In molti, ieri sera, ad ascoltare Remondino sull'ipotesi di guerra in Irak
200 persone hanno partecipato, ieri sera alla Sala del Carmine, alla presentazione del libro "La Televisione va alla guerra". Molta la voglia di discutere su guerra, pluralismo nell'informazione e rapporto tv-utente
Cultura
di Redazione
Ieri sera, presso la Sala del Carmine alla 17,30, appuntamento con Emergency ed Ennio Remondino, per la presentazione del suo libro "La Televisione va alla guerra". Un tema caldo, visto che forti venti di guerra spirano sull'Irak. Un'occasione, quindi, per discutere non solo del libro edito da Sperling & Kupfer, ma per fare il punto, con l'inviato speciale del Tg1, su quanto potrebbe accadere nelle prossime settimane.
Ma veniamo alla presentazione, a cui hanno partecipato circa 200 persone.
La guerra è l'immagine di una donna che si sposta a scatti, di corsa, lungo una via di Sarajevo, sotto il tiro dei cecchini. È l'inquadratura di una strada sassosa e deserta, ai bordi della quale sono abbandonati, come mucchi di stracci, corpi di uomini magri e barbuti. È una muta sequenza che mostra un aereo conficcarsi in un grattacielo, sullo sfondo di un cielo da cartolina. Senza la tv, la guerra sarebbe diversa, anzi, forse non esisterebbe - come suggerisce provocatoriamente l'autore ricordando i tanti conflitti, riguardanti zone poco interessanti del pianeta, liquidati come "scontri locali" in succinti trafiletti di giornali e agenzie stampa.
La guerra è un evento mediatico, che inchioda il pubblico al teleschermo, e i network la inseguono con grande dispiegamento di mezzi tecnologici. Ma anche le più importanti operazioni militari hanno bisogno della televisione, perché "le guerre non si fanno più soltanto per vincere, ma soprattutto per convincere". E le telecamere diventano in questo senso una delle forze schierate sul campo di battaglia, l'arma più adatta a creare il consenso, a condizionare - talvolta a manipolare - l'opinione pubblica.
Ennio Remondino (ascolta una breve intervista sull'assegnazione del premio Alpi), che da dieci anni segue i più complessi e sanguinosi conflitti del nostro tempo, ha raccolto in questo libro le sue considerazioni sulla sfaccettata realtà del giornalismo di guerra: l'inganno delle immagini, i trabocchetti delle fonti ufficiali, le pastoie delle politiche redazionali, il grande lavoro che sta dietro i pochi minuti di diretta televisiva. Riflessioni ora pungenti ora pensose sulla tv che "commercializza" la guerra e sugli involontari eroi dell'informazione, ma anche resoconti gustosi sulla vita precaria degli inviati, variopinto esercito di uomini e donne in competizione per arrivare per primi sul posto, ottenere il miglior collegamento satellitare o anche solo accaparrarsi cinque litri d'acqua tiepida per una doccia nel deserto.
Ieri sera, presso la Sala del Carmine alla 17,30, appuntamento con Emergency ed Ennio Remondino, per la presentazione del suo libro "La Televisione va alla guerra". Un tema caldo, visto che forti venti di guerra spirano sull'Irak. Un'occasione, quindi, per discutere non solo del libro edito da Sperling & Kupfer, ma per fare il punto, con l'inviato speciale del Tg1, su quanto potrebbe accadere nelle prossime settimane.
Ma veniamo alla presentazione, a cui hanno partecipato circa 200 persone.
La guerra è l'immagine di una donna che si sposta a scatti, di corsa, lungo una via di Sarajevo, sotto il tiro dei cecchini. È l'inquadratura di una strada sassosa e deserta, ai bordi della quale sono abbandonati, come mucchi di stracci, corpi di uomini magri e barbuti. È una muta sequenza che mostra un aereo conficcarsi in un grattacielo, sullo sfondo di un cielo da cartolina. Senza la tv, la guerra sarebbe diversa, anzi, forse non esisterebbe - come suggerisce provocatoriamente l'autore ricordando i tanti conflitti, riguardanti zone poco interessanti del pianeta, liquidati come "scontri locali" in succinti trafiletti di giornali e agenzie stampa.
La guerra è un evento mediatico, che inchioda il pubblico al teleschermo, e i network la inseguono con grande dispiegamento di mezzi tecnologici. Ma anche le più importanti operazioni militari hanno bisogno della televisione, perché "le guerre non si fanno più soltanto per vincere, ma soprattutto per convincere". E le telecamere diventano in questo senso una delle forze schierate sul campo di battaglia, l'arma più adatta a creare il consenso, a condizionare - talvolta a manipolare - l'opinione pubblica.
Ennio Remondino (ascolta una breve intervista sull'assegnazione del premio Alpi), che da dieci anni segue i più complessi e sanguinosi conflitti del nostro tempo, ha raccolto in questo libro le sue considerazioni sulla sfaccettata realtà del giornalismo di guerra: l'inganno delle immagini, i trabocchetti delle fonti ufficiali, le pastoie delle politiche redazionali, il grande lavoro che sta dietro i pochi minuti di diretta televisiva. Riflessioni ora pungenti ora pensose sulla tv che "commercializza" la guerra e sugli involontari eroi dell'informazione, ma anche resoconti gustosi sulla vita precaria degli inviati, variopinto esercito di uomini e donne in competizione per arrivare per primi sul posto, ottenere il miglior collegamento satellitare o anche solo accaparrarsi cinque litri d'acqua tiepida per una doccia nel deserto.
Pubblicato il: 26/12/2002