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I cinesi invisibili di Fabro

Anche Orvieto si scopre terra di lavoro nero, dice Maria Rita Paggio in una nota della CGIL. Ma anche di indifferenza e disattenzione

"Anche Orvieto si scopre terra di lavoro nero", dice Maria Rita Paggio in un suo intervento sulla scoperta dei cinesi che lavoravano in condizioni di schiavitù in un capannone di Fabro. Fabro, un paese ridente dell'Orvietano, dove però all'interno di una piccola zona industriale era possibile far lavorare e nascondere diciassette persone senza che nessuno se ne accorgesse.

Questo non è soltanto il dramma del lavoro nero e dello sfruttamento, ma anche quello di una disattenzione, di indifferenza, di sviste che credevamo impossibili in una zona dove tutti conoscono tutti, gente, lavoratori, imprenditori.

Segue la comunicazione di Maria Rita Paggio della Camera del lavoro di Orvieto.

"Anche Orvieto si scopre terra di lavoro nero e di condizioni di vita e di lavoro così pesanti che parlare di schiavitù non è forze esagerato; la notizia del blitz della Guardia di Finanza in un capannone a Fabro lascia sgomenti, in fondo ci sentiamo, pur fra i mille problemi, un isola felice almeno rispetto ai mali tipici delle grandi aree metropolitane e invece scopriamo che anche nel nostro territorio c'è un sentimento  insicurezza trasversale che riguarda tutti, donne e uomini, giovani e anziani ed è la cronaca sempre più spesso a riportarci alla dura realtà.

Una realtà che ci parla di droga e tossicodipendenza, di furti e aggressioni non più occasionali, di lavoro precario e bassi salari, di tanti incidenti nei luoghi di lavoro, di un sistema produttivo frammentato e poco competitivo ma anche di un territorio ricco di risorse ambientali, storico-artistiche e culturali come pochi, dove molti scelgono di venire a vivere,  di un patrimonio di competenze ampio e qualificato, di settori dell'economia che puntano sull'eccellenza, almeno produttiva.

Dopo la crisi e la chiusura della Azienda M.C.O., (storica azienda industriale del settore tessile più nota  come ex Mabro ed ex Lanerossi) forte è stato il timore delle lavoratrici, delle O.O.S.S. e delle Istituzioni che questa dismissione coincidesse con la fine di un pezzo fondamentale del nostro piccolo comparto manifatturiero territoriale, che aveva continuamente perso pezzi sotto il peso della concorrenza negli anni '90, ed invece, a partire dalla presenza di un bacino di 80 lavoratrici con alta professionalità, due ditte hanno deciso di reinvestire nel settore puntando sulla  produzioni di capi di alta e altissima qualità.

Una scelta importante che va sostenuta e accompagnata favorendo la costruzione di una filiera del tessile di qualità; un concetto di qualità che va declinato non solo nel prodotto ma anche nella qualità dei servizi offerti alle imprese e soprattutto nella qualità del lavoro.

E' su questo concetto di qualità globale che dovremmo misurarci tutti, imprese, istituzioni, O.O.S.S. e forze politiche per offrire, nei fatti, ai cittadini del nostro territorio condizioni di vita e di lavoro migliori e per respingere con l'agire concreto quei fenomeni di allarme sociale e di inciviltà che rischiano di farci partecipare ai processi di globalizzazione nel modo peggiore.

La CGIL ha lanciato nel  2006 la campagna nazionale "Il Rosso contro il Nero" , una campagna di contrasto al lavoro nero, irregolare e sommerso partendo dall'assunto che il lavoro nero priva milioni di uomini e donne dei loro diritti fondamentali,  rende più insicura e precaria la vita dei lavoratori, italiani e stranieri ed è la negazione di ogni idea di sviluppo, di qualità, di democrazia, di uguaglianza reale.

Insieme a Cisl e Uil  è stata presentata una piattaforma unitaria in 10 punti, nella quale si definisce come strategica una politica di premialità e di sviluppo, con meccanismi di valorizzazione degli elementi di qualità del sistema produttivo e con sistemi di sostegno per quelle imprese che decidano di emergere e - nel medio periodo - qualificare la propria produzione. Al contempo si ritiene fondamentale un'opera di maggiore controllo e repressione per chi intende permanere in uno stato di illegalità.

Gli interventi previsti in finanziaria e la redazione del nuovo Testo Unico in materia di lavoro tutt'ora in corso, l'aumento del personale dei servizi ispettivi sono strumenti importanti ma non sufficienti, cosi importanti sono gli accordi regionali sul Durc e provinciale sugli Appalti recentemente siglati ,ma è necessario innanzitutto un clima nuovo di consapevolezza diffusa, una mobilitazione sociale che non solo esprima indignazione, che pure sarebbe utile e necessaria, di fronte a fatti come quello dei cinesi chiusi a vivere e lavorare nel capannone di Fabro, ma che sia in grado di respingere ogni forma di sfruttamento e di segregazione sociale .

Se vogliamo veramente guardare ad un futuro delle opportunità e alla difesa dei diritti fondamentali della persona umana non dobbiamo mettere la testa sotto la sabbia o limitarci a leggere le statistiche ufficiali e lasciare che si creino due società parallele, come purtroppo esistono in tante parti del nostro paese; oggi qui non è ancora così , dobbiamo impedire che succeda!

Anche recentemente la Flai CGIL ha denunciato per bocca del suo segratario generale Antonio Mattioli le condizioni disumane in cui vivono i lavoratori, immigrati regolari, impiegati nella Serre di San Nicola di Varco; con il loro lavoro  producono prodotti di qualità per la catena del fresco ma certo di qualità non sono le loro condizioni di vita!

Dobbiamo agire concretamente perché una terra di tradizioni civili e di solidarietà come la nostra non  possa essere terreno di conquista per chi pensa di fare impresa in questo modo, è necessario favorire  quelle imprese piccole o grandi che accettano il confronto con le parti sociali, che non disincentivano la rappresentanza sindacale dei propri dipendenti, che non vedono nel sindacato un nemico ma una controparte, magari esigente ma mai disfattista, perché è chiaro che un impresa efficiente e competitiva è anche un interesse dei lavoratori.

Lo abbiamo chiesto come CGIL, CISL e UIL alle Istituzioni per quanto attiene a quel livello decisionale,  ma lo chiediamo agli imprenditori; è urgente aprire un confronto, magari difficile, ma necessario di contrattazione territoriale con le imprese per far emergere e favorire la regolarizzazione del lavoro nero o irregolare ma anche per contribuire a costruire insieme il futuro economico e sociale di questo territorio".

 

 

Pubblicato il: 22/05/2007

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