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Porto romano di Pagliano. Indagine storico-archeologica, restauro e valorizzazione

Nei prossimi giorni l'avvio delle nuove indagini in una delle testimonianze archeologiche più significative della Media Valle del Tevere

Il direttore della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Umbria, ispettore Paolo Bruschetti,  l'assessore alle Politiche per il turismo e promozione della cultura del Comune di Orvieto, Giuseppe Maria Della Fina, l'arch. Vittoria Biego di  Acquatecno srl e Federico Spiganti dell'associazione Porta Aurea hanno presentato questa mattina alla stampa presso il Museo archeologico di Orvieto, il Progetto "Porto Romano di Pagliano - Indagine storico-archeologica, restauro, valorizzazione" che darà il via ad una nuova fase di indagini finalizzate al restauro, valorizzazione e successiva pubblicazione delle ricerche riguardanti il sito archeologico.

Le nuove indagini in quella che sembra essere una delle testimonianze archeologiche più significative della Media valle del Tevere partiranno nella prima metà di maggio.

Esteso in un lembo di terra a forma di cuneo, definito a Est e ad Ovest dai fiumi Paglia e Tevere, il sito del porto fluviale di Pagliano è stato identificato quale porto fluviale di Volsinii a partire almeno dall'età tardo-repubblicana.

Alla fine dell'800 la Banca Romana, allora proprietaria del terreno, finanziò un'operazione di scavo che portò all'individuazione di una serie di ambienti collegati tra loro di cui solo alcuni furono scavati e recuperati. Nel corso di successive indagini dirette dall'ingegnere Riccardo Mancini, vennero riportati alla luce circa 70 ambienti, mentre nel 1925 la Soprintendenza di Firenze propose un'opera di pulitura delle strutture che andavano deteriorandosi.

Dal 2000 - come ha sottolineato l'assessore alle Politiche per il Turismo e promozione della Cultura del Comune di Orvieto, Giuseppe Maria Della Fina - si concentrano sull'area archeologica, gli sforzi della Scuola di Etruscologia e Archeologia dell'Italia Antica, istituita con un'intesa tra la Fondazione per il Centro Studi "Città di Orvieto" e la Fondazione per il Museo "Claudio Faina", un insieme di ricerche che stanno portando a comprendere meglio la realtà di questo insediamento portuale che era una importante infrastruttura di comunicazione con Roma e il territorio e, attraverso di esso, la fase romana nell'orvietano.

Sotto la direzione scientifica della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Umbria e con il patrocinio del Comune di Orvieto, tutte le fasi di indagine che partiranno nei prossimi giorni, beneficeranno del finanziamento di una società leader nel campo dell'ingegneria marittima. Nel 2008 l'Acquatecno srl di Roma ha voluto celebrare i vent'anni dalla fondazione con una iniziativa che non fosse estranea al suo operato: la scelta di contribuire al finanziamento dell'indagine storico-archeologica, del restauro e della valorizzazione del Porto di Pagliano, ha infatti lo scopo di alimentare le conoscenze storiche relative alle opere marittime e portuali, cogliendo al tempo stesso l'occasione per mettere in luce le peculiarità del prodotto Acquatecno, ha affermato l'architetto Vittoria Biego. La società, infatti, aderisce a questa campagna non solo con un finanziamento economico ma anche partecipando fattivamente con le proprie competenze sia per quanto riguarda gli aspetti storici che scientifici del progetto.

A coordinare i lavori sul campo sarà invece l'Associazione "Porta Aurea" di Todi, nata come spin off di "Intrageo", impresa archeologica che collabora con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Umbria per progetti di ricerca, didattica e sorveglianza archeologica, le cui finalità ed obiettivi dell'associazione ha dichiarato il presidente Federico Spiganti, mirano alla promozione e al sostegno di iniziative di ricerca, tutela e valorizzazione del patrimonio archeologico e storico-artistico anche attraverso l'organizzazione di eventi e raccolta fondi.
Grande soddisfazione ha inoltre manifestato il direttore della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Umbria, Paolo Bruschetti nonché responsabile dell'insieme degli interventi di scavo che dal 2000 fino ad oggi sono stati condotti e finanziati direttamente dalla Soprintendenza e indirettamente con fondi della Regione dell'Umbria, secondo il quale questo accordo permetterà di proseguire indagini e ricerche su un sito che ha tutte le caratteristiche per poter essere considerato una delle aree archeologiche più interessanti dell'orvietano. Una collaborazione coordinata e strutturata in maniera da promettere buoni risultati futuri.

