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Se una sera qualsiasi un pendolare

La storia normale di uno del migliaio di pendolari che ogni giorno da Orvieto e dall'Orvietano viaggia in treno. Un problema sociale, non ci stanchiamo di ribadirlo, che coinvolge "il pendolare" e tutta la sua rete di rapporti

di Federica Martellini

Roma Termini, 10 marzo 2009, 5 e tre quarti del pomeriggio.

Per il treno intercity 594 da Roma Termini a Firenze Campo di Marte il tabellone segnala 15 minuti di ritardo, o meglio: orario previsto 17.55, orario effettivo 18.10. È questa la dicitura che Trenitalia preferisce adottare. Sul binario 5, quello segnalato dal tabellone, il treno non c'è ancora, al contrario il monitor ne segnala un altro appena partito per Trieste. I pendolari che abitualmente prendono quel treno, che hanno cominciato a radunarsi sulla banchina, allargano le braccia e si scambiano sorrisi rassegnati, i soliti disservizi. Dopo un po' il treno arriva. Tutti in carrozza. Si fanno le 18.10. Poi le 18.20. Il treno non parte. Chi comincia a guardare nervosamente l'orologio, chi già si prefigura un ritorno a casa lento e penoso, chi comincia a imprecare contro il Frecciarossa delle 18.22 parcheggiato sul binario accanto, perché chi viaggia su questa linea tutti i giorni sa bene che l'alta velocità ha la precedenza e gli altri treni devono aspettare, chi se la prende col capotreno che da parte sua non ha ancora fatto nessun annuncio e si limita a dire: «Io sono pronto». (Poi si vedrà che in effetti non lo era affatto o almeno non lo era il suo treno). Alle 18.22 parte il Frecciarossa. Alle 18.25 il capotreno del 594 annuncia che il treno partirà fra pochi minuti. Alle 18.30 il treno si muove lentamente dalla stazione, si ferma dopo pochi metri, soffia, sbuffa, alcune delle porte emettono strani rumori (forse hanno dei problemi), riparte. Qualche centinaio di metri e di nuovo si ferma. Riparte e arriva a Roma Tiburtina. Lì si arresta e si spegne, salta anche il riscaldamento, tutto tace e i più avvezzi cominciano a temere il peggio: inizia un altro dei tanti viaggi, ormai sin troppo consueti, nell'ordinaria follia di Trenitalia.

Dopo un po' un annuncio: «il treno è fermo nella stazione di Roma Tiburtina a causa di un guasto al locomotore». Nessun altra spiegazione, né tanto meno previsione dei tempi d'attesa.

C'è chi hai i figli piccoli che aspettano soli a casa, chi ha un appuntamento importante, chi una visita medica prenotata da mesi, chi voleva solo andare in piscina, chi deve fare la cena, chi semplicemente avrebbe voluto tornare a casa in orario dopo una giornata di lavoro e comincia a contare le ore di tempo che questa settimana, in soli due giorni, i disservizi di Trenitalia gli hanno sottratto: sono già 2 ore e mezza. Partono le telefonate per avvisare casa, figli, mariti e mogli, fidanzati, amici e parenti che: «niente, per stasera è tutto annullato, ci risiamo, il treno si è rotto». Poi qualcuno comincia a imprecare, ci si alza, si tenta di capire. Un gruppo di pendolari parte alla ricerca del capotreno che nel frattempo non ha fatto nessun altro annuncio. Intanto ci si rende conto che le porte sono state sbloccate e nonostante il treno si trovi su un binario di transito (senza marciapiedi ne da un lato ne dall'altro) qualcuno apre le porte e in molti scendono, attraversano i binari e guadagnano la banchina più vicina dove sta per arrivare il regionale per Firenze che potrebbe essere a questo punto l'ultimo treno in grado di portarli a casa questa sera.

Nel frattempo tornano indietro quelli che erano andati a cercare il capotreno: niente da fare il treno è guasto e non riparte. Tutti i passeggeri rimasti a bordo si armano di borse e cappotti e si incamminano per chiedere  tutti insieme spiegazioni al capotreno e capire cosa fare, per chiedere che sia lui a farli scendere e attraversare i binari. Il capotreno è completamente assorbito da una serie di telefonate e ha perso completamente il controllo del treno: non riesce a far capire alla sala operativa (o quelli non riescono a capire) che il treno è fermo su binari senza banchina e che la maggior parte dei passeggeri sono scesi. Niente: quelli continuano a ripetergli di non far scendere la gente! Riesce ad ottenere almeno il blocco della circolazione sui binari limitrofi. I pendolari chiedono che venga almeno fatto fermare a Tiburtina l'Euronight delle 19.10, che si possa scendere da questo treno guasto e prenderne un altro. «La deve smettere di gridare o chiamo il 113». «No, il 113 lo chiamo io, ci avete sequestrato!» Niente l'incomprensione è totale, su tutti i fronti.

A bordo treno in tutto questo frangente nessun altro annuncio, a chi lo chiede il capotreno, che sembra essere l'unico ferroviere a bordo, risponde che le priorità sono altre: deve parlare con la sala operativa (cosa che, come dargli torto, non pare essere un compito facile!). Un annuncio intanto lo danno in stazione: «il treno 594 ripartirà con ulteriori (!) 20 minuti di ritardo». Hanno cambiato il locomotore e forse, chissà, se tutto va bene, ripartirà.

Alcuni di quelli che erano scesi riattraversano i binari e risalgono sul treno, si fidano dell'annuncio.

Gli scettici invece corrono in massa verso il regionale.

Il capotreno a questo punto annuncia: «il treno ripartirà fra pochi minuti. Si prega di non scendere dal treno (!)». Intorno alle 19.40 il treno riparte. I pochi superstiti del 594 incrociano le dita, sperando che il nuovo locomotore funzioni meglio del vecchio e che almeno il treno non venga mandato sulla linea lenta. A Settebagni un sospiro di sollievo il treno è in Direttissima, fra tre quarti d'ora forse si arriva a Orvieto, fra poco più di un'ora a Chiusi. Ma non è finita qui: il treno a Orte esce e transita in stazione, nonostante non sia prevista la fermata, poi passa sulla lenta. In direttissima si vedono passare le luci dell'ennesimo Frecciarossa: questione di precedenze.

Il 594 arriva a Orvieto con quasi 2 ore di ritardo. Il monitor in stazione segnala che anche il regionale nel frattempo ha guadagnato 25 minuti di ritardo, forse a causa del blocco della circolazione a Tiburtina. Un signore aspetta la figlia che torna dall'università: «Sempre peggio eh?». Un ragazzo dice che oggi l'intercity precedente era "puntuale": «solo un quarto d'ora», ma che la settimana scorsa anche quello ha fatto 2 ore e mezza perché si era rotto il pantografo.

 Un viaggio pulito e puntuale ad alta velocità non ha prezzo, per tutto il resto ci sono gli altri treni di Ferrovie dello stato.

 

 

 

Pubblicato il: 11/03/2009

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