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'Cerco guai'. La nuova rubrica del lunedì curata da Marco SCiarra

Lui scriverà sul nostro giornale quello che vuole e siccome il suo spirito "scorretto" è sicuramente foriero di "guai", lo dichiariamo prima. Apertura con una proposta seria: le quote celesti. Il rispetto per tutti è assicurato, ma la genuflessione non la troverete, non fa parte del nostro carattere.
La pistola è carica. Fuoco

foto di copertina

Su orvietosì c'è una nuova rubrica settimanale, programmata per il lunedì. Il titolo interpreta lo spirito che abbiamo concordato con Marco Sciarra: "Cerco guai".  Lui scriverà quello che vuole e siccome il suo spirito "scorretto" è sicuramente foriero di "guai", lo dichiariamo prima.

Il rispetto per tutti è assicurato, ma la genuflessione non la troverete, non fa parte del nostro carattere.
La pistola è carica. Fuoco.

 

Quote celesti

di Marco Sciarra

Tanto per essere chiari: pare che in questo spazio possa dire quello che voglio, commentando dal mio punto di vista qualcosa che riguardi più o meno da vicino l'attualità locale. Quindi questa che comincia oggi è e sarà (direttore responsabile, pubblico e autorità giudiziarie permettendo) una rubrica dichiaratamente e spassionatamente politicamente scorretta.

E proprio per ribadire questa profonda scorrettezza vorrei cominciare da un argomento per il quale è stato creato addirittura un apposito ministero: le pari opportunità.

Si fa un gran parlare, anche dalle nostre parti, di declinare al femminile documenti ufficiali e comunicazioni varie, che possano essere di un/una qualche aiuto/utilità a tutti/tutte i/le cittadini/cittadine del/della nostro/nostra Stato/Repubblica. E se, in barba al femminismo, volessimo essere pure cavalieri, anteponendo il gentil sesso, dovremmo preoccuparci piuttosto della/del utilità/aiuto a tutte/tutti le/i cittadine/cittadini della/del nostra/nostro Repubblica/Stato.

Quindi, per essere politicamente corretti nei confronti dell'altra metà del cielo, si consumerebbe il doppio di tempo, carta e disco rigido, risolvendo magari il problema della pari dignità linguistica tra i sessi, ma peggiorando di gran lunga la situazione delle foreste e dell'inquinamento globale.

Il discorso diventa sublime quando passiamo al femminile delle professioni, volendo declinare con la "-a" tutti quei mestieri che, da dizionario, finiscono in "-o". Quindi accanto ad "avvocato" ci deve essere "avvocata", e non "avvocatessa", dato che, da buon participio passato di "avvocare", forma il femminile in "-a" e non in "-essa". Inoltre il finale in "-essa" pare sia addirittura vagamente dispregiativo. Speriamo che l'eco neofemminista non giunga alle orecchie della first lady della jungla, la leona. Metti che scopre che da secoli, quando la chiamavano "leonessa", in realtà le stavano togliendo parte della sua dignità, dopo lo vedi come ci riduce le braghe

Tutto sommato meglio le nostre di femministe, che se sbranano lo fanno solo a parole.

Per adeguarsi a questo rinnovamento di stile anche il blasonatissimo dizionario De Mauro (www.demauroparavia.it) sta provvedendo al restyling dei quadri morfologici dei sostantivi, presentando delle parole-mostro, come "dottora", "professora", "assessora" e "direttora", con buona pace degli accademici della Crusca che ricordano che, per evitare il suffisso "-essa", bisognerebbe al massimo arrivare a "dottrice", "professrice", "assessrice" e "direttrice". Non so voi, ma io non mi fiderei proprio di dire "trentatré" ad una che mi si presenta come Dottirice Tal de' Tali, ops, pardon, Tala delle Tale.

E tutto questo solo perché vogliamo ribadire a parole che le donne sono giustamente, sacrosantamente, entrate in ambiti finora di esclusiva competenza maschile. Ma in fondo si tratta solo dai farci l'orecchio. Pensate che in Svizzera le cape gabinetto da alcuni mesi non si chiamano più "chef" ma "cheffe", volgendo al femminile, con tanto di raddoppiamento di attributi consonantici, anche la parola francese più conosciuta al mondo dopo "champagne".