Auspicato da tutti, infine, il sempre maggiore coinvolgimento di soggetti privati nella valorizzazione e tutela dei beni culturali in uno stretto rapporto di collaborazione pubblico/privato.

In queste settimane, intanto, è aperto il bando per il 7° Corso di perfezionamento promosso dalla Scuola di Etruscologia e Archeologia dell'Italia Antica sorta nel 2002 per volontà congiunta della Fondazione per il Centro Studi "Città di Orvieto" e della Fondazione per il Museo "Claudio Faina", che quest'anno è dedicato all'applicazione di nuove tecniche con indagini e prospezioni archeologiche sul sito di Pagliano.

Il corso è concepito con un approccio innovativo: si svolgerà una prima settimana di teoria e confronto seminariale, ed una seconda settimana di applicazioni sul campo scuola del Porto di Pagliano, ovvero sulla base dei risultati dell'indagine e dello screening condotti a livello preliminare sul territorio, sarà verificata la possibilità effettiva di dare luogo agli scavi veri e propri; metodologia questa che potrà essere sperimentata anche per la prosecuzione degli scavi di Campo della Fiera.

Circa l'aggiornamento dei risultati degli scavi effettuati a Pagliano, attualmente è in corso la rielaborazione di tutti i dati raccolti finalizzata alla pubblicazione scientifica dei risultati della campagna di scavo.

 

La travagliata vicenda dell'area archeologica del Porto Romano di Pagliano fino ai giorni nostri.

Per conoscere meglio la travagliata vicenda storica e conservativa dell'area archeologica di Pagliano fino ai giorni nostri, si ripropongono alcuni stralci dell'intervento del Direttore della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Umbria, Paolo Bruschetti al convegno promosso da British School e Università di Perugia su "The Tiber Valley in Antiquity - New research in the upper and middle river valley" svoltosi nel Febbraio 2004 a Roma.

IL PORTO ROMANO DI PAGLIANO PRESSO ORVIETO (Paolo Bruschetti)

Il sito alla confluenza del fiume Paglia con il Tevere, noto con il toponimo Pagliano, è posto in un'area fortemente caratterizzata da emergenze archeologiche di vario tipo ed appartenenti ad un ampio arco cronologico.

Immediatamente a sud, le sponde dei fiumi sono dominate dall'altura di Castellonchio, sul cui pianoro sommitale sono emerse tracce di frequentazione a partire dall'età del Ferro (IX-VIII sec. a.C.) e fino al periodo tardo imperiale, con frammenti di anfore africane e sigillata chiara, ed oltre in epoca medievale; da qui un percorso viario, del quale sono ormai ben note le più antiche origini, dal territorio circostante il lago di Bolsena e l'Etruria costiera, raggiunge la valle del Paglia, fino alla confluenza nel Tevere, dove sussiste la memoria di un ponte, nel sito denominato localmente "Pontone". Poco lontano da Baschi Scalo, a sud-est della zona di Pagliano, è stata individuata a ridosso della sponda destra del Tevere, nel corso di lavori agricoli, un'area di fittili probabilmente riferibile ad una fornace, da cui provengono molti materiali la cui cronologia appare concentrata nella prima età imperiale. L'altura di Rocca Sberna, a ridosso della sponda destra del Paglia, ha restituito oltre a limitati ed incerti frammenti del Bronzo finale un certo numero di reperti tardo ellenistici e imperiali, pertanto cronologicamente omogenei con il complesso delle presenze umane nella zona. Più lontano la località ancora anonima della quale è nota la necropoli in località Vallone San Lorenzo di Montecchio, in territorio umbro-italico, ma non lontano dalla sponda sinistra del Tevere, riceve a lungo attraverso il fiume le istanze culturali orvietane. Infine in direzione di Todi, sorge sulle colline l'impianto artigianale di Scoppieto - oggi in comune di Baschi -, dal quale i prodotti venivano diffusi verso Roma e il mare Tirreno. Non deve poi dimenticarsi la funzione svolta dal Paglia, uno dei principali affluenti del Tevere, e dal suo principale tributario, il Clanis, nel quadro delle relazioni commerciali fra l'Etruria centro-settentrionale e Roma, ricordata peraltro anche dalle fonti. La zona di Pagliano era pertanto al centro di un ampio bacino intensamente abitato e con forti potenzialità produttive ed economiche nella maggior parte delle fasi storiche che è possibile conoscere in modo più approfondito; in tal senso la sua storia non appare dissimile da quella del principale centro urbano di riferimento, Orvieto appunto, della quale sono ormai ben chiare la funzione e l'evoluzione socio-politica ed economica.

