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Il documento integrale su cui Carlo Emanuele Trappolino è stato riconfermato a capo del PD

Di seguito il documento approvato dal coordinamento comunale di Orvieto del PD e su cui è stato riconfermato coordinatore Carlo Emanuele Trappolino. Le modalità per scegliere le alleanze, il programma, i candidati.

Torniamo a ragionare dentro il Coordinamento Comunale per assumere politicamente risultato delle primarie di domenica 5 aprile e, soprattutto, per avviare un percorso politico  che dovrà condurci a vincere le elezioni amministrative del 7 e dell'8 giugno: perché quello è il nostro obiettivo e non quello di stabilizzare il clima antagonistico della contesa tra i candidati sindaco.

Il difficile comincia ora: dalla fatica del costruire, del ricomporre i tasselli, dal mettere ordine in quelle tante energie pur feconde che siamo riusciti a smuovere.

Questo è, più che mai, il tempo della responsabilità. Abbiamo smosso un'intera città e ora la città si interroga e ci interroga su ciò che sarà e ciò che saremo. È ragionevole  conservare il linguaggio della divisione o forse è meglio, mi chiedo, intraprendere senza indugi la via della politica, la strada che porta alla coesione, all'unità del progetto?

Come avevo preannunciato, rimetto a questa Assemblea il mio mandato da coordinatore comunale del Partito Democratico. Lo faccio non perché abbia individuato in me una qualche colpa inemendabile. Il motivo è altro e ha a che fare con il recupero della ragione politica e perché vorrei che questo gesto segnasse, simbolicamente, un passaggio di fase. Nel rimettere all'assemblea il mio mandato voglio mettere tutto il partito nelle condizioni di ripartire. E voglio provare, nuovamente, io stesso ad interpretare e farmi carico di questa ri-partenza, che deve avvenire sotto il segno della ragione e della politica. Sapendo però di dover fare riferimento costante al consenso di questo coordinamento.

Proviamo allora a riflettere su quello che è accaduto domenica 5 aprile.

 

6186. E' questo il numero degli elettori delle primarie. Un numero impressionante. Anzitutto un ringraziamento a quel centinaio di volontari che hanno assicurato lo svolgimento delle primarie. Un grazie al comitato e all'organizzazione che, pur nella tensione e nella difficoltà, hanno saputo svolgere i loro compiti con passione e generosità. Siamo un grande partito e questa sana passione democratica è un valore per l'Italia e per Orvieto. Dobbiamo di questo esserne orgogliosi.

Abbiamo portato a votare, alle nostre primarie, il 30% dell'intera popolazione orvietana, quella che va da 0 a cento anni. A Marsciano, un comune di quasi 18mila abitanti con una tradizione di forte partecipazione politica, alle primarie di febbraio presero parte il 18,42% di tutti i residenti. 

Non condivido quanti hanno scritto che le nostre primarie siano state una "brutta pagina di storia della nostra città". 

Può darsi che l'emotività abbia mosso in malo modo la penna di chi scriveva. Ma noi siamo chiamati non all'esercizio delle emozioni bensì, sin dove è possibile, della ragione e dell'analisi, e ritengo politicamente che quel giudizio sia sbagliato. Sbagliato anche nel congetturare quantità che avrebbero deformato i risultati mentre, alla conta reale, risultano affatto modeste. Sto facendo riferimento al numero degli stranieri (circa 200 persone) e dei giovani da 16 a 18 anni (una cinquantina) recatisi al voto.

 

Bisogna allora saper leggere le primarie in maniera differente ed evitare quella curiosa sindrome, tipicamente sudamericana, per cui se il partito al potere perde o teme di perdere le elezioni allora si eliminano le elezioni. Queste primarie sono le nostre primarie perché le abbiamo volute noi con trasparenza, perché sono scritte  - permettetemi di dirlo -  "a fuoco"  nelle carte costitutive del Partito Democratico. Sicuramente è uno strumento che deve essere rivisitato, probabilmente organizzato secondo un'idea di partito più solida. Ma eventuali modifiche o emendamenti saranno decise al congresso di ottobre. Là potremmo cimentarci con più pacatezza.

