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SI PUO' RICOMINCIARE: NULLA E' IMPOSSIBILE A DIO

Il testo integrale della pastorale di monsignor Giovanni Scanavino, vescovo di Orvieto-Todi consegnata nel giorno dell'Epifania, al termine della lunga visita che nell'ultimo anno lo ha portato tra la gente e nelle 92 parrocchie della diocesi

foto di copertina

ORVIETO - Ancora troppe divisioni e troppa poca conoscenza di Cristo, del Vangelo e della Chiesa. Sono alcune delle indicazioni che arrivano dalla lettera pastorale "Si può ricominciare: nulla è impossibile a Dio" che il vescovo, monsignor Giovanni Scanavino, ha consegnato nel giorno dell'Epifania, al termine della lunga visita che nell'ultimo anno lo ha portato tra la gente e nelle 92 parrocchie della diocesi. Nel documento, il vescovo fotografa una diocesi ancora troppo "clericale", dove c'è, sì, la collaborazione di tantissimi laici, ma - dice padre Giovanni - "la collaborazione non è ancora responsabilità collegiale, condivisa". "Anche l'unità pastorale - scrive il vescovo - è ancora molto teorica, se andiamo oltre quello che si vede, cioè oltre la suddivisione territoriale e il raggruppamento di alcune parrocchie, fatti a tavolino. Non c'è ancora la volontà e il piacere di lavorare insieme, unendo le forze". "Certamente - suggerisce Scanavino - i sacerdoti dovrebbero essere i registi di questa bella novità, ma l'età media piuttosto avanzata rischia di frenare l'iniziativa, per scegliere piuttosto quello che si può o come si è fatto sempre. L'anzianità del nostro clero è ancora una grande grazia, ma inevitabilmente può condizionare il nostro ritmo di crescita, soprattutto quando i laici preparati e disponibili non sono coinvolti direttamente nella gestione ecclesiale, in particolare in quei settori dove si sente di più la distanza generazionale". Indicazioni dal vescovo anche sulla catechesi che deve essere più biblica ed evangelica. "I nostri ragazzi - scrive - compiono un lungo itinerario catechistico, ma al termine la loro conoscenza di Cristo, del Vangelo e della Chiesa, risulta piuttosto scarsa, o perlomeno inadatta ad affrontare l'esperienza cristiana.

Segue la lettera.

LETTERA PASTORALE DI MONS. GIOVANNI SCANAVINO VESCOVO DI ORVIETO-TODI

 SI PUO' RICOMINCIARE: "NULLA E' IMPOSSIBILE A DIO" 

Lc 1, 37

Al termine della recente Visita Pastorale è doveroso un sincero ringraziamento.

Al Signore, "datore di ogni bene", che mi conserva la fede, la salute e anche un po' di entusiasmo.

Alla Nostra Signora di Lourdes, che mi ha pazientemente accompagnato, chiamando a raccolta tutta la Diocesi per ascoltare il suo pressante messaggio: "Fate quello che Gesù vi dirà" (Gv 2, 5).

A tutti i Presbiteri e Diaconi, che mi hanno accompagnato e sostenuto in ogni circostanza.

A tutti i collaboratori pastorali, dai Catechisti ai Chierichetti, che hanno reso vive le nostre celebrazioni.

Ho trovato Parrocchie ancora vivaci, dove non mancano la fede e la carità, ma dove va costantemente rinnovata la speranza.

La fede ci è stata tramandata dai nostri nonni, e dove questi ora si trovano ammalati, sono curati in casa con una carità encomiabile. Questa testimonianza mi ha edificato, al punto che la posso considerare uno degli aspetti più belli dell'intera Visita.

Se guardiamo al recente passato, possiamo dire che la fede ha tenuto e ha generato una carità solida. Il problema riguarda la situazione odierna. La velocità del cambiamento e il passaggio da una civiltà prevalentemente  contadina all'attuale, ancora indefinibile, ma certamente più industriale e tecnologica, mette in discussione la speranza, che non è più in grado di motivare e trasmettere la fede con la stessa sicurezza di prima e perciò fa vacillare la stessa carità. La fede non sostiene più la pratica religiosa e così la famiglia comincia a cedere proprio sul piano dell'amore e della fedeltà. Dobbiamo remotivare la nostra fede e tornare alle fonti delle nostre energie, i sacramenti dei pellegrini, e cioè i sacramenti della riconciliazione e dell'Eucaristia. Su questo aspetto importantissimo tornerò al momento dei propositi che devono scaturire dalla Visita.

Il tema dei Laici e dell'Unità Pastorale

Ne abbiamo parlato strada facendo, ma mi sono accorto che si tratta di un tema ancora un po' acerbo, sia quello dei Laici che dell'Unità Pastorale.