Dal punto di vista geologico, l'area di Pagliano insiste su un terreno alluvionale costituito dai depositi dei due fiumi, il Paglia e il Tevere; a sua volta l'asse fluviale delimita il pianoro vulcanico vulsinio che ha nell'altura di Castellonchio una delle sue estreme propaggini; a nord dei due corsi d'acqua si sviluppa un complesso calcareo culminante nei rilievi del monte Peglia e delle alture verso Todi; questa è una situazione geologica che può aver condizionato positivamente l'insediamento di popolazioni e soprattutto la loro evoluzione economica. Quanto all'andamento dei fiumi, esso dipende dalla loro natura: il Paglia ha un regime legato soprattutto all'evoluzione stagionale, pur essendo alimentato da un bacino assai ampio; il Tevere segue invece un percorso più articolato, con un bacino che pur con larghe oscillazioni stagionali consente un'alimentazione consistente in ogni momento dell'anno. Dopo la forte cesura imposta dalla diga di Corbara, il fiume è ridotto ad un modesto ruscello, reso più importante solo dopo l'apporto delle acque del suo affluente, che ne ricostituiscono in modo sostanziale la portata; ciò ha provocato un notevole cambiamento dell'alveo, ormai allontanato dal corso antico, a causa della formazione di un largo conoide alluvionale.

Osservando vecchi rilievi o foto della fine dell'Ottocento relative agli scavi allora condotti, si nota che il fiume lambiva le strutture archeologiche, mentre il livello di entrambi i corsi d'acqua era tale da coprire periodicamente la zona di confluenza. Ben diversa è la situazione attuale, con il Tevere lontano circa 100 metri dal limite degli scavi ed il Paglia ad un livello di oltre sei metri al di sotto dal limite inferiore dei manufatti. Grazie al livello reciproco dei fiumi e del terreno, i corsi d'acqua erano sfruttati in antico per il trasporto dei materiali; ne parlano direttamente e indirettamente le fonti, Catone sulle ville di produzione, Livio sui trasporti "storici", Strabone e Plinio sulla navigabilità. Il territorio era comunque favorito e sfruttava fino in fondo tutte le vie di comunicazione, terrestri e fluviali, che lo attraversavano, diventando una sorta di cerniera fra Etruria centro- settentrionale e Roma.

Prima degli scavi della fine dell'Ottocento, non vi sono notizie dell'esistenza di un sito archeologico nella zona di Pagliano; le uniche segnalazioni, peraltro assai dubbie, riguardano il ritrovamento nel 1719 inter flumen Palliam et Tiberim di una lastra bronzea frammentaria con prescrizioni di carattere rituale.