 

Abbiamo fatto le primarie perché sono nelle nostre regole. E, per quel che mi risulta, non c'è stato alcun documento politico pubblico a sostegno di ipotesi diverse. Vero è che alcuni, rispetto alla  consultazione, hanno espresso la loro contrarietà. È  una posizione politica soggettiva, non condivisibile e che è stata sonoramente smentita dai fatti. Ma avere idee diverse non può essere un marchio d'infamia. Dobbiamo saper convivere con il conflitto - e su questo dovrò ritornarci - e con posizioni differenti.

 

Torniamo a ragionare, allora.

 

In democrazia, si dice, la quantità è qualità. Alle primarie del 14 ottobre 2007 parteciparono al voto 2550 persone. Lo considerammo allora, un formidabile successo. 

Oggi ci troviamo con oltre 6mila votanti. Praticamente, si è mossa un'intera città. Da comprendere è il senso di questo "movimento", il "moto di popolo" che siamo riusciti a sollecitare. E questo oltre il risultato, oltre la dimensione antagonistica che qualcuno vorrebbe rendere permanente. In questo "moto di popolo" noi abbiamo ridestato - non so con quanta consapevolezza - la sorgente del politico che è la dimensione dell'antagonismo che si ritiene costitutiva delle società umane . Per muovere al voto 6mila persone devi mobilitare la dimensione affettiva, devi scuotere le passioni. Quelle 6mila persone sono, politicamente, un "popolo". Perché è la politica che contribuisce alla costituzione di un "popolo", è la politica che mette in forma la società.

 

Ora dobbiamo saper gestire politicamente questa nuova realtà, questo inedito scenario.  Lo dobbiamo fare con un pensiero e un'analisi all'altezza del momento, senza con questo voler dissimulare il risultato della consultazione.

 

Dobbiamo anzitutto evitare le semplificazioni di quanti ancora rappresentano queste primarie  con il linguaggio bellicista. Non sto suggerendo una "facile riconciliazione" che rimette tutti a posto e riporta la pace. Non è questo il punto. Il punto vero è che noi con queste primarie abbiamo determinato una realtà che è andata ben oltre le nostre aspettative e le nostre previsioni. Quando ho detto che le primarie hanno riaperto le sorgenti del politico, vale a dire del momento antagonistico costitutivo della società, ho posto un problema che ci impone una riflessione. Perché il "politico", questa dimensione antagonistica, non può sussistere così com'è, ma va governato attraverso pratiche che ristabiliscono l'ordine e le coesistenze. Questo si chiama politica. E noi dobbiamo fare la politica, trasformare cioè l'antagonismo in agonismo e cogliere in questo l'occasione per muoverci verso il meglio, mettendo in competizione le idee e le proposte. E vincere il centrodestra.

 

Dicendo questo voglio suggerirvi un pensiero che si pone ben oltre le primarie e quindi la competizione. Ben oltre i rancori. Ma se vogliamo parlare il linguaggio della politica, non possiamo attardarci a organizzare le truppe per la guerriglia. Bisogna procedere oltre valorizzando però le energie che abbiamo saputo smuovere.

 

Presi come siamo a proseguire nelle schermaglie post-primarie, ignoriamo il fatto di esser diventati, almeno sotto il profilo politico,  il "l'anima della città", il partito a cui gli orvietani hanno riconosciuto, partecipando in massa alle primarie, un "primato" politico e culturale.  Non mi pare poca cosa. Su questo fatto noi dovremmo concentrare il nostro pensiero e la nostra creatività politica. Sì, ho utilizzato consapevolmente il termine "creatività" perché dinanzi ad uno scenario inedito servono soluzioni politiche non presenti nella cassetta degli attrezzi che conosciamo: serve rigore e saggezza. L'essere diventati il "partito-città" vuol dire una cosa semplice: che a vincere le primarie è stato il Partito Democratico di Orvieto insieme ai suoi candidati.

