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Dura condanna al notaio Alessandro Pongelli

Tre anni e mezzo, oltre all'interdizione per cinque anni dai pubblici uffici e per tre anni dalla professione.

ORVIETO - Una condanna a tre anni e mezzo, oltre all'interdizione per cinque anni dai pubblici uffici e per tre anni dalla professione. È questo l'epilogo della vicenda giudiziaria che, nel luglio dello scorso anno, dopo un precedente patteggiamento ad un anno e undici mesi con la condizionale, ha investito nuovamente il notaio orvietano, Alessandro Pongelli. I giudici del tribunale di Orvieto hanno pronunciato la sentenza giovedì scorso, al termine del procedimento penale. Il professionista era stato arrestato per ben due volte per peculato tra il 2006 e il 2009, i fatti cui faceva riferimento il processo che si è concluso giovedì erano connessi alle manette scattate lo scorso anno.  Per la seconda volta a distanza di poco tempo, la guardia di finanza, infatti, grazie ad una segnalazione che sarebbe arrivata proprio dall'Agenzia delle Entrate, aveva rilevato a carico del pubblico ufficiale gravi irregolarità sui versamenti delle imposte dovute allo Stato. Nel mirino nove atti, per un totale di circa 175mila euro di imposte, non versate o versate tardivamente.

La stessa cosa, all'incirca, di quanto, il notaio orvietano era stato sorpreso a fare nel 2006, quando le fiamme gialle scovarono addirittura 900mila euro che il professionista aveva sottratto o aveva tardato a versare, in riferimento a parecchi atti a partire dall'anno 2004. Per questa prima vicenda il notaio ha patteggiato (settembre 2007) un anno e undici mesi con la condizionale. Poi però avrebbe continuato "affinando - secondo la procura - le modalità per sottrarre l'importo delle imposte da versare allo Stato, nonostante avesse ricevuto dal cliente il pagamento della somma dovuta".

Di qui il secondo arresto per peculato aggravato e continuato. Come noto, infatti, il notaio ha l'obbligo di chiedere la registrazione dell'atto e versare le relative imposte entro 30 giorni dalla redazione e può rifiutarsi di redigere l'atto, se le somme non sono pagate dal cliente, mentre le stesse somme sono da considerare pecunia pubblica.

Nel frattempo a gennaio scorso si è riaperto il caso per i sei funzionari del fisco sospettati di complicità nella vicenda. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, del pm Calogero Ferrotti contro l'archiviazione dell'indagine disposta dal giudice di Orvieto. Se l'Agenzia delle Entrate è stata infatti sollecita nel segnalare le anomalie dei versamenti nel 2009, non lo sarebbe stata altrettanto dal 2004 al 2006.

 

Pubblicato il: 27/06/2010

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