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Giù le mani dal vecchio ospedale

L'ipotesi che la Regione venda l'ex ospedale, di sua proprietà, a qualche catena alberghiera è nell'aria.  Il Centro studi perderebbe la sua sede e gli orvietani un area che considerano loro

foto di copertina

di Dante Freddi

L'ipotesi che la Regione venda l'ex ospedale, di sua proprietà, a qualche catena alberghiera è nell'aria da dieci anni, ma ora è sempre più presente nei discorsi che si colgono nei diversi ambienti politici cittadini.
Insieme alla ineluttabilità di una scelta che spetta soltanto alla Regione, in questi discorsi "vaganti" è offerto anche  il colpevole, Stefano Cimicchi, in quanto il piano regolatore del centro storico approvato ai suoi tempi prevede che in quell'area possa essere costruita una struttura ricettiva, come d'altra parte in altri complessi cittadini che abbiano le caratteristiche necessarie. Allora fu compiuto l'errore di non tirare fuori l'ex ospedale da questa eventualità ed ora se ne pagano le conseguenze.


Nel mirino di affaristi cittadini c'era una volta l'ex convento in piazza Febei, sede storica di "Ragioneria". Ma Cimicchi stoppò l'operazione e lì è stata costruita la nuova biblioteca comunale.
Ora il progetto ritorna, perché la ex Piave evidentemente risulta meno appetibile.
La Regione d'altra parte è lontana e non sente il significato reale di una simile scelta.
Quel luogo è tutt'altra cosa rispetto alla ex caserma, dove nessuno avrebbe da eccepire se la palazzina comando fosse venduta ad una catena alberghiera..

La caserma Piave era al di là della città ed è stata conquistata soltanto da pochi anni. Su quell'immobile c'è disponibilità a ragionare con freddezza mercantile, ma non sull'ospedale, quello è nostro, è sulla piazza del Duomo, è vissuto da giovani e traspira speranza, ha un futuro che dà lietezza.
Una sua cessione lo farebbe perdere alla fruizione della città. Significherebbe anche segnare la fine dell'esperienza del Centro studi, perché i fondi per costruire una sede diversa non ci sono e pensare alla Piave come possibile sede universitaria serve soltanto a procrastinare il certificato di morte di questa fondamentale esperienza culturale ed economica.

Pubblicato il: 15/05/2007

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