La vivacità delle nostre parrocchie è determinata senz'altro dall'intraprendenza missionaria dei nostri sacerdoti e dalla preziosa collaborazione di tantissimi laici, ma siamo ancora in uno schema "clericale", e la collaborazione non è ancora responsabilità collegiale, condivisa. Dobbiamo ancora crescere nel riconoscere i reciproci doni, che ci sono stati dati proprio per la crescita di tutto il Corpo che è la Chiesa. Sono determinanti i sacerdoti in una comunità cristiana, ma lo sono altrettanto i laici e i consacrati, ognuno secondo il proprio carisma e missione. E' proprio da questa presenza determinante che bisogna ripartire, per ricercare un dialogo e una condivisione che ci aiutino ad arricchire la comunità e a farne un organismo completo ("ecclesia plena").

 

Anche l'Unità Pastorale è ancora molto teorica, se andiamo oltre quello che si vede, cioè oltre la suddivisione territoriale e il raggruppamento di alcune parrocchie, fatti a tavolino. Non c'è ancora la volontà e il piacere di lavorare insieme, unendo le forze. Certamente i sacerdoti dovrebbero essere i registi di questa bella novità, ma l'età media piuttosto avanzata rischia di frenare l'iniziativa, per scegliere piuttosto quello che si può o come si è fatto sempre. L'anzianità del nostro Clero è ancora una grande grazia, ma inevitabilmente può condizionare il nostro ritmo di crescita, soprattutto quando i laici preparati e disponibili non sono coinvolti direttamente nella gestione ecclesiale, in particolare in quei settori dove si sente di più la distanza generazionale.

Ho trovato parroci anziani, ma giovanissimi di spirito, perché hanno fatto leva sul coinvolgimento cordiale dei laici migliori. Allora vuol dire che è possibile questa coesistenza, e quando c'è, non ne risente neppure la pastorale giovanile, che invece in certe parrocchie è la più penalizzata dalla distanza generazionale. L'Unità Pastorale più urgente e possibile è proprio il massimo coinvolgimento di ognuno, secondo il proprio dono, nella costruzione spirituale dell'insieme delle parrocchie, nella catechesi, nella liturgia, nella carità, nella pastorale giovanile, del lavoro, degli anziani, dei malati

Il rinnovamento della catechesi

L'urgenza emersa ovunque riguarda il rinnovamento della Catechesi. I nostri ragazzi compiono un lungo itinerario catechistico, ma al termine la loro conoscenza di Cristo, del Vangelo e della Chiesa, risulta piuttosto scarsa, o perlomeno inadatta ad affrontare l'esperienza cristiana. I loro genitori, in genere, non accompagnano la loro formazione catechistica, e tanto meno la loro pratica religiosa, per cui si crea in famiglia un distacco che non facilita nei figli la formazione e la coerenza cristiana. Gli stessi genitori denunciano carenze formative sul piano religioso, un pericoloso silenzio che non facilita il dialogo formativo.

Per fortuna resiste la categoria dei catechisti, ma sono sempre più in difficoltà di fronte ad un'impresa che appare sempre più ciclopica. Dobbiamo presto correre in loro aiuto e sostenerli nella loro formazione e nella collaborazione con i genitori dei ragazzi.

La formazione dei catechisti dev'essere più biblica ed evangelica, perché siano in grado di trasmettere ai ragazzi una conoscenza più ricca e profonda della storia sacra, del rapporto tra antico e nuovo testamento, e dell'esperienza cristiana, come vera esperienza umana di libertà e di gioia. La catechesi di formazione ai Sacramenti va intesa proprio come abilitazione ad una forte esperienza cristiana che permetta ai ragazzi di affrontare la vita con coraggio e autonomia. Può anche verificarsi un rifiuto, strada facendo, ma per mancanza di volontà, non per ignoranza colpevole.

Dobbiamo favorire il più possibile la collaborazione tra catechisti e genitori, coinvolgendo di più questi nella stessa catechesi in parrocchia o nelle famiglie. Il sogno espresso più volte è che gli stessi genitori diventino i veri catechisti dei propri figli, e che la catechesi diventi sempre di più comunicazione di esperienza cristiana e meno scuola di catechismo.

L'unico vero proposito: La moltiplicazione del Pane

La nuova icona, dipinta - come sempre - dalle nostre Sorelle Clarisse del Buon Gesù per indicarci il tema dell'anno, riguarda la moltiplicazione del Pane. Ancora una volta Gesù ci spinge a raccogliere in un gesto tutto l'insegnamento della sua vita: "Date loro voi stessi da mangiare". Gli Apostoli per ben due volte non avevano capito; per questo Gesù ha pensato di lasciar loro come testamento l'ultima Cena, l'Eucaristia che noi celebriamo soprattutto la domenica.