L'abate Giovannelli, che riporta la notizia, riferisce anche del recupero nello stesso luogo di una statua togata nel corso del Settecento; incerto, per quanto con una indicazione piuttosto precisa di provenienza, è il ritrovamento nel 1507 "nel sito dove in quel fiume (Tevere) sbocca l'altro nomato Paglia" di una statua frammentaria in marmo, di cui sarebbe conservata solo la parte inferiore del corpo, con ampio panneggio; un disegno sarebbe stato realizzato forse al momento del recupero; non vi sono però informazioni sul luogo di conservazione; ancora più vago è il ritrovamento nel 1607 di una iscrizione dedicatoria al Tevere, che si dice avvenuta a Baschi presso le sponde del fiume, oggetto di lunghe vicissitudini. Finalmente nel 1889, in seguito a lavori agricoli commissionati dalla Banca Romana, proprietaria dell'ex feudo dei Montemarte di Corbara, entro i cui limiti era il sito di Pagliano, vennero alla luce le prime tracce di muri e materiali archeologici. Dato il momento particolarmente significativo per l'archeologia orvietana - nella seconda metà del XIX secolo sono avvenute le principali scoperte nella città e negli immediati dintorni -, fu dato incarico all'ing. Riccardo Mancini di organizzare campagne di scavo per riportare alla luce quello che fino dalle prime fasi si mostrava come un complesso di grandi dimensioni. Le ricerche proseguirono ininterrottamente fino al novembre 1890, quando senza alcun preavviso furono drasticamente interrotte, forse per l'approssimarsi della bufera che di lì a pochi anni si sarebbe scatenata sull'istituto e sul Governo che lo sosteneva. Gli scavi, descritti dal Mancini in assenza di qualsiasi indicazione stratigrafica, portarono alla scoperta di vari ambienti, per lo più appartenenti alla zona meridionale del complesso, prospiciente il Paglia. Un prezioso documento sui lavori svolti, e valido supporto anche per le ricerche attualmente in corso, è stato rinvenuto nell'archivio della parrocchia di Corbara durante le ricognizioni svolte; si tratta di una planimetria originale, di mano del Mancini sulla quale sono annotate natura e dimensioni dei vari ambienti, con spiegazioni - evidentemente derivate da osservazioni dirette - sulle destinazioni del sito.

Fra le varie indicazioni, è importante la dislocazione del letto del Tevere e del Paglia, immediatamente a ridosso dell'area archeologica. Nonostante i dettagli sui materiali rinvenuti, nulla si dice sulla loro collocazione; salvo pochissimi pezzi (in particolare alcuni conservati presso la chiesa di Corbara o la Villanova sopra Orvieto), essi oggi non sono più identificabili o sono stati dispersi nel corso del tempo; in ciò una parte di responsabilità va assegnata ad Amilcare Manassei, fattore della Banca Romana al momento delle indagini, che subito dopo la conclusione degli scavi Mancini e il disinteressamento dell'Amministrazione proseguì "personalmente" le ricerche, arricchendo la propria residenza orvietana, la "Villanova" appunto, e probabilmente esercitando un rapporto stretto con un altro personaggio orvietano, l'antiquario Fuschini, che più volte vediamo ricordato per aver "donato" qualche pezzo "da Pagliano" ai musei della sua città; non risulta però come ne fosse entrato in possesso e quanto sia poi realmente finito nelle raccolte.

Fra i materiali recuperati da Mancini vi furono moltissime monete - circa 5000 - non successive a Teodosio e Arcadio, fra la fine del IV e l'inizio del V sec. d.C.; oltre a una quantità considerevole di ceramica di vario tipo, lucerne e laterizi, appare significativa la presenza di molte macine da mulino, destinate a impianti di trasformazione di risorse agricole. Tutto questo rende perplessi sulla definizione del sito proposta dal Mancini come di un grande impianto termale, basandosi unicamente sulla presenza di una lunga tubatura laterizia, alimentata da una sorgente, che a sua volta forniva acqua al complesso. Analoga fu l'ipotesi di Gamurrini, che tuttavia abbinò la funzione termale ad una statio posta lungo l'asse stradale fra Ferento e Todi. Il primo a suggerire l'ipotesi di uno scalo portuale fu Armando Ricci che comunque lo associò ad una villa rustica la cui natura sarebbe indicata da una forma toponomastica che giudicava tipica. L'abbandono repentino delle operazioni di scavo provocò il rapido degrado delle strutture, a cui si accompagnò la crescita di una fitta vegetazione, responsabile a sua volta di un ulteriore danno. Solo nel 1925, un intervento della Soprintendenza di Firenze produsse un'accurata ripulitura dell'area archeologica, curata da Consalvo Dottarelli, che però non portò alcuna novità; solo Wenceslao Valentini, ispettore onorario di Orvieto, ne dette rapido resoconto in una lettera pubblicata a stampa e conservata presso l'archivio della Fondazione Faina26. Nel 1957, su iniziativa dell'Istituto Storico Artistico Orvietano e di Cesare Morelli, fu di nuovo eseguita una ricognizione nell'area di Pagliano, che dette origine all'unica articolata pubblicazione finora esistente del sito e ad una planimetria redatta da una équipe diretta dallo stesso Morelli.

