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NOTIZIE CORSIVI

Corrispondenza dal Brasile. Vivere sulle palafitte

di Giorgio Santelli. Mercoledì 18 febbario

di Giorgio Santelli

Un lettore di Orvietosì, che non so perché mantiene l'anonimato, ha  scritto: se tutti quelli che fanno un viaggio scrivessero quello che  vedono?. Forse loro hanno in mente altro?. Bene, sì. Voglio prenderla 
in positivo la critica, se una critica è. Ricominciamo oggi la corrispondenza perché per due giorni non potevamo collegarci a  internet. Non è questo uno strumento che si trova proprio ovunque. Tra  le cose che abbiamo visto e filmato, siamo andati con l'Avsi in un  luogo che in Italia non potremmo mai immaginare. In una piccola baia a  sud di Salvador Bahia, fino al 1994 16mila persone vivevano nell'unico  luogo possibile per loro: sul mare, in improvvisate palafitte. Bastoni  piantati nell' acqua su cui poi venivano costruite misere case, che  qualche volta vento e pioggia portavano via. Sotto di loro non più il  mare, ma una fogna. Grazie ad un progetto dell'Avsi e quindi della  cooperazione italiana, 14.200 persone oggi hanno una casa su  terraferma, un asilo per i bambini, un centro nutrizionale a  disposizione dei genitori e dei bambini (il 37% sono denutriti nella  realtà che abbiamo visto noi).
Una volta invece i bambini morivano, per malattie respiratorie e  dovute alla scarsa igiene che un simile posto può avere. I loro volti  erano deturpati da infezioni se cadevano in quelle acque nere. Oppure 
morivano perché scivolavano in acqua e restavano infilzati in uno di  quei pali che aveva ceduto. Magari non subito: era l'infezione a  compiere il resto dell'opera. Non è una vacanza quella che stiamo  facendo, ma è comunque un viaggio che consigliamo. Perché aiuta, per  esempio, a vedere con occhi nuovi un diverso, un extracomunitario che  bussa a casa nostra alla ricerca di un futuro meno drammatico dove 
poter crescere i propri figli. Penso che uno sguardo a quella povertà,  è anche al grande lavoro che i volontari italiani della cooperazione  fanno sostenuti da finanziamenti statali ma in gran parte da 
finanziamenti diretti di privati cittadini, basterebbe per rendere il  nostro paese un po' meno timoroso nei confronti delle culture diverse  e in quelli degli stranieri. Se tu incroci gli occhi di quei bambini  che sorridono quando ti guardano, se li vedi giocare a pallone in una  palestra gestita dalla cooperazione, se li vedi studiare, leggere  libri, mangiare un pasto degno di questo nome, non puoi accettare che  i medici possano denunciare i clandestini o che approssimate ronde  padane diano la caccia ad un extracomunitario solo perché è diverso da  noi.
Se ognuno di noi avesse modo di vedere il viso di un vecchio di 10  anni, che si fa di crack e che mendica un real , la moneta brasiliana  che vale 33 centesimi, o che ti dice ?non darmi soldi, ma comprami  qualcosa da mangiare?, saremmo un po' meno duri con gli altri e forse  un po' più duri con noi stessi. O se ognuno vedesse una donna che  partorisce per strada di notte perché quella strada è l'unica casa che  ha, o se ancora tutti potessero vedere le bambine che a poco più di  dieci anni sono disposte a vendere se stesse per l'equivalente di 5  euro, capiremmo di essere davvero fortunati, e che forse varrebbe la  pena di dare qualche briciola di questa nostra fortuna a chi, italiano all'estero, spende tutto se stesso per assicurare a questi bambini e  alle loro famiglie (quando ci sono) un futuro dignitoso. Non è una  vacanza la nostra, ma certamente ti riempie molto di più che 15 giorni  nel più bel luogo che possa esserci al mondo.
Abbiamo altro in mente. E' vero. Ci piacerebbe che un po' di quello  che noi abbiamo visto e che certamente anche altri orvietani hanno  visto o vedranno, entrasse almeno in parte nelle coscienze di tutti.  
Vi assicuro che ci sentiremo tutti meglio.

