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Il tepore delle schiace del Duomo

di Dante Freddi Orvieto senza il suo territorio ed i paesi dell'Orvietano è soltanto uno dei bei borghi italiani, come ce ne sono almeno un centinaio. Abbattere l'orvietocentrismo per allargare spazio e mente..

foto di copertina

Qualche giorno fa ho inviato ad Heimat, il blog degli Amici di Allerona, alcune riflessioni su un tema che è sommerso dalla enormità dei problemi amministrativi di Orvieto e quindi ha difficoltà ad emergere.

Si discute vagamente intorno alla necessità di disegnare un progetto per Orvieto, che non c'è,  e di inserire in questo puzzle ex Piave, ex ospedale, ex Inapli, museo della ceramica, biblioteca comunale e così avanti, previo però non entrare mai nella discussione operativa e non definire modi e tempi di attuazione.
Stiamo ancora alle dichiarazioni di principio e tra queste non sbuca  neppure che Orvieto senza il suo territorio è un paesello di ventimila abitanti con il Duomo e qualche altro bel monumento, insomma uno dei cento bei borghi italiani, più o meno.
Come si fa a pensare ad Orvieto senza che la città  sia inserita in un altrettanto basilare disegno di sviluppo discusso con Montegabbione e Porano e Fabro e Castel Viscardo?  e poi con Acquapendente e Montefiascone e Bolsena? come si fa a pensare al benessere dell'Umbria senza immaginarlo all'interno di un piano interregionale, come sostiene con passione da anni Franco Barbabella?
Manca la visone perché gran parte della classe dirigente politico-amministrativa è formata in un meccanismo verticistico di nomina e di tutela delle posizioni in cui non c'è bisogno di pensare troppo, basta eseguire e tenere pulita la casacca. Un tempo erano i partiti ad assumersi il compito delicatissimo di dibattere e formare le opinioni, ma la loro decadenza a strumenti per perpetuare le oligarchie, con tanta sfacciataggine che non possiamo più neppure votare i parlamentari, ha creato un vuoto che è arduo colmare. Quando non si pensa non ci sono neppure successive azioni corrispondenti, ma soltanto iniziative contingenti, spesso dannose e dalle conseguenze irreversibili.

Rigiro la nota inviata ad Heimat.

"Un venticello fresco tirava a piazza Duomo e alleggeriva il peso dell'afa. Prima delle nove, allora si cenava presto, gli orvietani arrivavano a prendere il fresco, alla spicciolata. Chi giungeva prima trovava un buon posto sulle schiac" ancora calde per il sole della giornata. Quel calore sulle natiche è una sensazione piacevole che sta nella memoria di tutti gli orvietani e li unisce.
La mattina del Corpus Domini la voce squillante, sicura e rassicurante di don Eraldo Rosatelli raccontava i personaggi del Corteo storico mentre uscivano dal Duomo. I nobili delle "terre assoggettate" ad Orvieto mi facevano pena, ma anche un po' rabbia perché erano tronfi e sicuri come i nobili orvietani. Da bambino non conoscevo nessuno che non fosse di Orvieto centro storico e per qualche anno ho pensato che gli abitanti dei paesi intorno fossero come quei nobili. Poi, alle scuole medie, mi sono mischiato con i compagni che venivano da ville e castelli e paesi intorno ed ho verificato che, più o meno, erano come me che ero cresciuto a 50 metri dal Duomo.
Alle scuole superiori, per un paio d'anni, nel banco dietro a me c'è stato un compagno di Castel Giorgio e ho ancora nel naso l'odore di pepe e aglio del suo salsiccione, che ubriacava tutti intorno. Ecco, uno di fuori lo associavo a quell'odore forte e unico, non era quello della macelleria o della pizzicheria, quello di città.
Qualche anno fa un amico si fece prendere dalla voglia di Tuscia e si mise tra i promotori di quell'iniziativa, tra i primi. Preparò anche dei manifesti ma li affisse soltanto nel centro storico di Orvieto: Tuscia sì ma Sferracavallo no, troppi villani.

Amici di Heimat, questi flash sono comuni all'esperienza di tanti orvietani e su queste sensazioni ed esperienze si sono costruiti e radicati convinzioni e comportamenti che vanno verso una concezione del nostro intorno in senso orvietocentrico.
Anche qualche settimana fa è esplosa una polemica simil politica perché è stato eletto alla presidenza di un'assemblea comprensoriale un non orvietano, uno addirittura di Castel Viscardo, neppure uno vicino, per esempio di Porano. "Diamine, noi orvietani mettiamo i soldi e uno di fuori li spende", "Ferita la centralità di Orvieto", " 'Sti villani dove vojono arrivà".

Ci fu un tempo, nel secolo scorso, in cui il senso del gruppo, quello che univa per gestire il potere, non era determinato dall'origine territoriale, ma soltanto dall'appartenenza al partito. Abbiamo avuto due sindaci di Allerona, uno di Montegabbione e uno addirittura di Orvieto scalo, vicesindaci di Parrano e Monterubiaglio. I consiglieri regionali sempre di Orvieto, di campagna sì, ma di Orvieto. C'è stato un presidente della Provincia e assessore regionale dell'Alto orvietano, ma anche perché i socialisti della Rupe hanno sempre contato poco. Abbiamo avuto senatori orvietani, ma anche un nobile delle "terre soggette", del castello di Ficulle.
Insomma, mi posso dimenticare qualcuno, ma i partiti del Novecento hanno unificato quanto secoli di storia avevano diviso.
Oggi non è più così e la tendenza orvietocentrica c'è anche nei partiti.
Quando si parla di turismo o sviluppo economico o scuola o cultura è difficile far transitare davvero, oltre l'epidermide, l'idea che Orvieto senza il suo territorio, e poi su fino al Viterbese, al Senese e Grossetano e Perugino, non è nulla. Se non si pensa all'Italia centrale, l'Umbria da sola è una presuntuosa "espressione geografica".
Abbiamo una battaglia da combattere: far scoprire che il nostro mondo si è fatto grande".

Pubblicato il: 13/09/2010

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