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'Un servitore della Patria tradito dallo Stato'

Parla Paola Melone, moglie del maresciallo elicotterista presunta vittima dell'uranio impoverito. A gennaio la sentenza del processo contro il ministero della Difesa per il riconoscimento del danno biologico

Cronaca

di Vincenzo Carducci

Una pensione che non arriva, i costi di un funerale di Stato che devono ancora essere rimborsati, una lunga battaglia contro il ministero della Difesa. E un dolore che a due anni di distanza non si è mai sopito per l'indifferenza con cui è stato accompagnato da chi poteva e doveva far sì che il sacrificio di una vita umana non fosse vano.

"Quello che mi rattrista di più è vedere la storia di mio marito messa nel dimenticatoio". Sono le parole di Paola Melone, la moglie del maresciallo elicotterista Stefano Melone morto due anni fa per un tumore contratto durante le tante missioni all'Estero.

Dopo due anni la vicenda del maresciallo Melone, esplosa nel gennaio del 2001 in piena bufera uranio impoverito di cui l'uomo potrebbe essere stata una delle tante vittime inconsapevoli, sembra essere stata dimenticata per non riaprire una pagina che tocca interessi troppo più grandi della vita di un generoso militare e delle sofferenze dei suoi familiari.

Dimenticata dai media e con lui tutta la storia sull'uranio impoverito, abbandonata dai sindacati militari e dagli schieramenti politici che in un primo momento avevano preso a cuore la sua storia tanto da portarla all'attenzione del Parlamento.

Paola ed i suoi due figli di 20 e 16 anni attendono ancora la pensione privilegiata che il ministero della Difesa aveva riconosciuto al maresciallo Melone come causa di servizio. C'è sempre un problema burocratico, manca sempre un documento che possa sbloccarne la concessione e per il momento ricevono un anticipo provvisorio di 1400 euro mensili, l'unico sostentamento. Nel frattempo la famiglia si è dovuta sobbarcare i costi per il funerale di Stato, circa quindici milioni di vecchie lire, che lo Stato non ha però rimborsato come vuole invece la prassi.

"Per lo Stato Stefano era un numero - dice amareggiata Paola Melone- non era una persona, un servitore della Patria tradito dalla Patria stessa. Non voglio i soldi per speculare sulla morte di mio marito ma voglio quello che spetta a Stefano per il sacrificio che c'è stato. Lui sapeva che non ce l'avrebbe fatta ma voleva un solido futuro per i suoi figli per cui ha combattuto fino alla fine".

Era stato questo lo scopo che aveva determinato anche la citazione in giudizio del ministero della Difesa per ottenere il risarcimento del danno biologico. L'ultima interlocutoria udienza di una lungo cammino giudiziario iniziato nel marzo 2001 si è tenuta nel giugno scorso e a gennaio potrebbe veder luce la sentenza che potrebbe aprire un precedente giuridico importante per tutti i militari italiani tornati malati dalle missioni all'Estero. Si tratta infatti del primo ed unico procedimento incardinato contro il dicastero della Difesa.

"Vogliamo andare fino in fondo - dice Paola Melone che dal marito ha ereditato la grande forza d'animo e la determinazione - è l'ultima cosa che mio marito mi ha chiesto prima di morire".

La vicenda di Stefano Melone

E' nel gennaio del 2001, quando tutto il mondo sembra scoprire sconcertato gli effetti cancerogeni dei proiettili all'uranio impoverito, che la storia del maresciallo elicotterista dei "Cavalieri dell'Aria" di Viterbo Stefano Melone sale alla ribalta della cronaca.

Anche lui, quarant'anni, originario di Caserta ma orvietano d'adozione, ha partecipato a molte missioni all'Est ed anche lu,i come molti altri militari in Italia, torna a casa malato di cancro. Una forma tumorale dovuta all'inalazione di sostanze tossiche quali cloruro di vinile, benzene ed amiante, respirate durante la manutenzione del proprio elicottero o sorvolando i paesi devastati dalla guerra, dall'Albania alla Somalia, dal Medio Oriente al Kosovo.

Una malattia che i controlli sanitari non hanno mai escluso possa essere dovuta allo stesso uranio impoverito e che gli ha comunque causato l'asportazione del pleure e la rescissione di quattro costole. I primi sintomi nel '96 tornato da una missione in Israele. Tre anni più tardi, dopo le missioni in Bosnia, Libano e Kosovo, la la diagnosi certa: mangio endotilione epiteloide dell'osso con complicazione al diaframma ed al polmone destro.

Nel marzo '99, dopo 23 anni di servizio effettivo, viene riformato e congedato. Nel settembre 2001 si sottopone come "cavia" all'Istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori per testare un nuovo farmaco sperimentale anti tumore ma due mesi più tardi le sue condizioni si aggravano ed il suo cuore cessa di battere l'otto novembre 2001.

Pubblicato il: 03/11/2003

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