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'Cerco guai' n.2. Questa settimana si parla di "pecette'

Marco Sciarra affronta con leggerezza questa abitudine coltivata da molti di attaccar pecette. Dal medioevo a domani. Un modo per semplificare la catalogazione di mondo e mondaroli. 'Pecettati' di oggi e aneddoti curiosi

foto di copertina

Dal 2 maggio anche l'Orvieto Classico DOC in bottiglia ha la sua fascetta della Zecca dello Stato, aggiungendo un'altra etichetta, stavolta sul collo, a quella del produttore, che di solito è in pancia.

E meno male, dicono viticoltori, enologi e sommelier, così è garantita la qualità del prodotto.

E meno male, dico io, perché così l'Orvieto è ancora più orvietano.

Già, perché in questo villaggio tutt'altro che globale, che di città ha forse solo il nome e le pretese, l'arte di appiccicar etichette è viva da sempre.

Da quando si era o Guelfi o Ghibellini, o coi Monaldeschi o coi Filippeschi, e se Alighieri ci rimproverava nella sua Commedia, fosse pure divina, noi ce ne infischiavamo altamente, salvo poi attaccare la citazione sulla Torre del Moro, a memoria imperitura di quella insana faziosità manichea che ancor oggi ci distingue.

Poi venne il medioevo del XX secolo, con Cavajoli e Pistrellesi, e anche lì appartenere a una delle due categorie (come se fosse un torto esser nati due metri a est o a ovest del Moro) voleva dire sapere tutto del malcapitato: idee politiche, gusti e disgusti, e ogni cosa era perfettamente incastonabile in uno dei quei due comodi paradigmi che la apertissima società urbevetana sapeva stilare con estrema grazia e obiettività

E poi arrivò il boom economico, e la distinzione tra Cavajoli-"burini patentati" e Pistrellesi-"popò merda su 'n fuccello" lasciò il posto a categorie di più alto respiro: destra o sinistra, o con noi o contro di noi. E se in Italia ha comandato per decenni il centro, beh a Orvieto no, e, prendendo in prestito il titolo del celebre romanzo di Stendhal, o sei rosso o sei nero, alla faccia delle tue capacità di raziocinio.

L'era dell'iper-informazione, in cui tutto riesce a fare notizia e in cui anche un povero fresco come me può tenere una rubrica di opinione su un quotidiano locale on line, non ha fatto che peggiorare la situazione: subissati dagli stimoli, non abbiamo certo il tempo di valutare un ragionamento, una proposta, un'idea. Si fa nettamente prima ad etichettarla secondo la categoria di appartenenza di chi la propone: o sei sempre giusto o sei sempre sbagliato. E vai col tango.

È più facile e veloce giudicare in base al "chi" e non al "cosa". Che?!? "Facile e veloce" non vuol dire "giusto"? 'Sti cavoli!

È molto più comodo fare come quel critico letterario che scriveva le recensioni prima ancora di leggere il libro: così, quando lo leggeva, sapeva già cosa pensarne.

Un po' come succedeva con qualche professore ai miei tempi: se ti impegnavi i primi mesi e ti guadagnavi la pecetta di "bravo", poi era fatta. Se una volta ti trovava impreparato, il premuroso insegnante si preoccupava subito di chiederti se c'erano problemi a casa o con la ragazza, invece di rimproverarti. E se sbagliavi di netto il compito in classe, di sicuro sotto un sei e mezzo non scendevi mai, ché tu non appartenevi alla categoria degli "appena sufficienti". Se invece disgraziatamente t'eri preso la nomea del "somaro", avevi voglia a fare i salti mortali, a vegliare la notte per recuperare le lacune, tanto se il tuo compito valeva sette o sette e mezzo, la ragione, sempre secondo il prof sbrigativo, era solo una: avevi copiato!

E lo dico in tutta onestà, dato che io ero di quelli che con l'etichetta dello studente modello ci sono spesso vissuto di rendita.

Quindi è del tutto normale stupirsi, trasecolare e gridare allo scandalo se un cronista locale, che non aveva condiviso le scelte di Cardinali sulla cava di Benano, poi oggi gli manifesti solidarietà nella ridicola vicenda del segreto di Stato. Ma allora sto Cardinali è di Dio o del Diavolo (lo metto maiuscolo, perché qualche volta provo anche io ad essere politicamente corretto, nella forma)?

E se poi quella franca tiratrice della Belcapo, rispettando più le idee proprie e di chi l'ha votata che non gli interessi di colleghi e superiori in merito alla probabile futura mini-iper-coop, sia l'unica della maggioranza a non dire «Tutto va ben, Madama la Marchesa», allora è normalissimo giungere all'unica conclusione possibile: la Pippi Calzelunghe della politica orvietana è decisamente, definitivamente, irrimediabilmente matta!

