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A braccetto con un amico

di Nello Riscaldati

Marcello Conticelli ha preso il treno della notte e se n'è andato. E così un altro sperone di tufo si è staccato dalla Rupe, si è poi frantumato, per diventare nuova terra onde lasciar crescere nuove erbe e nuovi fiori e per dar rifugio agli animali. In fondo è così da sempre che dalla morte si rigenera la vita.

Purtroppo, da queste partenze, Orvieto ne esce sempre  ridimensionata, più povera e più banale. Il treno della notte si è portato via anche le mani di Marcello. Quelle mani non lavoreranno più ed altre simili per via non se ne vedono.

 

Non ascoltate i "parlatori professionisti" che vi dicono: "Faremo rinascere e incentiveremo le arti e i mestieri per evitarne la scomparsa!".

Senza mani nate già abili e senza grandi maestri, senza la costanza di continuare a martellare la materia anche dopo essersi acciaccato qualche dito non si incentiva e non si fa rinascere niente

Un mattino Marcello portò in classe (stavamo con il maestro Brozzi) una scodella di ferro "tirata a martello" così lui ci disse. Il maestro lo elogiò. Noi non capimmo nemmeno che cosa volesse dire "tirare a martello", ma non capivamo nemmeno perché dopo essere venuto a scuola che in quei tempi era molto dura, dovesse andare anche il pomeriggio a lavorare gratis da Ravelli.

Avevamo 8 o 9 anni e molti di noi, anno prima anno dopo, andavano a fare "il maschietto di bottega", chi dal calzolaio, chi dal fabbro, chi dal falegname, chi a girare "la rota" dal funaio, tanto che nelle classi povere il ragazzino che non aveva un "padrone" e che non portava a casa la "settimana" era considerato un incapace e un disoccupato.

 

All'Avviamento, scuola con grandi maestri, e che durava 8 ore al giorno, frequentammo insieme, di sera dopo le 18,30, la scuola di disegno di Francesco Puppo. Rincasavamo alle otto quando era già buio. Eravamo usciti di casa alle otto del mattino. 

 

Marcello per il lavoro ha rinunciato anche a quei giochi che noi, senza l'ombra di un centesimo in tasca, riuscivamo ad inventarci e testimoniando in tal modo che la miseria è uno dei pilastri dell'inventività infantile.

 

Da "Alla fresca insalatina" (gioco complicatissimo) a "Uno, due, tre pallotta ècchime", fino alle partite a palline, a figurine e agli interminabili tornei con la palletta di pezza o di carta legata con lo spago nella piazzetta di S. Chiara, di fronte alla Scuola.

 

Il terminare l'Avviamento a 14 anni, fu per noi una specie di "Addio giovinezza". Ci disperdemmo, insomma chi di qua chi di là. Marcello continuò a lavorare da Ravelli ancora per qualche anno e collaborò alla realizzazione della lampada del Ringraziamento visibile ancor oggi nella Cappella di S. Brizio in Duomo.

 

Poi, agli inizi degli anni Cinquanta, avendo un cellaio sotto casa, pensò di mettere su  bottega e iniziò a comprare a buffo qualche attrezzo e così cominciarono a venir fuori le prime meraviglie che fanno tuttora bella mostra di sé in qualche Chiesa, in qualche casa, e i gioielli in oro e smalti indosso a qualche signora che poteva permetterselo. Comunque la gente, specie quella più benestante, pagava poco e "a piagne".

Ho frequentato quel cellaio e l'ho visto diventare bottega; per qualche tempo vi ho lavorato anch'io e conservo ancora qualche oggetto realizzato su quelle incudini.

Ma voglio raccontare un episodio curioso e commovente ad un tempo e che con Marcello ricordavamo spesso.

C'era una donnetta che abitava in cima al vicolo, di nome Betta, che veniva spesso a bottega a chiedere il piacere di saldarle a stagno il fondo sfondato dello scaldino. Era d'inverno e lo scaldino, dopo molte stagioni, era allo stremo. Il fondo era più stagno che ferro. Fu allora che una mattina, dopo aver considerato il costo dello stagno decidemmo di andare a Piazza e di regalare uno scaldino nuovo alla Betta. Lei ne fu felice come se avesse ricevuto una stufa, e noi restammo tranquilli almeno fino all'inverno successivo.

 

Passarono gli anni e altre meraviglie vennero fuori da quella bottega sita lungo un via ripida che la gente, invece di Vivaria come è il suo nome, chiamava lo "scorticatoro". Vennero fuori le parti metalliche del Corteo Storico, il calice di Paolo VI e il reliquiario del Corporale.

 

Marcello di lavoro ne ha fatto tanto, ma non è riuscito mai "a appinzà 'na lira". Era troppo onesto.

 

Sono onorato di essere stato suo amico, suo compagno di scuola e di aver, per un tratto, lavorato nella sua bottega giù per lo "scorticatoro"! Hurrà per Marcello!

Pubblicato il: 05/08/2009

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