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Macedonia, ma quanto mi costi?

Frutta e ortaggi a peso d'oro, i consumatori protestano e gli agricoltori si difendono. Tutta colpa della siccità? Qualche prezzo è incomprensibile. Aumenti dal 10 al 40%

Cronaca

di Maria Flavia Timperi

 

Fagiolini a 5 euro, albicocche a 3,50 euro, aumenti tra il 10 e il 40% anche per pesche, prugne, angurie e gli altri prodotti di stagione vita dura per il consumatore oculato che si aggira tra i banchi del mercato di Orvieto visto che una macedonia fresca sembra essersi fatta, a detta di molti, un bene di lusso.

"I prezzi per alcuni prodotti - confermano dall'Etrusca Frutta - sono aumentati di circa il 30 per cento a causa delle gelate primaverili e della siccità di questo periodo".

Vero è che non piove da mesi, vero è che si registrano ormai da troppo temperature decisamente superiori alla media stagionale, vero è che le nostre campagne stanno visibilmente soffrendo della prolungata siccità e la produzione agricola indubbiamente risente delle scarse precipitazioni, ma legittimo è chiedersi se ed in che misura questo stato di cose possa incidere sui prezzi dei prodotti e se possano ritenersi giustificati rincari che raggiungono anche il 40%.

Non sono in pochi a lamentare il fatto che il levitare dei prezzi di frutta e verdura sia fenomeno solo parzialmente da ascrivere all'emergenza siccità, sia perché gli effetti di questa dovrebbero essere visibili e quindi incidere semmai sulla produzione del prossimo settembre, sia perché i rincari hanno riguardato anche i prodotti di importazione senza essere adeguatamente giustificati dai costi di trasporto, sia perché, come spesso accade, sorge il dubbio che qualcuno si approfitti della calamità.

Se i compratori denunciano un eccessivo e costante aumento dei prezzi che, a partire dall'introduzione dell'euro (e su questo il coro è unanime), non sembra conoscere tregua, i venditori adducono a giustificazione le avverse condizioni climatiche che, tra gelate primaverili, il flagello della grandine e la siccità che crepa la terra dei campi, uccidono la campagna e mandano in malora un raccolto su tre; normale pertanto che ciò che resta di zucchine, fagiolini, meloni o lattuga approdi sui banchi del mercato a prezzi proibitivi.

"Chi si lamente venga a vedere in che condizioni sono le campagne - dice Vera Barlocio che gestisce un piccolo banco di frutta e verdura al mercato di piazza del Popolo - e poi potrà dire se gli aumenti sono giustificati o meno".

Ma duro da fugare è il sospetto che nei passaggi intermedi tra i terreni e le nostre tavole si nasconda a volte qualche speculazione che, approfittando degli indubbi danni prodotti dalle calamità naturali, concorra a rendere il prezzo di un'albicocca vicino a quello di un tartufo.

"I rincari - dicono alla Boutique della Frutta - sono dovuti maggiormente ai ricarichi che ci sono nei vari passaggi dal produttore alla vendita al dettaglio". Per Riccardo Messina, altro fruttivendolo di piazza del Popolo, oltre alle bizze del clima c'è da tenere conto degli aumenti dei costi dei gestione e delle più semplici regole di mercato. "La domanda è alta - dice - ma se la frutta e la verdura scarseggiano quella che c'è è chiaro che costi di più".

Forse un più attento sistema di etichettatura delle merci renderebbe più trasparente la natura, reale o speculativa, dei rincari e forse un osservatorio sui prezzi che funzioni in maniera veloce garantirebbe consumatori e commercianti circa l'autenticità degli aumenti dovuti a fattori effettivamente contingenti.

Pubblicato il: 18/07/2003

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