E qui parte la mia prima crociata: come mai il De Mauro riporta "professora" e non "studenta"? Come mai lo studio non è ritenuto avere pari dignità linguistica ad una professione, dovendo sempre essere denigrato con quello svilente "-essa" finale? Studente (inteso come femminile plurale e non maschile singolare) di tutta/tutto l'/lo Italia/Stivale, unitevi!

E siccome una prima crociata non si regge senza una seconda, eccomi qui: voglio che i/le ministri/ministre competenti inseriscano lo studio del dialetto orvietano nella scuola dell'obbligo, non tanto e non solo per riappropriarci di un idioma che sta scomparendo, quanto perché, al contrario della lingua italiana, l'Orvietano forma il plurale declinando tutto al femminile. Esempi: le carabbiniere co' le baffe; le faciole co' le sasse; noe pore fijie mastie. Tale esercizio stilistico restituirebbe così la dignità al plurale femminile favorendo la pratica delle pari opportunità linguistiche anche al di fuori del nostro ristretto territorio. Tiè!

Terza crociata: come esistono le quote rosa io rivendico le quote celesti. Ovvero: voglio l'"ostetrico". Già, perché scorrendo il sito dell'ospedale Cristo Re di Roma, alla pagina www.nascita.com/Divisione.html, sotto la voce "osteriche" ci sono i nomi di due maschietti: Maurizio Gnazzi e Giorgio Urbano (o Urbano Giorgio, tanto per dire che a me mettere il cognome prima del nome fa venire l'orticaria come ad una assessora di sinistra farsi chiamare "assessore"). E siccome pare che prese a caso due persone del pianeta esista una catena di conoscenze di massimo 5 individui che collega la prima alla seconda, mi sono adoperato per scoprire se potevo mettermi in comunicazione con una delle due ostetriche uomo. E la catena è stata cortissima: io, mia moglie, un suo amico d'infanzia trasferitosi a Roma, Maurizio Gnazzi. Amen.

Mi faccio dare il numero, lo chiamo e scopro non solo che sul suo diploma c'è scritto "ostetrica" e basta, ma che la stessa qualifica è riportata sul suo camice e su quello del suo collega. Ad onor del vero, con la riforma dell'ordine delle ostetriche e l'istituzione del corso di laurea in ostetricia, ora si può diventare ostetrica/o (attenzione, non "ostetrico/a", ma "ostetrica/o"!), ma per Gnazzi nulla da fare: si è diplomato nel '96 e rimarrà per sempre una "ostetrica uomo".

A questo punto l'intervista (sempre telefonica) è d'obbligo, e, in una lunga e amabile conversazione, viene fuori un universo impensabile, costellato di tremendo femminismo di alcune ostetriche che difendono con le unghie e con i denti un lavoro da sempre ritenuto appannaggio unico delle donne, atteggiamento a cui fa da contraltare la fiducia suscitata nelle puerpere, che, in un momento estremamente delicato come quello del parto, si sentono molto protette e rassicurate da una figura maschile che, per di più, non entra in competizione con loro come un'altra donna che può fare confronti o dare giudizi sul travaglio o sul parto, perché lo ha provato in prima persona o perché sopporterebbe di tutto pur di poter diventare madre.

«Se sei utile sei accettato e non penalizzato» mi ha detto schiettamente Gnazzi, che se ne sbatte altamente di non aver scritto "ostetrico" sul suo cartellino di riconoscimento e che, anzi, si sente orgoglioso di appartenere alla categoria delle ostetriche, comunque si declinino. Traspare anche un certo orgoglio di essere uno delle ostetriche più ricercate dell'ospedale, molto amato dalle donne incinte dei corsi di preparazione al parto e dalle neomamme che segue nell'assistenza domiciliare nelle prime settimane di vita del/della bambino/bambina.

«Il segreto -conclude- è nel capire che l'arte dell'ostetrica non è legata alla sessualità, ma è fatta di dolcezza, protezione, competenze, capacità di ispirare fiducia e di sapersi immedesimare nella donna che sta partorendo, anche se non hai mai provato in prima persona i dolori mestruali, la penetrazione vaginale o la spinta».

E credo proprio che ogni ulteriore commento sarebbe pleonastico.

Pubblicato il: 05/11/2007

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