 

C'è ora un problema: come dare a questo risultato, a questo essere "partito-città" la consistenza per reggere nel tempo? Come far coesistere la "liquidità" della mobilitazione delle primarie con lo stato solido di forme politiche seppur inedite e da inventare? Questa è la sfida politica vera, questo è il terreno sul quale dovremo misurarci come classe dirigente. Tutta.

Tutta perché non c'è, oggi, n'è c'è mai stato, un Partito Democratico dei buoni e un Partito Democratico dei cattivi. Queste rappresentazioni dicotomiche, manichee non ci tornano affatto utili perché parlano una lingua unilaterale mentre noi abbiamo bisogno del linguaggio della reciprocità pur sapendo che ci possono e ci potranno essere posizioni differenziate. Ma se non vogliamo rievocare lo spettro di un centralismo poco democratico, non possiamo nascondere il conflitto - che è salutare.

Non c'è quindi un Partito Democratico dei buoni e dei cattivi. Così come non mi pare foriero di futuro il voler conservare, a tutti i costi, lo spirito antagonistico delle primarie perché così conserviamo anche noi stessi mentre stiliamo liste di prescrizione oppure compiliamo elenchi risarcitori . Non è in questo modo che rispondiamo alla sfida che è essenzialmente politica.

 

Ecco. Abbiamo voluto fare le primarie secondo le regole scritte negli statuti e nei regolamenti per chiedere ai nostri elettori di indicare il candidato sindaco. A correre, due autorevoli esponenti del Partito Democratico: il Sindaco di Orvieto Stefano Mocio e la Vicepresidente della Provincia Loriana Stella. Abbiamo voluto noi queste primarie perché scritte nelle nostre carte costitutive. Insisto su questo punto perché dobbiamo sentircele nostre, al di là di un risultato che ha prodotto contenti e scontenti (vincitori e vinti). Il Partito Democratico di Orvieto ha individuato un percorso che è stato condotto fino alla fine in maniera trasparente e coerente; e che prevedeva (secondo le regole) le primarie qualora fossero emersi altri candidati oltre al sindaco uscente. Ciò è accaduto e le primarie sono state fatte e lo stesso sindaco in carica non si è affatto sottratto dal confronto. Di questo bisogna rendergliene atto.

Guardiamoci però bene dal considerare esse come una cosa di una sola parte giacché sono patrimonio di tutto il Partito Democratico che è oggi anche fatto da quei 6186 elettori. Si dice che al voto hanno partecipato un pezzo di destra e un pezzo di sinistra,  suggerendo così una sorta di contraffazione.   La questione vera non è quella di contare i voti di destra o sinistra per Mocio o per Stella ma chiedersi: siamo in grado di dare una forma stabile a questo "moto di popolo", alla richiesta di "politica" che è venuta con prepotenza affermandosi con queste primarie?

Lasciata alla casualità, alla peristalsi dell'emozioni, la partecipazione può degenerare nel populismo e della demagogia. Situazioni di reviviscenza non radicate, pure manifestazioni di effimera emotività, non promettono nulla di buono. I cittadini, mobilitati ed eccitati sono chiamati ad agire come eserciti schierati su fronti opposti che combattono per sopraffarsi, al seguito di parole d'ordine e contrapposizioni elementari e spesso totalmente vuote: vecchio-nuovo, bene-male, amore-odio, verità-errore, cose che - come dice Gustavo Zagrebelsky - "imbroglioni della politica spacciano come la rivincita dei valori sul relativismo della democrazia".

 

Siamo all'altezza di questo compito?  Oppure tutto questo è servito per muovere, gattopardescamente, pedine senza cambiare nulla? La città non ci perdonerebbe questo affronto. Le primarie segnano, oltre le previsioni di chiunque, un mutamento di paradigma che dobbiamo saper cogliere in profondità.