Durante tutta la Visita Pastorale abbiamo parlato a lungo dell'Eucaristia con l'intento di sottolineare l'unico proposito di ridare all'Eucaristia il primato nella nostra vita cristiana. Nell'Eucaristia vissuta in pienezza sta il segreto della missione della nostra vita cristiana: "mangiare, bere e distribuire il Corpo e il Sangue di Cristo" è tutta la nostra vocazione, che ci permette di costruire un mondo nuovo, come il Vangelo di Cristo lo ha profetizzato, nell'unità dell'amore di Dio e del prossimo.

. (Benedetto XVI, Lettera Apostolica Postsinodale, Sacramentum caritatis, 88)

 "Non capite ancora?"

Ripartiamo da un testo favoloso di Marco (8, 1- 21), che ci registra la seconda moltiplicazione dei pani e poi continua a parlare di pane in un contesto curioso, dove  i farisei continuano a chiedere un segno, ma gli stessi discepoli dimostrano di non aver compreso la moltiplicazione dei pani, perché sono fortemente preoccupati di aver comprato un solo pane. Gesù sottolinea fortemente la cecità dei discepoli; numeri alla mano, mette i discepoli con le spalle al muro e conclude con questa terribile provocazione: "non capite ancora?". La moltiplicazione dei pani in tutti e quattro i Vangeli ha il preciso significato di preparare la comprensione dell'Eucaristia: il vero pane è Cristo che si donerà per sempre ("fate questo in memoria di me"), perché tutti possano vivere della sua stessa vita e trasmetterla al mondo intero.

 L'Eucaristia è per la vita, e non ci sono più scuse, non possiamo rimanere bloccati dalla nostra ristrettezza ("come possono bastare pochi mezzi per tutti"). Dal segno della moltiplicazione e ancor più dal segno dell'ultima cena, ce n'è davvero per tutti. Nel progetto di Gesù il mistero eucaristico è la soluzione della vita: tutti possiamo dare la vita per gli amici e persino per i nemici. E' questione di fede, e però di una fede che coinvolge tutta la vita, dal punto di vista religioso, politico e sociale.

L'Anno Sacerdotale

Abbiamo davanti una vera occasione di grazia. Il Santo Curato d'Ars, scelto dal Papa come modello per tutti i Sacerdoti, può veramente aiutarci a vivere il nostro unico proposito per tutta la nostra Chiesa Diocesana. Il suo grande amore per l'Eucaristia e il suo eccezionale ministero della misericordia può sicuramente suggerire ai nostri Sacerdoti lo stile di una nuova evangelizzazione dei due Sacramenti che caratterizzano la fase del nostro pellegrinaggio e che - nemmeno a farlo apposta - più di ogni altro Sacramento hanno subito un gravissimo calo di frequenza, determinando così un'esperienza cristiana debole, a scapito della famiglia e della stessa società.

Se tutti insieme i Sacerdoti dedichiamo di proposito quest'anno ad  una nuova evangelizzazione dell'Eucaristia e della Riconciliazione, dedicando soprattutto a questa il tempo richiesto, possiamo sicuramente ridare alle nostre comunità la giusta vitalità, testimoniando quanto la fede può sostenere l'umanità e cambiare le regole del gioco verso  un mondo più giusto e fraterno.

Parlando dell'amore del Curato d'Ars per l'Eucaristia e per il Sacramento della Riconciliazione, Papa Benedetto usa un'espressione di grande efficacia: "L'immedesimazione personale (del Santo Curato) al Sacrificio della Croce lo conduceva - con un solo movimento interiore - dall'altare al confessionale." E commenta: "I sacerdoti non dovrebbero mai rassegnarsi a vedere deserti i loro confessionali né limitarsi a constatare la disaffezione dei fedeli nei riguardi di questo sacramento. Al tempo del Santo Curato, in Francia, la confessione non era né più facile, né più frequente che ai nostri giorni, dato che la tormenta rivoluzionaria aveva soffocato a lungo la pratica religiosa. Ma egli cercò in ogni modo, con la predicazione e con il consiglio persuasivo, di far scoprire ai suoi parrocchiani il significato e la bellezza della Penitenza sacramentale, mostrandola come un'esigenza intima della Presenza eucaristica. Seppe così dare il via a un circolo virtuoso. Con le lunghe permanenze in chiesa davanti al tabernacolo fece sì che i fedeli cominciassero a imitarlo, recandovisi per visitare Gesù, e fossero, al tempo stesso, sicuri di trovarvi il loro parroco, disponibile all'ascolto e al perdono." (Dalla Lettera di Indizione dell'Anno Sacerdotale di Benedetto XVI, 16 giugno 2009).