All'inizio degli anni Sessanta del secolo scorso oltre a quella della diga di Corbara, la costruzione dell'Autostrada del Sole ha avuto grande impatto direttamente o indirettamente sul sito di Pagliano, con un cantiere allestito proprio sulla spianata fra i due fiumi, con tracce molto evidenti. La totale assenza di controllo e l'esigenza di una rapida conclusione dell'opera, nel momento del maggiore boom economico italiano, relegarono in secondo piano le necessità di tutela dei beni archeologici: chi ricorda gli avvenimenti dell'epoca, conferma l'uso di imponenti macchine di movimento terra che distrussero cortine murarie, ne ribaltarono altre, spianarono i dislivelli, pur di ottenere gli spazi necessari alla dislocazione del cantiere e degli alloggiamenti per le maestranze, con l'ovvia conseguenza della pesantissima alterazione della situazione, peraltro già deteriorata da decenni di abbandono. Dopo un'altra lunga fase di oblio, alla fine degli anni Novanta una fortunata serie di circostanze e soprattutto la disponibilità di risorse economiche permise di rimettere mano all'indagine archeologica a Pagliano.

Lo scavo ha preso avvio dalla zona limitrofa al Paglia, già indagata dal Mancini; contemporaneamente sono state individuate le tecniche migliori per il restauro, il consolidamento e la protezione delle strutture emergenti, molte delle quali erano fortemente compromesse sia dalla esposizione agli agenti atmosferici, sia soprattutto dall'azione dell'uomo e dalla lussureggiante vegetazione le cui radici avevano lesionato i muri. L'asportazione dello strato superficiale di terreno ha evidenziato i livelli dello scavo ottocentesco, che era stato condotto attraverso sterri consistenti giunti fino al di sotto dei pavimenti, rimossi pressoché completamente, ad eccezione di modeste porzioni a ridosso dei muri. Nelle zone così trattate i reperti, in quantità notevoli, sono stati recuperati senza che potessero definirsi stratigrafie affidabili.

Negli ambienti di questa zona è stato possibile riconoscere le fasi costruttive e le relazioni diacroniche: il nucleo principale della costruzione è delimitato da un lungo muro rivestito in opera reticolata di blocchetti di pietra lavica di colore grigio, che forma angolo con il grande muro verso nord; la tecnica costruttiva di tali manufatti è quella classica, con una cortina continua, interrotta agli angoli e nelle aperture delle porte da ricorsi di blocchetti disposti su filari orizzontali. Al di sotto dei pavimenti, formati da uno strato di cocciopesto dello spessore di circa 15 cm, inizia la struttura di fondazione, che è stato possibile riconoscere con alcuni saggi in profondità; questa è costituita da una gettata in opera cementizia realizzata contro terra e formata da blocchetti di medie e grandi dimensioni, legati da malta; il piede, di larghezza maggiore, è formato da uno strato di 20-30 cm di opera cementizia con pochi elementi lapidei interni, evidentemente gettata in forma più liquida; della fitta vegetazione che copriva i ruderi, rendendoli praticamente invisibili. A ciò ha fatto seguito un accordo, poi formalizzato, intercorso fra la Soprintendenza, la Azienda di Corbara proprietaria del fondo, la Comunità Montana Monte Peglia e Selva di Meana, il Comune di Orvieto, la Regione dell'Umbria, l'Ente Parco Fluviale del Tevere, con il concorso della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto, ciascuno dei quali ha contribuito per le parti di competenza alla redazione di un progetto di sistemazione, restauro, scavo e valorizzazione dell'importante sito archeologico. È stato così possibile raggiungere in tempi ragionevolmente brevi un primo importante risultato; a questi soggetti si è aggiunta la Scuola di Etruscologia e Archeologia dell'Italia antica, operante presso il Centro Studi Città di Orvieto, che in accordo e con la direzione scientifica della Soprintendenza ha aperto un proprio cantiere archeologico didattico nell'area di Pagliano.