 

Mi chiedo: ma dobbiamo per forza dilaniarci le carni se siamo lo stesso partito che, pur al governo della città, ha saputo organizzare forum civici ai quali hanno contribuito decine e decine di persone? Ma per forza ci dev'essere un rapporto di mutua esclusione tra differenti modalità di fare politica? Certamente, dobbiamo essere capaci di gestire la conflittualità, che è del politico, dentro nuove forme della politica. Cioè di impedire che energie politicamente importanti vengano dissipate in una contesa tra persone della quale non si comprendono bene le ragioni e gli obiettivi. Sicuramente, dobbiamo evitare di schierare un pezzo di partito contro un altro pezzo di partito con il risultato di moltiplicare i pezzi irrimediabilmente compromessi.

 

Dai nostri errori dobbiamo trarre conoscenze preziose. E di errori ne abbiamo fatti. Uno in particolare: quello di non aver saputo far emergere un antagonismo che avrebbe potuto intossicare tutto il partito.

Però dobbiamo essere capaci di distinguere le cose e riconoscere che parte della responsabilità è da attribuire agli strumenti di confronto politico del tutto inadeguati, la cui insufficienza non può essere imputata a questa classe dirigente. Torna il problema delle "forme di rappresentanza della pluralità" che, in un partito come il nostro, risultano essere centrali. La risposta politica che sapremmo dare alle dinamiche innescate dalle primarie dovrà rappresentare un punto più avanzato. Ma se noi vogliamo fare un partito pluralista, non dogmatico, aperto alla società, non è pensabile proseguire con questo tipo di organizzazione. C'è, infatti, una disarticolazione tra il momento della partecipazione e il momento della decisione. Bisogna riallinearli e bisogna pure immaginare una classe dirigente capace di gestire i conflitti e le contraddizioni.

 

Spero di aver sottolineato con la giusta evidenza il compito che ci attende e che, insisto, non può trovare adeguato svolgimento né conservando lo spirito antagonistico della contesa elettorale né recuperando il vecchio armamentario dei pesi, contrappesi e bilancini. Non funziona e non sono disposto ad accompagnare questo percorso che sarebbe fallimentare.

 

Perché insisto sulla questione delle "forme della rappresentazione politica del dissenso, della pluralità e del conflitto"? Perché è lì che dobbiamo misurare la nostra capacità di trovare nuove soluzioni e quindi di superare l'antagonismo.  Non abbiamo bisogno di fare una finta pace ma una vera politica: misurare le idee in uno spazio realmente pubblico. Battaglia delle idee, anche veemente, ma tra idee non certame di truppe in nome del re o della regina. A noi serve il conflitto ma schierando idee chiare e distinte sul futuro della città, del territorio, del Partito Democratico. E non c'è nulla di anomalo nel considerare il Partito Democratico anche come spazio di contesa tra visioni differenti e tuttavia riconducibili ad una visione generale di società.

 

Vediamo allora come possiamo dare esistenza a queste "forme" necessarie di una politica nuova tenendo conto di un nostro originale percorso che, seppur tra le difficoltà del nuovo inizio, ha avuto il merito non solo di aver anticipato temi oggi di potente attualità ma di aver coerentemente sostenuto le primarie come strumento chiamato a dirimere la scelta del candidato. Infatti, è bene ricordarlo, con le primarie noi abbiamo scelto il candidato sindaco del Partito Democratico.

Abbiamo, è vero, in questi mesi discusso molto, talora dividendoci. Però sulle questioni di indirizzo e giudizio politico abbiamo registrato sempre una condivisione unanime.  Abbiamo votato all'unanimità il giudizio positivo e equilibrato sull'operato dell'amministrazione comunale e abbiamo votato la relazione del 27 marzo contenente il "patto" tra i candidati. Ripartire da quei documenti perché lì abbiamo stabilito un punto forte di coesione senza il quale oggi non saremmo qui a discutere tutti insieme. Quei voti unanimi non ci hanno impedito di mettere a confronto i due candidati e, ciononostante, si ergono a garanzia di una comune responsabilità. Dobbiamo quindi rispondere del nostro comportamento non ad una parte ma alle persone che credono nella missione civilizzatrice, culturale e morale del Partito Democratico. Non ad una parte ma a tutti gli elettori del PD, ai tanti volontari e militanti che partecipano e contribuiscono alle nostre iniziative.