Quanto sarebbe bello se le nostre parrocchie diventassero, come Ars, "il grande ospedale delle anime", dove si scopre il vero Medico della nostra vita, che ci guarisce e ci nutre attraverso l'abbondante grazia dei due Sacramenti, del Perdono e del Pane.

Un unico piano pastorale

Insisto su questa prospettiva - un unico proposito, un unico piano pastorale -, ma non per un gioco e tanto meno per un inganno psicologico, bensì per una necessità teologica e pastorale. Abbiamo bisogno di raccogliere tutte le nostre forze e di indirizzarle all'unico obiettivo che conta, alla "fonte e all'apice di tutta la nostra vita", che è l'Eucaristia, come il Sacramento dei Sacramenti, e il vero stile di tutta la nostra vita. Abbiamo bisogno di essere determinati "ad unum", per una questione di chiarezza e di efficacia. Altrimenti, come spesso succede, ci disperdiamo e subiamo la delusione e la paralisi del nostro insuccesso. Nel bel mezzo del nostro cammino abbiamo bisogno di una nuova conversione: all'Eucaristia, mediante il perdono.

Ci racconta questa conversione uno dei più grandi convertiti, Sant'Agostino, quando, già vescovo, scrive le sue Confessioni.

"Atterrito dai miei peccati e dalla mole della mia miseria, avevo ventilato in cuor mio e meditato una fuga nella solitudine. Tu me lo impedisti, confortandomi con queste parole: Cristo morì per tutti affinché i viventi non vivano più per se stessi, ma per Chi morì per loro (2 Cor 5, 15). Ecco, Signore, lancio in te la mia pena, per vivere; contemplerò le meraviglie della tua legge. Tu sai  la mia inesperienza e la mia infermità: ammaestrami  e guariscimi. Il tuo unigenito, in cui sono ascosi tutti i tesori della sapienza e della scienza, mi riscattò col suo sangue. Gli orgogliosi non mi calunnino, se penso al mio riscatto, lo mangio, lo bevo  e lo distribuisco; se, povero, desidero saziarmi  di lui insieme a quanti se ne nutrono e si saziano. Loderanno il Signore coloro che lo cercano."(Confessioni, X, 43, 70)

Diverse delusioni personali avevano portato il vescovo Agostino ad un ripensamento sul suo compito pastorale. Era meglio la semplice quiete del monastero. Ancora una volta - come già nel giardino di Milano prima del battesimo - la Parola lo illumina e lo conferma nel santo proposito. Che fare allora? Come descrivere la sintesi di questo unico proposito? Con le parole dell'Eucaristia, qui chiamata "il mio riscatto": lo mangio, lo bevo e lo distribuisco. Ecco il vero grande progetto pastorale, che ci dà la forza di superare le delusioni, ci nutre di Cristo e ci rende, come lui, capaci di distribuire a sazietà il pane della vita.

Questo proposito vale per tutti allo stesso modo, qualunque sia la nostra vocazione. Tutti dobbiamo imparare a vivere della stessa fonte, e solo con queste energie possiamo costruire una nuova famiglia e una nuova comunità. I sacerdoti hanno un compito speciale, perché nella persona di Cristo attuano il riscatto e ci rendono abili a mangiarlo e a berlo. Tutti poi, dopo averlo mangiato e bevuto, abbiamo la missione di distribuirlo, di dare cioè, con la stessa gratuità, la nostra vita. Questa è la nostra Messa, e qui sta tutta la nostra vita cristiana, nella celebrazione e nella distribuzione.

Alla Madonna ancora l'ultima parola

"Fate quello che vi dirà". Abbiamo bisogno di vino nuovo per la nostra festa, il nostro non è sufficiente. Solo Gesù può cambiare la nostra acqua.

Con il suo "sì" la Madonna ci ha dato l'esempio: ha dato inizio ad una nuova umanità, fatta di stretta collaborazione tra la potenza dell'Altissimo e l'umiltà della nostra debolezza. Ha atteso una festa di nozze per farci capire che tutto può ricominciare dalla famiglia che accoglie e riconosce il suo Figlio Gesù e con lui celebra le mistiche nozze dell'Eucaristia. Lasciamoci fare e portare dal ritmo dell'amore eucaristico. E' l'Eucaristia che fa la Chiesa. Coraggio, con la Benedizione del Signore.

                                + P. Giovanni Scanavino, vescovo         

Pubblicato il: 08/01/2010

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