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FILIERA CORTA, INTERVIENE ANGELO RANCHINO

Egregio Direttore,

come sempre apprezzo molto la forma dei suoi scritti, ben articolati e di ottima fattura.

A volte, come nel caso in esame, un po' meno ne condivido il contenuto.

Quello che Lei afferma è in parte vero: è sempre più difficile reperire materie di buona qualità e agricoltori o allevatori che immettano sul mercato (inteso come tale anche quello del giovedì e del sabato nella nostra piazza del Popolo) prodotti destinati alla vendita diretta.

Ciò però non è frutto di una evoluzione dei consumi; ne è conferma il fatto che i prodotti biologici e quelli marcati IGP o DOC, DOGC sono sempre più ricercati e il consumatore è costretto a pagare un prezzo che spesso è anche dieci volte maggiore di quello che viene riconosciuto al produttore, con indubbia penalizzazione per chi compra e chi acquista e alti profitti per gli intermediari della filiera.

Dunque vi è attenzione del consumatore al prodotto di qualità, magari biologico, di origine controllata, che conferisce sicurezza sui modi di produzione e sull'integrità (anche genetica) di ciò che si compra.

La cultura del consumatore è sufficientemente avanzata per comprendere che ciò che viene destinato all'alimentazione è una delle variabili principali del nostro stato di salute.

Il fatto che molti agricoltori non producano più beni che possono essere destinati alla vendita per immediato consumo (insalata, ortaggi, frutta ecc.) ed invece abbiano destinato la propria attività alla produzione di materie prime (foraggi, erbe mediche, frumenti), è dato proprio dall' impossibilità offerta dal mercato, per come è oggi strutturato, di permettere un adeguato margine di ricavo da altri prodotti che non godano di aiuti comunitari.

La scelta di avviare un'esperienza nei mercati di vendita diretta, proposta con la mozione presentata da Orvieto Libera attraverso il sottoscritto, e condivisa dall'unanimità del Consiglio Comunale, è proprio destinata a fornire agli agricoltori l'opportunità (senza molti costi aggiuntivi quali autorizzazioni al commercio in sede mobile, occupazioni di suolo pubblico ecc., né particolari pratiche burocratiche) di tornare a vendere direttamente prodotti anche in minima quantità, avviando un circuito virtuoso che inverta l'attuale destinazione dei terreni a colture estensive.

Ritengo che la politica e la corretta amministrazione servano a questo: dare i giusti strumenti che possano condurre chi ne colga l'utilità e l'opportunità ad un miglioramento della propria condizione; nel caso di specie poi, senza alcuna contropartita negativa.

E' vero; forse sono un po' sognatore, e forse un po' troppo ottimista.

L'esperienza di Orvieto Libera è però l'esempio di come sogni, a volte anche un po' presuntuosi, possano avere concreta realizzazione.

Il sogno le cui premesse sono state approvate dal Consiglio Comunale è quello di vedere realizzata un'area ove gli Orvietani, e non solo, possano recarsi per acquistare merce appena raccolta nei campi o colta dagli alberi, da produttori dei quali sono note l'identità e le modalità di coltivazione; prodotti freschi, genuini, a prezzo molto inferiore di quelli anonimi, lucidi di lavorazione semi-industriale, che troviamo sui banchi della grande distribuzione.

Il tutto con profitti molto maggiori per chi li produca, cosicché vi siano sempre maggiori agricoltori che decidano di abbandonare la coltivazione di prodotti da destinare spesso a intermediari che li acquistano a prezzi addirittura inferiori ai costi necessari per la loro produzione, e si dedichino ad un nuovo, ma antico, modo di coltivare la terra, che ognuno di noi rimpiange, senza però far nulla perché si possa invertire la marcia.

Quello che non condivido è il senso di ineluttabilità di alcuni meccanismi che tutti avversiamo, ma che nessuno di noi combatte con azioni concrete.

Fare, caro Direttore, è quello che serve; un fare magari idealista, ma animato da un sentimento di giustizia degli obiettivi che si vogliono perseguire.
Se le scelte sono corrette, certamente altri le seguiranno e gli obiettivi saranno raggiunti.

Questa non mi sembra filosofia.

Non tentare neanche, significa lasciare che il mondo si avvi, più di quanto non lo abbia già fatto, in quella direzione che ciascuno di noi sa essere errata.

Pubblicato il: 26/03/2010

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