Archivio Orvietosi Archivio anni 2002-2012: NOTIZIE
NOTIZIE CORSIVI

La Città di Orvieto, ieri, oggi, domani

di Gian Paolo Aceto "La Piave non va venduta a nessuno". Un'idea per mantenere la proprietà ed inserirla in un originale progetto di sviluppo di Orvieto 

foto di copertina

Una città, grande o piccola che sia, è  composta di due elementi: ciò che ha anima, e perciò vive e si muove e cambia a seconda delle necessità, e ciò che non l'ha, perciò la materia in sé inanimata, quindi case palazzi chiese, luoghi di studio e di lavoro.
Ciò che ha anima e si muove sono  le persone umane viventi, che nascono vivono abitano la città e poi muoiono, destino comune, e trasmettono però ai loro discendenti educazione sentimenti usi e costumi che tuttavia in parte cambiano costantemente con il passare del tempo.

Ma i sentimenti, specialmente quelli in comune a tanti, sono certamente l'aspetto più importante tanto di un individuo come di una comunità.
Perciò la città di ieri non c'è più ma c'è ancora, la città di oggi c'è soltanto perché c'è stata quella di ieri, e la città di domani ci sarà, come forza attiva, non solo come futuro purchessia, ma come città anche di ieri e di oggi.

I sentimenti  non sono molto cambiati, ed è proprio su di essi che si fonda un concetto di civiltà. Ma usi e costumi, e di conseguenza legittimi desideri certamente sì.

Il primo desiderio, il più immediato e importante, è quello di avere una casa, per sé e i propri figli.

Ma quale casa? quella dove chi ci ha preceduto nei secoli ha sempre abitato?

Se dovessimo fare una classifica dell'importanza di ciascuna età dell'uomo daremmo per forza di cose il primo posto a chi ha e si sente la responsabilità di trasmettere la vita, perciò le giovani coppie.
 Su sei-settemila persone che vivono nel centro storico la metà sono vecchi o sulla via di diventarlo, e non hanno nessuna voglia di abbandonare la loro casa perché lì ci sono nati e lì sono i ricordi. E fanno benissimo.

Quasi l'altra metà è composta tanto da gente che per le vie ha la sua attività come da coppie giovani con o senza figli a cui importa molto della casa dove sono nati, per vari motivi, per esempio perché lì ci sono ancora i genitori, qualche volta anche il lavoro o altre necessità, le più varie. Ma in prospettiva di avere figli o già avendoli importa molto di più farli crescere secondo standard di qualità ormai irrinunciabili: la crescita dei bambini non racchiusa in vicoli stretti umidi e senza luce, ma vivendo in quartieri per forza nuovi, non di grande dimensione, e meno soffocanti anche perché a stretto contatto con la campagna. Con i mezzi di comunicazione di oggi non è un problema abitare poco distante da chi è rimasto nel centro storico.

Tutti questi sono legittimi desideri non indotti artificialmente come tante merci, ma valori di vita che tanti e sempre più sentono come primari e perciò appunto irrinunciabili.

Ecco perciò che sentimenti e usi e costumi vanno di pari passo, perché si adeguano all'oggi pensando al domani.

Tra l'altro alle giovani coppie importa ben poco di aiutare a "ridensificare" la città antica, magari coll'argomento noioso del  Bene Comune, che ha sempre più l'aria di un concetto che sta tra il mistico e il feticcio dirigistico. E l'unico momento in cui il cittadino ha un obbligo preciso è quando deve pagare le tasse, contributo a un bene comune materiale. Per il resto non è obbligato a niente, perché questo "resto" attiene alla sfera delle scelte e comportamenti morali individuali. Che sono certo importantissimi ma che non attengono nemmeno a una qualsiasi forma di contratto con lo Stato come comunità organizzata.

Detto tutto questo però la città antica continua a vivere, in una maniera o nell'altra, anche perché tutti non fanno tutto in una volta sola e in uno stesso momento. Ma la tendenza è quella che ho descritto anche perché è la più "naturale" e ragionevole.

Tuttavia la città antica, in un certo senso inservibile alle legittime aspirazioni di oggi, continua a vivere, c'è, e in ogni caso vale per ciò che il suo passato può offrire.

