voyeur.

La capacità scenica, ritmica, calibrata di accenti e figurazioni dilata e dipinge le nostre stesse stupidità, i gesti finti, le parole doppiate, una vita di plastica che stringe come un cellophane fino a scivolare in un'esasperazione da incubo ed una parata di dannati, urbani e suburbani, si spalanca come un inferno: travestiti in giarrettiera, sgradevoli danze di ragazzi maialini nudi che si offrono in pasto alle risate della gente, inquietanti figure in nero con surreali maschere animali, enigmatiche presenze dai volti di cartapesta dal violento impatto emotivo.

E quel che resta è una notte senza stelle, Starless cantano i King Crimson, come senza stelle è ormai la bambina prodigio del cinema, divenuta adulta e dolente, davanti allo schermo di un vecchio televisore, a vedere un vecchio film, a sentirsi vecchia...perchè tutto passa, tutto viene a noia, tutto muore...

Pubblicato il: 17/11/2003

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