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Sciarra. Traffici orvietani - seconda puntata. Il traffico dei debiti

Questa settimana Marco Sciarra entra con arguzia e ricchezza di aneddoti nei traffici finanziari orvietani. Dal mutuo ai prodotti derivati, dal passato al presente, dal nonno al mitico Boccio

foto di copertina

Avendo proposto, la scorsa settimana, una prima puntata dedicata ai traffici orvietani, non poteva certo mancare una seconda.

Ma nonostante la cronaca nera continui a portarci via conoscenti e amici, non parlerò di traffico di stupefacenti, limitandomi ad osservare che forse la droga è rimasta l'unica cosa che Perugia ci manda giù in cambio dei politici di seconda mano che noi le mandiamo su.

E non parlerò nemmeno del traffico ferroviario, dato che pare che manco i treni passeranno più dalla nostra stazioncina. E pensare che a Viterbo faranno l'aeroporto!

Vorrei parlare, invece, degli strani traffici aggiusta-bilancio comunale che non riesco bene a capire, non fosse altro perché mi mancano completamente le basi di economia politica e di macroeconomia.

L'unica cosa che posso fare è confrontare quel poco che ho appreso e compreso dai giornali con quei rudimenti ruspanti di microeconomia urbevetana che possiedo.

Intanto, ho notato che dove non si arriva a coprire i debiti vendendo i pezzi, ci si arriva coi mutui. Progettare e mettere in piedi infrastrutture? Accendiamo un mutuo! Ripianare i debiti del Teatro Mancinelli? Accendiamo un mutuo da mille euro al giorno! C'è da fare qualcosa di nuovo? Ma accendiamo un mutuo!!!

E "mutuo" diventa la parola magica con cui affrontare le mille asperità della ordinaria e straordinaria amministrazione.

Insomma, senza scomodare le alte teorie economiche, e volando terra terra, ho l'impressione che si stia operando un po' come faceva il mio povero nonno, che non era certo un genio della finanza. A metà anni cinquanta o giù di lì comprò, a debito, la casa dove sono nato, e accese un mutuo per pagarla, senza che nessuno gli facesse pensare, e gli comunicasse, che la somma da restituire non era soltanto quella ricevuta, ma che doveva metterci sopra gli interessi. Naturalmente dopo qualche anno non riusciva più a pagare le rate del mutuo e, complice il solito solerte bancario amico, accese un secondo mutuo per pagare il primo, sempre ignorando sia quanto gli fosse costato il primo, sia a quanto ammontassero gli interessi del secondo, dato che lui, degli interessi, ignorava addirittura l'esistenza. Passò un po' di tempo e, se prima era difficile pagare una rata, figuriamoci ora con due! Indovinate cosa fece la buonanima? Ma riaccese un altro mutuo, procrastinando così la fine dei suoi debiti ma prendendo una boccata d'aria, effimera e illusoria, in attesa della nuova piena. Per fortuna nel frattempo mio padre era diventato maggiorenne e prese in mano la situazione, estinguendo (a furia di portar vino a domicilio mentre mia nonna faceva i panini ai militari) tutti e tre i mutui e, una volta corrisposti i due terzi del valore dell'immobile ai suoi fratelli, poté finalmente godersi la casa, naturalmente sgarrupatissima e ancora da ristrutturare.

E così starà forse facendo il nostro Comune, prolungando l'agonia, allungando il debito come mio nonno, in attesa che una nuova generazione volenterosa si rimbocchi le maniche per rimediare alla mole di cazzate fatte? Chissà

E arriviamo alla novità del momento, ovvero i "derivati", in merito ai quali la Consob (che ha istituito un apposito educational per spiegarne i risvolti, la cui sola presentazione, scaricabile da internet, è di 54 pagine) dice: «Se non si è esperti di finanza, affrontare il tema dei prodotti derivati (o, più semplicemente, derivati) crea sempre disagio.  È come entrare in un campo di cui non si conoscono esattamente i confini e le caratteristiche. Si sa solo che è accidentato». E aggiunge poco dopo: «I prodotti derivati sono strumenti complessi, destinati ad investitori professionali, o quanto meno evoluti, che sappiano sfruttare le numerose opportunità che offrono e, nel contempo, siano in grado di valutare e gestire correttamente i relativi rischi, che sono notevoli».

Come dire, se non siete più che esperti, lasciate proprio perdere.

Ma a Orvieto si sa, i difetti sono dei singoli, ma i pregi sono collettivi: da noi c'è Vissani? Siamo tutti chef! Da noi c'è Parretti? Siamo tutti intenditori di alta finanza!

E io, che per non saper né leggere né scrivere, di derivati conoscevo solo quelli del latte! Si vede che dopo la chiusura della centrale di Sferracavallo, ci siamo fatti prendere la mano, facendo i derivati della finanza, qualcosa che nella mia testa confusa è una mezza via tra uno yogurt ricco di boc e un pecorino di fossacomune.

E meno male che una cosa la so: la finanza dei derivati non è la finanza dei pini di Cardinali, quelle sono le guardie di finanza. Giusto per chiarezza, perché non si dica che, preso dall'euforia del momento, voglio fare la ricotta coi baschi verdi.

Ma torniamo a bomba: non potendo mettere in bilancio tutti i debiti chiamandoli col loro nome, va di moda ribattezzarli, cadenzarli, reimpastarli, spartirli tra cittadini e istituti di credito, rimandando tutto a domani, che, bello o brutto che sia, sarà sempre un altro giorno, non fosse altro perché lo diceva Rossella O'Hara.

Eppure i derivati sembrano così innocui, hanno tutta l'apparenza di essere solo un modo per fare magheggi sul nome da dare ai debiti. Insomma, come se un personaggio a caso, di pura invenzione, prendesse in mano un azienda a caso, per esempio l'azienda del gas o, che ne so, dell'acqua, e, appena entrato, iniziasse a mandare bollette di migliaia di euro a persone morte o centuplicasse le quote a qualche pensionato giusto per mettere quelle cifre nei bilanci preventivi e dimostrare le proprie capacità di vendere fumo. Ma giusto per fare un esempio di fantasia

Però coi derivati non è stato proprio un giochetto innocuo: dietro alle parole, che volano, ci si è accorti, purtroppo solo di recentissimo, che ci sono anche i debiti, che restano. Magia!

Ma la storia è maestra di vita e anche questo, o qualcosa di molto simile, si era già visto anni e anni fa all'ombra del Duomo, nella micro-microeconomia della rupe: con Boccio, l'omino dal glorioso apetto addobbato e strombazzante.

Per chi non conoscesse il mitico episodio del falegname orvietano, ormai scomparso, ricordiamo che, una volta aperto un conto corrente presso una delle innumerevoli banche orvietane, quando gli fu consegnato il blocchetto degli assegni e gli fu spiegato il funzionamento di questo nuovo metodo di pagamento, nessuno si premurò di dirgli che poteva usare quei foglietti magici al posto dei soldi solo fino ad esaurire quelli che aveva effettivamente nel conto e non a suo piacimento, senza limiti. Ma lui iniziò a staccare assegni a destra e a manca, sicuro di stare nel giusto e, quando fu richiamato dal direttore della banca, che pretendeva la restituzione dei debiti contratti in questa bizzarra ma comoda maniera, il Boccio rispose candidamente: «Beh? Quanti debiti avrei fatto co' 'sti assegni? Quanti soldi volete? Ah, e che problema c'è? Ve fo' 'n assegno»!

Pubblicato il: 03/12/2007

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