Così come è normale che risulti fuori da ogni logica che Vieri Venturi, reo di cantare alla festa de «L'Unità» (ma un nome più realistico proprio no, eh?) poi si candidi con una lista destrorsa (ah, in questa sede manco lo voglio aprire il discorso sulla istituzionalità dell'unica grande festa estiva orvietana, rimandando tutto a quando -e se- parlerò dell'appartenenza partitica dei sindacati).

E così come è normale giustificare il proprio credo politico con una lunga tradizione famigliare, quasi che le idee passino col cognome. E io che mi sforzo tanto perché i miei figli possano acquisire gli strumenti per valutare e decidere in prima persona e non per trovare le giustificazioni per dare ragione a me sempre e comunque

Ma in fondo chi era Voltaire per dire «Non sono d'accordo con la tua opinione, ma mi batterò fino alla morte perché tu possa esprimerla»?

Concludo con due episodi che la dicono lunga su questa abitudine di schierarsi a prescindere, spesso rinunciando a sane capacità di raziocinio.

Anni fa, sostituendo l'amico Claudio Lattanti a «La Nazione» (cinque giorni perché era in ferie e poi altri venti perché in Trentino era andato a finire con la bicicletta dentro una fontana rompendosi tutte e due le braccia), mi capitò di chiedere ad un commerciante cosa ne pensasse della chiusura al traffico di Corso Cavour. Lui prese il cellulare, chiamò non so chi e gli chiese: «Oh, che ne pensamo del traffico pel corso? Che s'è deciso come associazione? Che je devo risponde al giornalista che c'ho qui davanti?». Zan zan

Molto più spassosa, o preoccupante (dipende sempre dai punti di vista), invece, la vicenda di un ex amministratore locale, che, in visita ufficiale con una delegazione di autorità, passò per la sua ultima volta al Pozzo della Cava, proprio mentre stavo allestendo il presepio.

Erano i primi di dicembre del '99, e il protagonista della storia (il nome se lo volete sapere me lo dovete venire a chiedere di persona, dopo opportuna presentazione e stretta di mano), mi disse: «Quale sarà il tema del presepio di quest'anno»? «Il sabato ebraico» risposi io, e continuai: «Voglio immaginare cosa sarebbe successo se Gesù fosse nato di sabato, giornata in cui gran parte delle azioni manuali sono proibite per gli ebrei». E lui incalzò, quasi offeso: «Con tutto quello che il Comune sta facendo per il gemellaggio con Betlemme, per sostenere la causa palestinese, che te dice 'l capo a fa' un presepio da la parte de l'Ebbrèe»? Al che, io, inorridito e imbarazzato insieme, osai scusarmi con un timido «Ma non è colpa mia se Gesù è nato ebreo». «Ma che stai a dì -mi riprese subito lui- a quei tempi gli Ebrei manco c'erano. Lo sanno tutti che Gesù è nato in Palestina»! E lì non seppi contare fino a dieci, perdendo, con la mia fulminea risposta, uno dei più assidui visitatori del mio presepio (e anche buona parte della corte dei miracoli che gli teneva lo strascico), e, in barba ad ogni dettame diplomatico, sbottai: «Già! Infatti lo circoncisero pe' fa' le faciòle co' le spuntature»!

 

 

 

 

 

PS: ringraziando infinitamente quanti sono voluti interventire con i commenti su OrvietoSì e via mail, vorrei ricordare che questa è una rubrica settimanale di opinione. Quindi:

1)      Salvo rare eccezioni ed urgenze, non risponderò ai commenti con un altro commento, dato che non voglio che "Cerco Guai" diventi la brutta copia di un blog o di un forum. Se volete avere risposte che mi sento di darvi, aspettate il lunedì successivo!

2)      Sebbene io conosca a menadito la regola delle cinque "W" (ovvero che nelle prime tre righe di un articolo si deve rispondere a "who?", "what?", "where?", "when?" e "why?") so anche che questa si applica alla cronaca, non certo ad un redazionale di opinione, dato che un ragionamento minimamente articolato dovrebbe accompagnare il lettore ad una conclusione logica, non certo anticiparla. A maggior ragione se si prova a giocare con un pochino di ironia. E se questo contrasta con la rapidità della fruizione del materiale disponibile su un quotidiano on line, beh, forse non è un caso che la rubrica sia settimanale e che esista il bottone "stampa" su tutti i browser. Ma si può sempre migliorare.

3)      A tutti quelli che sono intervenuti in forma anonima va tutta la mia comprensione. Ma a quei pochi anonimi che hanno invitato me, che ci metto il nome e il cognome, ad essere ancor più cattivo e scorretto, rispondo citando una raffinatissima battuta del comico ligure Enrique Balbontin, che ricorda che «son tutti finocchi col culo degli altri».

4)      Comunicazione di servizio: mercoledì 14 sono in gara a «La Prova del Cuoco», in diretta su RaiUno, e spero di avere tempo e modo per parlare bene del nostro territorio, che amo dal profondo, e che proprio per questo mi piacerebbe fosse trattato meglio.

Pubblicato il: 12/11/2007

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