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Monsignor Vincenzo Paglia all'omelia per la Giornata presbiterale: 'Noi sacerdoti siamo anzitutto 'figli'Sì, solo se siamo figli, possiamo essere padri.'

Ieri a Collevalenza, Santuario dell'Amore Misericordioso 17 giugno 2010

 

Si è svolta oggi al Santuario dell'Amore Misericordioso di Collevalenza l'annuale Giornata Presbiterale promossa dalla Conferenza episcopale dell'Umbria che quest'anno è coincisa con la conclusione dell'anno sacerdotale indetto dal Santo Padre Benedetto XVI.

Dopo la recita dell'Ora Media, Fr. Enzo Bianchi, Priore della Comunità di Bose ha dettato una meditazione  sul tema "La Parola di Dio nella vita sacerdotale".

Ha fatto seguito una solenne Concelebrazione eucaristica, presieduta da Mons. Vincenzo Paglia, Vescovo di Terni-Narni-Amelia e presidente della Ceu, partecipata dai Vescovi dell' Umbria e da numerosi presbiteri provenienti dalle diverse diocesi.

All' omelia Mons. Paglia prendendo lo spunto dalla pagina del Vangelo di Matteo che si apre con l'esortazione di Gesù ai discepoli a non sprecare parole quando si rivolgono al Padre, come invece fanno i pagani pensando di essere esauditi "a forza di parole", - ha detto - "Non che le parole non contino tanto che Gesù, in altra pagina del Vangelo, avverte che saremo giudicati sulle parole: "di ogni parola vana che gli uomini diranno, dovranno rendere conto nel giorno del giudizio; infatti in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato"(Mt 12,36). Le parole sono importanti e spesso purtroppo non ce ne rendiamo conto.

Per il Signore la "parola" - ha ricordato Mons. Paglia - è parte del suo stesso essere. "In principio era la Parola" scrive Giovanni. Ed egli ben più di noi ha potuto dire, per mostrarci la definitività del suo amore: "vi do la mia parola". Sì, ce l'ha data. Accogliamola perché salva tutte le nostre e le rende forti Anche il Padre nostro fa parte delle parole che Dio ci dona. E la Chiesa, che è una madre buona, l'ha messa sulle nostre labbra fin da bambini. Il Signore non può non ascoltarla, visto che le parole ce le ha suggerite Lui stesso. Nel del discorso della montagna il "Padre nostro" occupa il centro fisico, quasi a darci "la sintesi di tutto il Vangelo" (Tertulliano). E già dalla prima parola si comprende l'incredibile misericordia di Dio che sconvolge l'impianto religioso ebraico. Facendoci dire "abbà" (papà) Gesù compie una vera e propria rivoluzione religiosa, visto che nella tradizione ebraica neppure si può nominare il nome santo di Dio. Ma Gesù non "abbassa" Dio a noi; piuttosto innalza noi al Padre "che sta nei cieli". Nella parola «padre, papà », Gesù ci svela il suo stesso miste­ro, ci rivela se stesso. L'invito di Gesù a rivolgerci a Dio con l'appellativo di "abbà" ci dice che prima delle parole, nella preghiera cristiana, conta l'atteggiamento, o meglio il riconoscimento della condizione di figliolanza Noi sacerdoti siamo anzitutto "figli" Sì, solo se siamo figli possiamo essere padri. E non è scontato perché la dimensione della figliolanza è l'opposto di quel che la cultura contemporanea ci suggerisce di essere. Tutto ci dice di essere autosufficienti, indipendenti, adulti, insomma sciolti da tutti e da tutto. Neppure Gesù era absolutus, sciolto dal Padre. Non era venuto nel mondo per realizzare se stesso o per fare la sua volontà, ma per obbedire in tutto al Padre.

Il Padre, pur restando nei cieli non è il "totalmente altro". E' anzi il "padre" della famiglia umana, Padre di tutti i popoli, di tutti gli uomini. La preghiera del Padre Nostro mentre ci innalza sino al cielo ci apre il cuore a tutti gli uomini. Quel Padre è "nostro" ben prima di essere mio.

Per questo Gesù ci fa chiedere - ha sottolineato Mons. Paglia - che sia fatta la sua volontà, ossia che tutti i suoi figli si salvino. E che venga presto questo regno dell'amore, della pace, della giustizia. Se prima ci apre la mente e il cuore all'universalità della salvezza, poi ci esorta a chiedere il pane, quello di ogni giorno, per farci toccare con mano la concretezza dell'amore di Dio. E poi pone sulle nostre labbra una grave richiesta: "Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori". Appare duro e irrealistico ammettere che il perdono umano sia modello ("così come noi ... ") di quello divino, ma nei versetti seguenti questa petizione trova una spiegazione: "Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe". Questo linguaggio è incomprensibile per una società, come la nostra, nella quale il perdono è davvero raro. Ma forse proprio per questo abbiamo ancor più bisogno di imparare a pregare con il "Padre nostro".

La conclusione - più chiara nel suo senso nella nuova traduzione - ci fa chiedere ancora aiuto al Signore: "non abbandonarci alla tentazione" (letteralmente: "non farci entrare nella tentazione").

E' l'esperienza della nostra debolezza, della nostra fragilità - ha detto Mons. Paglia concludendo al sua Omelia- e il principe di questo mondo non è inattivo. Nel libro della Genesi si legge che il peccato è accovacciato alla porta del cuore. Basta davvero uno spiraglio perché forzi la porta per entrare. Abbiamo bisogno che il Signore ci sostenga e ci liberi dal potere del maligno."

 

Pubblicato il: 19/06/2010

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