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Rinnovamento e metodo, ma anche pericolo di colonizzazione

di Dante Freddi Il pericolo è che si scambi il nuovo con il forestiero, cadendo così nel più becero provincialismo. Il fatto che per capire e saper fare sia necessario venire da Milano o da Roma gli orvietani lo hanno sempre digerito male ed era troppo perfino che l'innesto provenisse da Allerona, come con Barbabella e Cimicchi

foto di copertina

di Dante Freddi

Rinnovamento delle classi dirigenti, nazionali e locali.
Tema attualissimo, attualissimo in ogni tempo, perché c'è sempre chi chiede il rinnovamento, parola d'ordine che evoca e invoca un futuro diverso e migliore, e chi  non vuole farsi rinnovare, che ritiene che il suo metodo e la sua persona siano ancora pimpanti ed adeguati.
Qualcuno, in questo processo, assimila il rinnovamento con il cambiamento,  non azzecca il mezzo per raggiungere l'obiettivo perseguito e si ritrova con gente nuova che non cambia nulla. Ma c'è anche chi auspica un rinnovamento tutto suo, che modifichi il rapporto con il potere  secondo aspirazioni personali, senza una visione strategica o di classe. Semplicemente un'alternanza del privilegio tra una fazione e l'altra.
Altri ancora pensano che le magnifiche sorti e progressive possano attuarsi soltanto con la successione alla guida dei giovani ai vecchi.  Quest'ultima ipotesi non è una garanzia di successo ma costituisce un passo avanti e qualche volta funziona, soprattutto se l'alternanza è cruenta e non lascia in giro "debiti" di riconoscenza da pagare ai "pensionati".
Noi, ad Orvieto e nell'Orvietano, siamo in piena fase di "rinnovamenti", mancati e no.
Nel Pd, le primarie hanno consolidato la classe dirigente esistente e, a parte qualche vecchio tramortito dal clima sfavorevole, come le mosche di questi tempi, ma pronto a riprendere vitalità al primo alito, il nuovo avanza con sorprendente lentezza, tanto da sembrare fermo, anzi di retrocedere.  Tra qualche tempo a dirigere il partito orvietano me dell'Orvietano chiameranno qualcuno di "provata esperienza ed equilibrio", garante di tutti, e così la situazione rimarrà inalterata. 
A Porano è iniziata l'era Cocco e anche in altri paesi del territorio, seppure sempre a guida di centrosinistra, si sentono folate di vitalità che potrebbero far pensare a impulsi innovativi.
Certamente nuovi sono Còncina ed i suoi, più o meno.
Lo è il sindaco, e il suo stile certifica che nella forma, nella sostanza lo vedremo, tira aria nuova, lontana dalle forme della politica sclerotizzata in liturgie. Il suo vice organizzativo, Cristina Calcagni, è nuova anch'essa e riflette perfettamente i modi "sciolti" di  Concina, magari con stile un po' più  spontaneo, ma efficace per rappresentare che qualcosa è cambiato. E così avanti nell'amministrazione orvietana, compreso Zazzaretta.
Il pericolo è che si scambi il nuovo con il forestiero, cadendo così nel più becero provincialismo.
La presenza di persone non indigene, da Concina alla Calcagni a Romiti, non deve far emergere in alcun modo che siamo una popolazione non autosufficiente, bisognosa di tutele, ma piuttosto che siamo gente che sa valorizzare chi è a disposizione. Senza esagerare però, perché poi  la sensibilità autoctona si urta, a destra e a sinistra.
Insomma, questo innesto continuo dall'esterno, salubre e portatore di trasformazione in dose giusta, potrebbe causare fraintendimenti, perché anche molti di noi "nativi"  si sentono legittimamente capaci come "poeti, artisti, amministratori".
Il fatto che per capire e saper fare sia necessario venire da Milano o da Roma gli orvietani lo hanno sempre digerito male ed era troppo perfino che l'innesto provenisse da Allerona, come con Barbabella e Cimicchi.
Il nome di grido, il "vippotto", direbbe Franco Raimondo Barbabella, è gradito ma non necessario, "sappiamo sbagliare da soli".   

Nella foto uno scorcio emblematico della città. In primo piano l'ex ospedale, in fondo la ex Piave, in mezzo l'unica certezza, il Duomo.

Pubblicato il: 09/11/2009

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