Le operazioni sono state condotte con finanziamenti ordinari del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (anni 2000-2003) e con un finanziamento concesso dall'Assessorato all'Ambiente della Regione Umbria all'Ente Parco Tevere per opere di consolidamento, restauro e valorizzazione del sito; la direzione dei lavori è affidata alla Soprintendenza Archeologica per l'Umbria, nella persona di Paolo Bruschetti.

 

Dopo la terza campagna di scavo, i risultati sono nel complesso soddisfacenti, permettendo alcune osservazioni che appaiono convincenti. Intanto viene confermata la planimetria del complesso e ne viene messa in evidenza la consistenza; il recupero degli ambienti, delle strutture murarie e il loro restauro consentirà nel breve e medio periodo di mettere a disposizione un sito di notevole importanza; in secondo luogo vi sono numerosi elementi che possono confermare, in modo diretto e indiretto, che si è di fronte ad un impianto portuale di rilievo con annesse strutture per l'immagazzinamento e la trasformazione delle materie prime e con una serie di elementi architettonici di supporto e collaterali, come la possibile presenza di un luogo sacro.

La descrizione dei materiali rinvenuti durante gli scavi Mancini - noti nonostante la loro scomparsa - e il recupero di un'analoga tipologia di oggetti nel corso delle attuali ricerche confermano l'orizzonte cronologico già delineato e indicano alcune caratteristiche specifiche del sito. Le numerose macine (sia quelle notate da Mancini, che quelle tuttora presenti intere o in frammenti), sono per natura e tipologia specifiche dell'ambiente volsiniese (le molae versatiles rammentate da Plinio) e confermano un'intensa attività sia produttiva che molitoria. Il ritrovamento di molti pesi da telaio, in genere di tipo semplice e privi di bolli, testimonia la presenza di manifatture tessili, che non contrasta con l'attività di uno scalo fluviale. La quantità elevata di monete rinvenute anche nelle fasi attuali si concilia correttamente con l'attività commerciale e di gestione che si svolgeva nell'impianto. Il generico riferimento ad aes rude o monete di epoca repubblicana, fatto da Mancini nella sua elencazione dei rinvenimenti, trova ora una conferma - sia pure sporadica - nel recupero di un denario d'argento riferibile ad una zecca legionaria delle fasi immediatamente precedenti la battaglia di Azio44. Incerta è la provenienza da Pagliano di una statua femminile panneggiata acefala, rinvenuta casualmente secondo le notizie riportate dal Valentini45; si tratta di una figura ammantata, poggiante sulla gamba sinistra e con la destra leggermente flessa; indossa un chitone leggero manicato e cinto sotto il seno ed un ampio mantello che copre la schiena, passa davanti ripiegandosi e avvolgendosi attorno al braccio sinistro proteso. Il tipo, noto da un gran numero di esemplari con molteplici varianti, trova un'ampia diffusione soprattutto nel II sec. d.C.; le varie copie romane derivano da prototipi classicistici del tardo periodo ellenistico.

Ancora più significativo è il ritrovamento, documentato dal Gamurrini di una tegola con una iscrizione tracciata con il dito prima della cottura, contenente un'invocazione cristiana: si tratterebbe, qualora fosse ritenuta reale la provenienza da Pagliano, di una traccia importante della diffusione del cristianesimonel territorio orvietano e al contempo di una delle più tarde testimonianze della presenza umana nella zona in epoca antica.

Dal punto di vista edilizio, è molto limitata la presenza di bolli laterizi, alcuni dei quali rinvenuti dal Mancini, altri durante le ricognizioni del Dottarelli, altri infine rinvenuti in questi anni. Così come molto modesti sono i resti di intonaci dipinti (solo alcuni frammenti di colore rosso nella zona limitrofa

al lungo muro US 1 e nell'area settentrionale) e le tessere di mosaico, coerentemente con la natura essenzialmente utilitaria e non residenziale del sito, almeno come si può vedere dalle prime fasi di scavo. Alcuni blocchi in travertino e calcare, forse appartenenti a rivestimenti architettonici sono stati rintracciati, come poco sopra è stato accennato, attorno alla chiesa di Corbara e nel giardino di Villanova presso Orvieto; molti altri elementi architettonici sono visibili negli edifici circostanti la zona di Pagliano, reimpiegati nelle murature: per essi appare verosimile, anche se ovviamente incerta, la provenienza dalle strutture dell'impianto portuale.