Perché i bambini delle favelas ridono?

di Giorgio Santelli

Perché i bambini delle favelas ridono? Perché disegnano grandi cuori, sole, grandi prati verdi pieni di piante? E' una fuga dalla realtà, è il mondo che desidererebbero? Ma se è così, allora perché ridono?

Per due giorni siamo entrati a Manguinhos, insieme al gruppo di Redeccap e Cesvi e questa è stata la domanda ricorrente. Vedi bambini felici, da una parte, e poi altri bambini, straziati dal crak sui bordi delle minuscole case di favela. E ne vedi anche altri, poco più che adolescenti, davanti alle bocas de fumos (i luoghi dello spaccio), armati, pronti a difendere i capi del narcotraffico. Vedi famiglie dove sembra forte la solidarietà. Famiglie povere dove spesso esiste solo la madre a capo di un nucleo familiare fatto anche di più figli avuti da uomini diversi e che magari scelgono di adottare una "nonna" non propria, come è il caso della famiglia di Robson. Vedi bambini che giocano senza nulla, ai bordi di un fiume che sembra un'immensa cloaca, confine di favela. E quando ti dicono che in quel fiume sono anche capaci di "farci i tuffi" dentro, ti si stringe il cuore e ti viene da piangere per la rabbia. Perché? Perché in favela ci arrivi con la metropolitana, partendo magari da Gloria, una delle stazioni di una Rio de Janeiro che lì sembra New York. E quando scendi a Maria da Graça, arrivi in quest'altra dimensione. 7milioni di bambini, ragazzi donne e uomini vivono delle favela. E il turista che arriva a Rio può scegliere anche di comprare per poche decine di Reais un biglietto di un pulman che ti fa entrare in una favela (Rocinha) quasi fosse uno zoo. Povertà e disagio diventano oggetti di culto per i ricchi turisti che vengono a vedere come si vive sotto la soglia di povertà. Per questo ti viene da piangere per la rabbia. E, per assurdo, a consolarti sono proprio loro, gli abitanti delle favelas. Ti dicono che si sta male, ma sono addirittura orgogliosi delle loro minuscole case costruite come "congiunti abitativi provvisori (così vengono chiamati dalla municipalità) e che tali restano anche dopo 35 anni. Una provvisorietà permanente. C'è chi dalle favelas esce per lavorare, chi esce perché fortunatamente è riuscito a crearsi un futuro migliore. Ma alle favelas, alla loro favela, rimangono attaccati, per dimostrare che è possibile anche con il lavoro onesto vivere bene. Non solo con la scelta della criminalità, che ti riduce l'aspettativa di vita a poco più di trent'anni. Queste storie positive poi si estendono a macchia di leopardo, dando vita a progetti che possono essere definiti, per semplicità, di rivalsa sociale. I bambini, torniamo a loro, che spesso vivono da spettatori situazione di violenza, trovano poi in alcune oasi della cooperazione internazionale italiana, momenti di pace e serenità. Cesvi ha comprato una vecchia casa di registrazione, la Rocha. E' l'ultimo palazzo con diritto di proprietà prima della distesa delle case di favela. E lì bambini e genitori conoscono un altro mondo. Disegnano, suonano, fanno iniziative di mobilitazione legate alla prevenzione della Dengue, hanno un'aula di informatica, un corso di fotografia. Si incontrano e discutono pensando e agendo alla ricerca di (come dice Leonildo) un altro mondo possibile. Ci sarà da scrivere parecchio per raccontare quello che abbiamo visto e quello che ci hanno raccontato. Ma ora sono solo sensazioni. E l'ultima sensazione di oggi che vogliamo darvi è quella del parallelismo con alcune zone del nostro Paese. Andrea, il responsabile dei progetti di Cooperazione del Cesvi in Brasile, sta cercando una copia in portoghese di Gomorra per regalarla a Leonidio, motore insieme a Beth del progetto Casa Viva di Manguinhos di Redeccap e Cesvi. Le Vele di Saviano non sono così diverse da questa realtà. Le dinamiche interne sono simili, come simili le difficoltà dello stato che prova ad intervenire per dare legalità e diritti ad un pezzo di mondo privato di tutto. Senza esaltare la politica di Lula che molto ha fatto ma che tanto di più potrebbe fare, qui hanno trovato una "strada" per riportare lo stato là dove c'è l'antistato. Entrare nella favela. Con opere infrastrutturali che abbattono le difese dei narcos. La favela fatta di piccoli vicoli viene aperta da strade. Le abitazioni abbattute (sebbene costruite in modo illegale) vengono ricostruite in zone diverse per risarcire gli abitanti. La linea ferroviaria che delimita, insieme al fiume-cloaca, il territorio dei narcos, viene rialzata e sotto vengono abbattuti i muri di quella che loro chiamano "striscia di Gaza" per fare dei prati.  Quei grandi prati verdi che i bambini di Manguinhos disegnano e sognano e che li rendono così felici.