Parlo perciò in questo contesto soprattutto di beni immobili, fruibili e adattabili per nuovi impieghi.

Come ben si sa, la principale legge del commercio è quella di offrire un certo tipo di "merce" se si individua una fascia sufficientemente grande di "compratori". Ed è ciò che in termini strausati si dice l'identità della "merce".

Ma questa fumosa identità quasi sempre viene identificata per la città in qualche "luogo" storico artistico, e lì finisce il discorso.

La vera domanda da farsi però è: cos'è che si può proporre come un'attrattiva reale, irrinunciabile perché fondata su un interesse concreto molto allettante? e per quale tipo di "utenza"?

La prima risposta è: non tanto o non soltanto dove le cose ci sono (i monumenti storici che ci sono), ma dove le cose possono avvenire, e per cose intendo il trasferimento di attività tecnico-scientifiche o microimprenditoriali importanti, grazie tanto agli spazi che si possono offrire quanto al senso di civiltà tranquillità gentilezza antica e nuova, e sicurezza e centralità geografica nazionale e continentale che Orvieto ha, e che "si sente" dopo qualche tempo che ci si abita.

Ecco, ho delineato con parole un po' nuove quello che già avevo espresso in passato e che rimane in ogni caso di stretta attualità, per esempio il concetto di parco scientifico, che non è una cosa che nasce tutta insieme, da taglio di nastro, ma si sviluppa per gradi; ed è dal suo sviluppo che nasce anche parte della nuova  identità della città.

La prime domande che possono e devono essere fatte sono: quali spazi offrire?  e soprattutto chi dovrebbe gestire tutto questo?

La prima domanda ha la sua prima  risposta immediata nella caserma Piave e anche nell'ex-ospedale di Piazza Duomo, e le ragioni le dirò fra un po' di righe.

La seconda domanda mi fa immediatamente pensare al verso di Dante: le leggi son, ma chi  pon mano ad esse? E qui non si tratta di pubblici ufficiali, dai governanti nazionali in giù per i quali ci si lamenta sempre che non fanno applicare le leggi, ma ci si riferisce invece a quali persone, singole, o gruppi politici o sociali o culturali o imprenditoriali, e soprattutto istituzionali come un Comune, proprietario della caserma, che abbiano  conoscenza delle materie, spinta organizzativa, capacità di contatti in Italia e all'estero per proporre, poi eventualmente ricevere manifestazioni di interesse, e poi "pesare" possibili proposte delle controparti..

Riguardo ai luoghi che ho nominato, mi riferisco per ora soprattutto alla Piave, e riprendo argomenti già trattati anche in articoli telematici negli anni scorsi.

Primo: la Piave non va venduta a nessuno. Perché se prima era un bene esclusivo dello Stato, e cioè del Ministero della Difesa, oggi è non tanto e non soltanto un bene "materiale" del Comune di Orvieto ma la sua pressoché unica occasione nei prossimi decenni di creare all'interno della città antica un "circuito" imprenditoriale fondato principalmente su attività tecnico-scientifiche modernissime, proprio sfruttando quelle valenze della città e del suo territorio di cui ho parlato prima e che non necessitano di enormi spazi per creare per esempio nuove attività industriali nel senso vecchio del termine, e che non si vogliono sostituire alla specificità turistica tradizionale, ma vi si aggiungono, e vi si integrano.

Non sto tratteggiando l'eventuale presente-futuro della città come sede per tre giorni di un qualsiasi festival o della scienza o della mente o manifestazioni simili che ormai per diritto a fare copie conformi può organizzare qualsiasi paesotto d'Italia.

Il programma è molto più ambizioso, ma proprio perché più originale, ed è più originale perché più realistico.

 La situazione ha una sua semplicità e chiarezza di proposta, questa: Noi Comune di Orvieto abbiamo, quasi unici in Italia, un complesso architettonico moderno e razionale fatto di ampi spazi frazionabili a seconda delle esigenze imprenditoriali o di ricerca, e questo complesso è all'interno e contiguo a uno dei centri storici più originali di tutta la penisola, infatti non stiamo in pianura come una qualsiasi Mantova o Grosseto, no, stiamo su una roccia quasi sospesa nell'aria, dove le vostre attività le potrete svolgere unite alla meditazione storica e alla straordinaria bellezza del paesaggio.