In conclusione, si possono esprimere alcuni giudizi di carattere generale dall'analisi dei dati finora in nostro possesso. Tenendo presente l'essenziale funzione di arteria commerciale svolta dal Tevere, ne consegue la presenza di importanti installazioni portuali, in parte riconosciute dall'indagine archeologica, in parte ricordate solo dalla letteratura; fra quelle a monte di Roma, poste a distanze più o meno regolari, ve ne sono alcune che sorgevano proprio a ridosso della confluenza fra corsi d'acqua, o presso ponti o traghetti, oppure allo sbocco di vie di comunicazione terrestri50; anche a Pagliano si verificano tutte queste circostanze: oltre alla confluenza con il Paglia, nella zona usciva una serie di vie terrestri che collegavano sia con l'Alfina e la zona del lago di Bolsena (attraverso Castellonchio, dalla cui altura era peraltro agevole il controllo dell'impianto), sia con l'entroterra umbro-italico (Todi e la zona di Montecchio), mentre il Paglia con il suo principale tributario, il Clanis attraversavano il territorio di Chiusi e la Valdichiana; di un ponte esiste traccia nella documentazione archeologica più antica51, per quanto riguarda il Paglia, mentre è anche possibile osservarne un'esile indicazione in una foto aerea del 1944 sul Tevere a monte della confluenza.

La tecnica costruttiva impiegata nella generalità a Pagliano è tipica della prima fase imperiale; a questo momento deve assegnarsi pertanto la costruzione (o il totale rifacimento) dell'installazione, momento che non contrasta con molti dei materiali archeologici rinvenuti; nelle epoche successive - come d'altro canto è comprensibile per una struttura che ha avuto una lunga durata d'uso - si sono realizzate ristrutturazioni, ampliamenti o trasformazioni di varie parti, certamente per adattarla alle sempre nuove e diverse esigenze dell'uso.

La fine della frequentazione del sito, che coincide con il presumibile inizio della spoliazione, può essere ragionevolmente collegata con l'afflusso nella zona dei Visigoti di Alarico, all'inizio del V sec. d.C., che stavano dirigendosi verso Roma, che fu assediata e conquistata nel 410. Non vi sono infatti tracce archeologiche successive, mentre la presenza di monete tarde e di ceramica sigillata chiara porta fino a questa cronologia.

Allo stato attuale della ricerca non vi sono tracce correttamente interpretabili della preesistenza di un impianto portuale preromano o anche repubblicano; troppo esile è la traccia di pochi frammenti di ceramica a vernice nera probabilmente di produzione tuderte, o il ritrovamento di una moneta dell'epoca di Marco Antonio. Tale circostanza lascia perplessi, soprattutto in considerazione dell'importanza che Orvieto-Velzna rivestiva almeno fino alla distruzione del 264 a.C. L'organizzazione del territorio, la presenza del santuario federale, l'esistenza di un ceto che traeva il proprio benessere dalle attività mercantili oltre che dalla produzione, rende plausibile lo sviluppo di imprese commerciali attraverso la comoda via fluviale, oltre che per le già note strade ordinarie; tutto questo in particolare tenendo presente il grandioso sviluppo in concomitanza con il periodo di Porsenna. Si potrebbe a tal proposito solo supporre - in mancanza di qualsiasi elemento archeologico

che lo possa confermare - che non è questo di Pagliano il sito in cui era stato insediato il porto più antico, oppure che esso avesse carattere di maggiore provvisorietà, restando del tutto annullato dalla costruzione della struttura imperiale. Resta comunque il fatto fondamentale, dell'importanza che ha avuto Orvieto in età romana, elemento questo che specialmente negli ultimi anni sta riscuotendo sempre maggiore rilievo, grazie alle ricerche in corso; Pagliano quindi, accanto alla viabilità al piede della rupe, alla serie di insediamenti rustici e produttivi e alle strutture che si vanno scoprendo entro il perimetro urbano e nelle immediate adiacenze (ad esempio le strutture di Cannicella), si pone come elemento significativo della ripresa della città dopo le drammatiche vicende del III sec. a.C.

Pubblicato il: 06/05/2009

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