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Caso Achilli. Il medico di parte: 'è stato suicidio'

Il dottor Walter Patumi ha sostanzialmente condiviso la perizia redatta all'epoca dal professor Bacci, ma avrebbe anche dato atto della superficialità e dell'insufficienza della prima ricognizione cadaverica, oltre che dei buchi dell'inchiesta

di Stefania Tomba

ORVIETO - Roberto sarebbe morto nelle prime ore del mattino (10 - 12 ore prima del ritrovamento) gettandosi dal parapetto della Confaloniera di sua volontà per l'assenza di lesioni da difesa o compressione. Sarebbe spirato subito dopo per le lesioni alle vertebre riportate e il suo corpo avrebbe rotolato per 15 metri (di cui 8 in piano) dal punto d'impatto. Queste le conclusioni cui è giunto il medico di parte, consulente della difesa, ascoltato ieri mattina in aula presso il tribunale dei minori di Perugia all'ultima udienza sul caso Achilli. Il dottor Patumi ha sostanzialmente condiviso la perizia redatta all'epoca dal professor Bacci che riteneva compatibile il suicidio, ma avrebbe anche dato atto della superficialità e dell'insufficienza della prima ricognizione cadaverica, oltre che dei buchi dell'inchiesta.  

Ancora una volta nel processo che dovrà condannare o assolvere dall'accusa di omicidio volontario i due 22enni orvietani che il pomeriggio del 14 novembre 2000 trovarono il corpo senza vita di Roberto Achilli, balza in primo piano, più che il coinvolgimento o meno dei due imputati, il mistero, che tale sembra destinato a restare della morte del giovane. Suicidio, omicidio o disgrazia? E in questo caso con il coinvolgimento di qualcuno oppure no? Le carte, e forse neanche il processo, sembrano in grado di dire l'ultima. 

Ne resta convinta l'avvocato Laura Modena, della parte offesa, che non smette di evidenziare il difetto investigativo iniziale dell'inchiesta, sulla base del quale "è molto probabile - dice - a meno che non venga fuori una prova eclatante, che la verità non la sapremo mai".  Un corpo che rotola in piano per otto metri, un corpo che dopo 12 ore dalla morte non ha ecchimosi cadaveriche molto sviluppate (per la parte offesa Roberto sarebbe morto intorno all'ora di pranzo) e poi, se qualcuno avesse preso il ragazzo di peso e l'avesse buttato giù dalla Rupe, quali segni di difesa si sarebbero potuti trovare? E poi ancora, i pantaloni slacciati di Roberto. La parte offesa s'interroga, il medico di parte li indica come uno dei tanti gesti rituali che possono riscontrarsi nei suicidi (come togliersi l'orologio o le scarpe). Insomma, ancora una volta, sembra vero tutto e il suo contrario.

"Non ci sono prove a carico dei ragazzi - dice il legale Pietro Giovannini che li difende insieme all'avvocato Orietta Bruno -  e la loro versione, d'altro canto, non fa una piega, anche dal punto di vista degli orari, i tabulati telefonici peraltro confermano una chiamata al 112 della durata di un minuto all'avvistamento del corpo. Il fatto che poi questa telefonata non sia stata registrata sui verbali dei carabinieri potrebbe essere stata una dimenticanza. Non credo che, allo stato degli atti, - conclude - ci sia un giudice in grado di pronunciarsi contro i nostri assistiti".  

L'istruttoria, con l'udienza di ieri, è stata chiusa. Per il 28 novembre è attesa ora la sentenza. A quel punto potrebbero accadere due cose. Anzi tre. Il collegio potrebbe condannare gli imputati o potrebbe assolverli. Nel caso di un'assoluzione "perché il fatto non sussiste", i giudici avallerebbero la tesi sucidiaria e il caso sarebbe, per l'ennesima volta, chiuso. Ma qualora dovesse arrivare un'assoluzione per prove contraddittorie o insufficienti che non riconducano direttamente agli imputati, le indagini resterebbero aperte. In cerca di una verità che, a distanza di 7 anni, sembra destinata a suscitare ancora molti interrogativi.   

Pubblicato il: 20/10/2007

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