Se ce lo chiederete, e se ci piacerete, e se riconosceremo l'importanza dell' attività professionale o di ricerca che intendete svolgere, vi daremo "gratis per tre anni" uno spazio interno sufficientemente ampio per le vostre attività, e con molte altre concrete facilitazioni. Dopo tre anni incomincerete a pagare l'affitto, se le cose vi andranno bene, oppure rinuncerete, ma dovrete dirlo almeno un anno prima, e allora avanti un altro. Questo è da proporre! E non un solo monopolista o addirittura unico proprietario!

Obiezione: perché dare spazi gratis per tre anni?

Perché dato che Orvieto non  può illudersi di essere l'ombelico del mondo, non si può essere rancidamente miopi, dato che se non si fanno ponti d'oro queste situazioni imprenditoriali e di ricerca non verranno.

Quindi per fare un esempio scherzoso dobbiamo essere verso questo tipo di imprenditoria di alto livello o di ricercatori-imprenditori agli inizi, dobbiamo essere come i paradisi fiscali sperduti nel mondo lo sono perché attraggono capitali e su questo ci campano.

Il valore monetario che il Comune perderebbe con gli affitti per tre anni (ma quando mai li ha avuti?) sarebbe ripagato dalla notorietà che quelle attività  renderebbero alla città, oltre al movimento economico che si riverserebbe su gran parte della città stessa. Ma devo continuare!?

L'altro aspetto importante è: chi organizzerà tutto questo?

Rispondo subito. La persona più indicata  per assumersi la responsabilità della proposta di inizio di attuazione di questo programma è naturalmente il sindaco della città. Per essere politicamente più preciso io aggiungo: "questo" sindaco, tanto per le sue qualità personali quanto per un motivo di elementare comprensione: perché non è un candidato sindaco, ma è già " l'attuale sindaco"!

Riguardo all'aspetto operativo dovrà essere nominata  una persona, alle strette dipendenze del Comune e alla guida strategica e operativa di un gruppo che sappia organizzare la gestione della messa in opera di un restauro minimo della Piave e dell'ex-ospedale, e della gestione di tutti i contatti esterni necessari per la riuscita del programma, e inoltre il restauro e posizionamento di servizi essenziali, tra cui certamente quelli telematici.

Ma l'organismo istituzionale che deve prendersi la responsabilità di recepire o bocciare la proposta non può che essere il Consiglio comunale.

 

Ora il Consiglio non è un corpo mistico dalla volontà unitaria, ma è composto da due agglomerati realmente ma anche "apparentemente" diversi, così che la  raccolta di idee e progetti non  è mai unitaria ma sempre apparentemente differenziata, perché le posizioni sono "mistiche" ciascuna per proprio conto, e soprattutto partiticamente privato tornaconto. Perché unite da un'unica volontà di sopravvivenza, e cioè non accettare tutto ciò che esula dalle loro capacità e reale competenza su un argomento "nuovo", tanto come singoli che come gruppi partitici. Anche se lì per lì sembra che dissensi e lacerazioni ci siano in ambedue i gruppi. Tutto ciò che sfugge loro di mano perché "non controllabile" va rifiutato.

Faccio un esempio. Mettiamo il caso che una città qualsiasi abbia disperato bisogno d'acqua perché tutte le fonti sono disseccate. Un esterno ai due gruppi dominanti scopre una sorgente abbondante che potrebbe essere la salvezza della città. Che fanno i due gruppi? In teoria dovrebbero accettare la scoperta. Ma questa accettazione pesa loro moltissimo, e per inconfessabili i motivi. Quindi per spocchia, miopia, rivalità interne, frustrazioni varie, ecc. si preferisce far finta che la sorgente scoperta non esista. Così la città crepa di sete, oltre naturalmente a votare di tanto in tanto (vota e crepa!), ma la "dignità e il "rispetto" per i due onorati gruppi sono salvi.

Un altro interrogativo che ci si può porre, e forse è il più importante di tutti, è se questa proposta, questa diciamo così visione o meglio descrizione del presente e futuro di Orvieto potrebbe essere fatta propria e di conseguenza pubblicamente appoggiata da singoli esponenti politici o persone che siedono in consiglio comunale e che sono lì perché sono state elette tramite l'organizzazione elettorale di un partito qualsiasi.