Adotta a distanza la casa viva di Manguinhos
Link
http://www.cesvi.org/?pagina=pagina_generica.php&id=33

di Stefano Corradino

Avevano detto a me e a Giorgio alla vigilia della partenza di far attenzione a due cose principalmente. Le favelas, zone di guerriglia urbana con il coprifuoco diurno e notturno e al ghiaccio nei bicchieri di long drink. Due precauzioni da rispettare rigorosamente: la prima per motivi ovvi, non è consigliabile addentrarsi in zone con proiettili volanti ad altezza d'uomo. La seconda è alimentare. Non bere acqua dai rubinetti, solo acqua imbottigliata e soprattutto niente cubetti di ghiaccio.
Appelli rimasti inevasi. Nella seconda giornata del nostro viaggio di scoperta in questa terra di suoni e colori siamo entrati in una favela per documentare la situazione di miseria che vivono le donne, gli uomini e i bambini del luogo. E ci siamo imbattuti in un bar all'aperto che trasmetteva la partita Italia-Brasile. La tentazione e la curiosità di vedere il match in compagnia dei carioca era troppo forte. E così ci siamo seduti in compagnia di un collega italo brasiliano che ha fatto subito capire chi eravamo. A scopo cautelativo. Grandi sorrisi e frecciate ironiche. Eravamo al secondo tempo quando già la nostra nazionale era sotto di due gol. "Niente riprese qui", ci consiglia l'amico seduto accanto a noi. Teniamo a bada la telecamera ma con fare accorto sfruttiamo la tecnologia dei cellulari e ci mettiamo a riprendere con discrezione la partita, e i commenti dei tifosi intorno a noi.
"Spegni quel telefono". Questa volta non è un suggerimento, è quasi un'intimazione... Lo facciamo, senza battere ciglio, sperando di non aver rischiato un incidente diplomatico, visto che non si è ancora placata la polemica su Battisti...
Uno dei brasiliani si alza, prende una bottiglia di Capirinha (ottimo long drink, fresco e molto alcolico). E ci propone di bere con lui. Non possiamo non accettare.
Prende da una busta di plastica un blocco di ghiaccio e con mani probabilmente non sterilizzate rompe su uno stipite di legno il ghiaccio in vari pezzi. E due bei cubetti del temuto portatore di bacilli affondano nel bicchiere. Ringraziamo e beviamo. Speriamo che il ghiaccio urtando violentemente contro la parete si sia liberato dei germi... 

di Giorgio Santelli

Siamo arrivati a Rio De Janeiro di mattina presto. Una città incredibilmente grande. Ci stanno 12 milioni di abitanti di cui 7 stanno nelle favelas. Siamo partiti con una troupe leggera per raccontare la cooperazione italiana, una parte della cooperazione, con Stefano Corradino. 15 giorni per raccontare la vera eccellenza italiana, quella che quotidianamente combatte per tirare fuori dalla strada i bambini e i più poveri. La prima giornata è solo di conoscenza. C'è da pianificare le interviste dei prossimi giorni. Oggi, mentre ci leggete, saremo alla Casa del Sorriso di Zia Tilda, un progetto del Cesvi. La zona beneficiaria del progetto coincide con quella del complesso di Manguinhos, nella periferia nord di Rio de Janeiro, costituita da 13 favelas, per un totale di circa 55.000 persone (circa il 10.6% sono bambini tra i 7 e i 14 anni esclusi dall'insegnamento scolastico).