Ripartiamo quindi dal positivo lavoro di questa amministrazione, consapevoli delle difficoltà con le quali si è dovuta confrontare. È però necessario, oggi, un cambiamento e non per via delle primarie, il che sarebbe davvero risibile. Il cambiamento è urgente per via del nuovo scenario economico nazionale e mondiale e perché si sta affermando una cultura del vivere e del produrre destinata a mutare in profondità ciò che siamo e ciò che pensiamo. Spetta a noi decidere di subirla, questa cultura, oppure di coglierne le opportunità.  Ripartiamo dal positivo lavoro svolto dall'Amministrazione guidata da Stefano Mocio anche perché abbiamo finalmente posto le condizioni per affrontare la partita della "stabilizzazione" del bilancio cominciando da una fondamentale opera di risanamento.

Questa esperienza amministrativa ha forgiato una classe dirigente che non ha mai scantonato dalle responsabilità né dall'impegno. Dobbiamo quindi saper riconoscere a questi nostri amici e compagni il giusto apprezzamento e una leale riconoscenza, sapendo dare giusta visibilità a quelle esperienze che, in giunta e in consiglio, hanno saputo avviare percorsi di reale innovazione. 

Per quel che mi riguarda, non ho fatto mai mancare il mio sostegno a questa amministrazione, ottemperando, con ciò, al mio dovere di dirigente politico e di amministratore. Ho seguito le regole del Partito Democratico perché questo era mio dovere. Le regole votate dai nostri rappresentanti che abbiamo democraticamente eletto.

 

La sfida elettorale di giugno sarà particolarmente impegnativa. Oltre all'appuntamento amministrativo - sul quale ritornerò - è bene predisporre il partito ad un lavoro formidabile per quel che concerne le europee. Mai come in questa fase queste elezioni assumono un significato politico. Dal loro esito, il centrodestra trarrà indicazioni importanti per accelerare o meno quel progetto di cui discorrevamo la volta scorsa, teso ad affermare un'egemonia culturale e politica che spingerà l'Italia indietro nel tempo. Noi dobbiamo dare un segnale diverso e dobbiamo dire che esiste un Paese non disponibile all'ammaestramento. Non dobbiamo sottovalutare questo appuntamento elettorale chiudendoci in una prospettiva tutta localistica. Sarebbe letale.

La sfida è enorme e ne va dello stesso Partito Democratico. Ci sono segnali incoraggianti che dobbiamo sapere cogliere e sarebbe del tutto inopportuno, specie di questi tempi, offrire una rappresentazione rissosa del nostro partito.

Quest'anno la sfida con il centrodestra avviene su un registro diverso dalle altre volte. Anzitutto per la qualità del candidato che, ripeto, non parte sconfitto e sta lanciando messaggi verso un elettorato che non è tradizionalmente di centrodestra.  Inoltre, fa leva sul tema delle competenze rispetto al quale non possiamo sottrarci. Anzi, dobbiamo essere noi a rilanciarlo, siglando un patto tra generazioni per cui l'ampliamento delle opportunità dei più giovani è garanzia del benessere degli anziani. L'idea è quella di una città unita sotto il segno di un Partito, il nostro, che non lascia indietro nessuno.

 

Vengo ora alla parte che intendo mettere in votazione e che costituisce il documento politico attraverso il quale intendo portare, con il vostro consenso, il partito sino alle elezioni del 7 e dell'8 giugno. Ovviamente per vincerle.

 

 

Ripongo il mio mandato a questa assemblea su un percorso coerente con quanto stabilito dai documenti approvati all'unanimità e dal "patto" sottoscritto tra i candidati.

