Orvieto città ingrata
di Dante Freddi Da Pietro Parenzo al Faraone. Già dal congresso DS che lo epurò, è iniziata una campagna denigratoria che è continuata per anni, con la precisa volontà di annullare vent'anni di storia di tanti, che hanno fatto e anche sbagliato
di Dante Freddi
Il fantasma del Faraone non ha lasciato libere le stanze comunali e in questa campagna elettorale qualche mestatore lo evoca ora vicino a Còncina ora alla Stella, come se i due fossero anime fragili influenzabili dal spirito vagante e irrequieto del personaggio. Le voci si susseguono e si arricchiscono di particolari e di "verità" su rapporti strani tra il Faraone e i due candidati, che Lui avrebbe "emanato" per tenere le mani strette sulla città.
Dietro, c'è sempre Lui, raccontato senza stima, con arroganza, con ingratitudine.
Ogni volta che si parlava di bilancio del Comune, in qualsiasi consesso e da chiunque negli ultimi cinque anni, la responsabilità era affibbiata a Lui, senza mai nominarlo. A loro e le soluzioni faticose, difficili e incerte. A loro disgraziati e innocenti eredi del fallimento, della vita esagerata e sperperona della città, vissuta per anni al di sopra delle sue possibilità, "sparametrata", direbbe Conticelli.
Mai qualcuno che si fosse ricordato di esserci, negli ultimi vent'anni, e di aver costituito la corte scodazzante che offriva sostanza e alimento all'immagine del monarca.
Sì, Mocio ha sempre dichiarato onestamente che come sindaco si assumeva la responsabilità di tutto il passato, ma con il tono di chi dice anche "ma sia chiaro che io non sapevo nulla e non ho visto nulla, sono un'anima bella e per questo mi prendo le colpe". E come lui tanti che "c'erano".
La massa degli orbi vicino al Faraone improvvisamente è stata illuminata, ha visto, ora sa.
Politici e cittadini rinnegano quel periodo buio, in cui sono nati tutti i nostri guai, la democrazia è stata mortificata, la città straziata, il portafoglio svuotato.
Tutte stupidaggini, racconti e dietrologie e storie esagerate.
Chi c'era in quegli anni sapeva che la speranza di una città che volava alto costava e che le soluzioni per rimediare quattrini potevano essere rischiose e alla lunga insufficienti.
Ma la sua anticamera era sempre affollata, l'agenda fittissima di questuanti, gli inchini toccavano terra.
Dal che il Farone.
Io non c'ero, anzi, ero da altra parte. E posso permettermi di dire per questo che la nostra è una città ingrata.
Già dal congresso DS che lo epurò è iniziata una campagna denigratoria che è continuata per anni, con la precisa volontà di annullare vent'anni di storia di tanti, che hanno fatto e sbagliato.
Orvieto è la città che ha ucciso a martellate in testa il suo santo Pietro Parenzo, protettore degli amministratori, voluto e rinnegato e tradito.
Nessun parallelo con il Faraone,ovviamente, l'unica comunanza tra i due l'ingratitudine degli amministrati e il flebile rispetto per chi li amministra. Soprattutto se decaduti.
Pubblicato il: 05/05/2009