La zona è molto degradata in prossimità di una delle principali arterie stradali della città, l'Avenida Brasil, e a ridosso di un polo industriale che comprende una raffineria di petrolio ed altre fabbriche. 

L'agglomerato urbano di Manguinhos sorge nella periferia nord di Rio de Janeiro. Le condizioni di povertà che caratterizzano le favelas sono particolarmente gravi: abitazioni precarie, spesso sprovvisti d'adeguati servizi igienici, sistemi fognari e accesso all'acqua potabile.

Il fenomeno dello spaccio di droga è uno dei principali ostacoli allo sviluppo economico e di sicurezza sociale della zona, a causa degli scontri tra le fazioni rivali per il controllo del narcotraffico o tra trafficanti e polizia, soprattutto quando quest'ultima effettua delle incursioni nelle favelas, che rendono difficile anche recarsi sul posto di lavoro o andare a scuola. E' difficile prevedere il verificarsi d'assalti, sparatorie ed incursioni della polizia, fuori e dentro la favela.

Un ulteriore elemento di forte disagio è dato dalla mancanza d'infrastrutture per la viabilità interna ed altri servizi pubblici (i costi di trasporto sono elevatissimi), come nel campo dell'istruzione e dell'assistenza medica, che causano un ristagno delle attività economiche e obbligano la popolazione a cercare lavoro all'esterno della favelas. Inoltre livelli culturali ed economici bassissimi, la mancanza di capitale iniziale e di conoscenze sulle potenzialità economiche locali creano un alto tasso di disoccupazione ed una diffusa criminalità, soprattutto tra le fasce più giovani della popolazione. La maggior parte dei giovani è in bilico tra la disoccupazione pura e semplice, il subimpiego e l'influenza del narcotraffico. Il 45% circa della popolazione economicamente attiva si colloca nel mercato sommerso del lavoro. L'economia legale della zona è legata  alle attività commerciali di sussistenza nel settore alimentare, delle confezioni domestiche, bar e altri servizi. A queste problematiche si aggiungono un basso livello di scolarizzazione caratterizzato da una scarsa offerta di scuole di insegnamento medio, un elevato tasso di lavoro infantile. Le donne, madri in età molto giovane, spesso devono provvedere da sole, al mantenimento della famiglia.

I bambini crescono in condizioni di semi-abbandono e passano il loro tempo da soli per strada, senza la sorveglianza di un adulto e senza il riferimento di scuole e strutture ricreative. Corrono così il rischio di assistere a scene di violenza o di addirittura esserne coinvolti. L'abbandono scolastico e la criminalità portano inoltre ragazzi molto giovani, spesso ancora bambini, in contatto con la delinquenza locale e ad essere impiegati in attività illegali (soprattutto furti e spaccio di droga). Molti sono obbligati a sostenere economicamente la famiglia, lavorando nella manovalanza formale o informale, essendo perciò sfruttati ed esclusi dall'educazione obbligatoria. Dati recenti mostrano che gli omicidi, che hanno interessato ragazzi d'età compresa tra 15 e 24 sono aumentati del 95%. L'80% dei morti assassinati in favela ha un'età compresa tra i 15 e i 21 anni. Dal registro del Programma di Salute delle Famiglie, emerge che in Manguinhos esiste una differenza di 9.2 punti percentuali tra giovani di sesso femminile (54.6%) e maschile (45.4%). A sottolineare che i giovani di sesso maschile residenti nelle favelas stanno scomparendo.

 

Pubblicato il: 18/02/2009

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