L'eventuale non adesione alla proposta espressa in questo articolo avrebbe certo delle giustificazioni o giuste in sé stesse oppure plausibili soltanto in apparenza. In questo secondo caso sarebbe come dire: tu proponi qualcosa che riguarda il futuro, ma chi ci dice che funzionerà? e come tu hai il diritto di fare questa proposta, un altro ha il diritto di farne un'altra.

Naturalmente queste proposte andrebbero messe a confronto, per poi scegliere una buona volta. Ma può anche darsi, come ho appena scritto, che ci siano altre ragioni non immediatamente percepibili e che quasi psicanaliticamente si preferisca non avanzare per il semplice fatto che: si crede di doversi vergognare, come singolo o come partito perché si pensa di non avere al proprio interno persone capaci di "dominare la materia", oppure perché si crede di appartenere tutto sommato a una società agricola e quindi solo per questo da considerare di per sé arretrata. E inoltre viene quasi spontaneo e atavico decidere: se non sono capace io non è capace, anzi più abbietto, non deve essere capace nessun altro. E colui che ragionasse così non capirebbe che chi dovesse gestire questa proposta non è strettamente necessario che abbia una conoscenza molto approfondita delle singole materie tecniche o scientifiche che saranno trattate nei singoli spazi della caserma. Perché la vera capacità necessaria sarebbe quella di scelta dei singoli operatori, imprenditori o ricercatori che siano, e il coordinamento delle loro attività negli spazi loro concessi. Alla stessa maniera in cui in campo amministrativo istituzionale un sindaco non è obbligato a sapere perfettamente le materie di cui si occupano i singoli assessori, ma ha la sua prima responsabilità nel potere di indirizzo e di controllo. Poi tutto il resto sarà nelle mani dei singoli operatori che dovranno essere in "sintonia larga" con il Comune e il suo indirizzo generale. Vale a dire, non si potrà passare da una nanotecnologia all'inscatolamento di pelati di pomodoro..

La Piave potrebbe arrivare a contenere anche una quindicina di "imprese", attive sul piano del mercato o di sola ricerca, ma ricerca applicata.

 

Fare tutto questo, o almeno incominciarlo, significa mettere la propria città in cammino verso una diversa e più originale "qualificazione della sua contemporaneità", che si aggiunga e si integri con quella storico-artistico-monumentale che già c'è ma che da sola finisce per assomigliare a un cimitero turistico e nulla più.

Tecnica e scienza, davanti alle quali non penso che ci si debba mettere in adorazione, non sono un fine in sé, ma soltanto un tramite per una vita che si voglia più degna.

Tutto quello che ho delineato per la città non ha reali costi finanziari se non l'adattamento e la conseguente manutenzione di tutti gli spazi della caserma Piave. Se le cose fossero fatte, e fatte bene da qualcuno che le sapesse fare, nel senso di capacità di spinta, impulso, ricerca e coordinamento, certamente la Città ne trarrebbe un grande vantaggio.

La soluzione proposta per la Piave e anche per l'ex ospedale, dal punto di vista dell'interesse di tutta la città si può paragonare alla vita delle persone e in questo caso alla giovane coppia che vuole avere figli, quindi prospettiva che si propone un futuro vitale davanti a sé. Si chiama la continuità affettiva. Ma nel caso della città, la continuità economico-culturale.

Tutte, ma proprio tutte le altre proposte presentate in questi anni sono basate su visioni asfittiche e limitate, in una parola, senza reale domani, e quindi non per una città di ieri e di oggi che "di domani" voglia realmente diventarlo.

Va da sé che la proposta è rivolta prima di tutto all'attuale Sindaco, ma anche ai due gruppi consiliari, ciascuno dei quali ha il diritto di farla propria come se venisse dal proprio interno.

In un certo senso, è "all'asta"..

Per finire, penso che non vogliamo essere degli "iniziati", ma gente che sa "dare inizio".

E operando in questo modo potremo degnamente anche festeggiare il Trimillenario della Città di Orvieto, argomento che sarà materia di un  successivo articolo.

Pubblicato il: 09/10/2010

Torna alle notizie...