Per predisporre il Partito Democratico ad affrontare la campagna elettorale nel migliore dei modi, è mia intenzione procedere ad una veloce consultazione di tutti i membri - per quel che è possibile - del coordinamento comunale per comporre una segreteria rappresentativa del pluralismo interno. Con l'obiettivo di avere un partito unito, autorevole e forte, capace di governare il Partito Democratico in una fase che si annuncia difficile, anche in previsione di uno scontro elettorale che chiamerà tutti ad uno sforzo supplementare. Attorno alla capacità politica e progettuale del Partito Democratico deve ricomporsi l'interesse generale della città e l'unità di tutto il centrosinistra.

 

Tre quindi i temi che segnalo all'attenzione dell'Assemblea

Il programma, le alleanze e il profilo dei candidati.

 

Per quel che concerne il programma il Partito Democratico, in vista del confronto con la coalizione di centrosinistra, porterà a sintesi il lavoro già intrapreso dall'amministrazione comunale con i punti fondamentali  esplicitati in occasione della conferenza programmatica di novembre e integrati dai contributi del candidato sindaco. In particolare, saranno fondamentali i temi dello sviluppo locale sostenibile e dei beni comuni; del centro storico e dell'ambiente come assi strategici della crescita; della cultura come elemento di competitività della città, dei giovani e dell'identità di territorio; delle nuove forme di democrazia e partecipazione pubblica; del welfare municipale; della qualità della vita connessa a servizi innovativi capaci di promuovere libertà e uguaglianza; della comunicazione. Un programma che fa riferimento sia ai documenti fondamentali della programmazione regionale (Disegno Strategico Regionale) sia provinciale sia al nuovo posizionamento di Orvieto in seguito alla realizzazione di importanti infrastrutture viarie.

Il programma, infine, dovrà affrontare il tema degli strumenti attraverso i quali restituire ad Orvieto una centralità e un protagonismo territoriale e di comprensorio, fattori questi essenziali al fine di governare con politiche coerenti il territorio di area vasta.

Relativamente alle questioni delle alleanze si ribadisce la volontà di proseguire nel confronto con tutte le forze politiche del centrosinistra in accordo con i documenti d'intesa regionali e provinciali. A partire dall'attuale maggioranza che regge il Comune di Orvieto, il Partito Democratico intende quindi ampliare la coalizione al fine di dare adeguata rappresentanza alle differenti sensibilità politiche presenti in città sulla base di una chiara condivisione programmatica.

Infine, sul profilo dei candidati, è opportuno proseguire nella valorizzazione delle risorse e delle risorse che in questi anni sono cresciute. Segnatamente, sarà nostro obiettivo quello di individuare e valorizzare i criteri dell'innovazione, della competenza e della trasparenza.

 

Sulla base di queste sommarie linee, che sarà mia cura esplicitare nel prossimo incontro, chiedo al coordinamento comunale di rinnovarmi la fiducia per restituire al partito una direzione unitaria da sottoporre, al voto dell'assemblea che convochiamo per venerdì 17 aprile, presso questa stessa sede, alle ore 21.00.

 

Noi dobbiamo vincere le elezioni comunali di giugno e guadagnare consensi importanti alle provinciali e alle europee. Naturalmente lo dobbiamo fare tutti insieme con la stessa passione che abbiamo saputo dimostrare nelle altre occasioni dove abbiamo affermato i nostri valori. Chiedo a tutti un impegno supplementare perché nello sforzo congiunto, nell'allegria delle passioni politiche possiamo trovare meglio quello che ci unisce in un vincolo di speranza e di utopia. E chiedo a te, infine, Loriana, di dedicarti con la generosità che ti è propria a far vincere questo partito e a dare forza, energia e  passione ai tanti volontari, militanti ed elettori; alle donne e agli uomini che fanno grande questa nostra comunità. Perché se la democrazia fa bella la città, la nostra vittoria dovrà farla anche felice

Pubblicato il: 17/04/2009

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