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Luigi Barzini. Note biografiche

Approfondimento

Luigi Barzini


Il Tempo delle favole

(...) Luigi Barzini è nato ad Orvieto e precisamente il 7 febbraio 1874, da padre e madre orvietani: Ettore, sarto mercante e Maria Bartoccini, donna di casa, come ci dicono i registri di stato cvile.
Nacque in una casa di via SS. Apostoli, forse in casa Felici, ma aveva pochi anni quando la famiglia si trasferì in una graziosissima casetta rustica del nostro giardino comunale del quale il padre aveva la concessione e dove visse per parecchi anni: una quindicina circa. Quei verdi prati, quei viali, furono il campo dei giuochi di Luigi ragazzo, al quale partecipava un bel grosso cane: Orfeo, terrore degli estranei, affettuosissimo con lui. D'estate, uno dei divertimenti preferiti del Nostro, era la doccia: la più naturale delle docce!
Sul soffice tappeto erboso dei prati, in semplici mutandine, si faceva scaraventare addosso il potentissimo getto diacciato del tubo che serviva per l'innaffiamento del giardino.
Di figura slanciata, armonica, Luigi Barzini ereditò dal padre, oltreché quella viva intelligenza di cui ha dato poi larga prova, un'eleganza innata, una grande distinzione di modi, un fare, diremo così aristocratico.
Emulo di Stecchetti ed Oriani nell'entusiasmo per il nuovo veicolo apparso di recente, si cimentò tra i primi con quei famosi altissimi bicicli che un po' più di trent'anni fa precedettero le attuali biciclette; le cadute furono innumerevoli e non sempre senza conseguenze, ma Gigetto (così lo chiamavano tutti) impavido risaliva e via. Più tardi una sua vera passione sarà il mare specialmente percorso a vela.

(Angelo Della Massea, "Luigi Barzini")

Luigi Barzini


Sartorie e duelli

(...) Luigi frequentava l'ultimo corso, quando venne a morirgli il Babbo. Giunta l'epoca degli esami si trattava di tornare a Perugia per conquistare quel titolo di Ragioniere, da lui per nulla ambito e così, in contrasto con le sue attitudini, con la sua inclinazione. (Chi può pensare ad un Rag. Luigi Barzini? ... ). Partì, ma per una fatale distrazione prese il treno per Roma invece che per Perugia! ... e per caso (quando si dice la fatalità!) si ritrovò con una formosa amica concittadina! cosa fare? non c'era che adattarsi e prendersi quell'esaminatrice che il «caso» gli aveva mandata! E così naufragarono, per sua grande fortuna, gli studi di ragioneria.
Con una versatilità incredibile, tornato in Orvieto, si diede, nientemeno, a continuare il lavoro che aveva il suo povero babbo, come capo sarto di quel Distretto Militare. E se la cavava egregiamente, tanto che l'ispezione di un Generale nulla trovò a ridire, anzi gli fece degli elogi. Ma i regolamenti sono i regolamenti e non ammettono che possa coprire il posto di capo sarto chi non è sarto. Perciò (e, con buona pace di Luigi, ne sia data alle Autorità Militari di allora la più ampia lode) il posto venne dato ad altri. Non crediate mica che Luigi Barzini si rassegnasse tanto facilmente a non essere capo sarto! tutt'altro! Anzi scopro che polemizzò ardentemente e punse molto e molti con quella penna ch'era già maestra.
Tali sfoghi, Luigi, li faceva pubblicamente inviando lettere a «Saracino» pseudonimo del Prof. Pagliari, direttore del settimanale orvietano «La Torre del Moro».
In data 15 gennaio 1898, il Nostro, scrive al «Saracino»:
«Dunque tu saprai che io fino alla mezzanotte del 31 dicembre 1897 ho occupato il posto di capo-sarto presso questo Distretto Militare ... » (Pensate: Barzini capo sarto!). E prosegue a protestare dicendo che era tutta una camorra organizzata contro di lui, e contro la memoria di suo padre che aveva tenuto quel posto per venti anni, inventando, fra l'altro, un antropodiametro speciale adottato in tutti i Distretti del regno. Più si scaglia contro il Capitano relatore Tagliaferro del quale dice a proposito di un diverbio avuto con lui:
«Questi si trincerò dietro un grande riservo, e stretto dalle mie domande finì col dirmi soltanto questo: - Lei non è un sarto. -
Non sono un sarto! Esclamai con la più alta meraviglia - E allora scusi, cosa sono?
- Lei è un giovanotto qui d'Orvieto».
Siamo giusti, lettore mio, con buona pace di Luigi, come abbiamo detto più sopra, non ti pare che il Capitano avesse ragione?!...

Tuttavia, in quel tempo «Li da quella specie di cattedra di maldicenza che è il primo tavolo a destra del Caffè Martini», il più importante Caffè del paese, si fece sul licenziamento del sarto Luigi Barzini gran scalpore, e trecentododici lavoranti del Distretto inviarono a lui una lettera di affettuosissimo commiato e di vivo e profondo rammarico per il licenziamento.
Noi da buoni orvietani, benediciamo invece la memoria del povero Benedetto Burli che gli fece lo sgambetto e accaparrò il posto.
Ma già un'altra asprissima polemica aveva sostenuta nel 1895, con fogli volanti, contro un suo amico, Alberto Buccelli, poi avvocato e giudice, il quale ebbe la melanconica idea di proporre l'abolizione delle corse dei cavalli nell'Anfiteatro Comunale, corse che costituivano un cespite della famiglia Barzini la quale ne aveva l'impresa.
Punto dalle invettive e dal sarcasmo del Barzini, il Buccelli rispondeva:
«Nè trattamento diverso (ridergli in faccia), credo possa meritare un ragazzo che senza essersi ancora potuto districare dalle benedette pastoie delle scuole e dei professori, non si perita, pure avendone tanto bisogno per sè, a dar lezioni di grammatica, di rettorica e di educazione...».
«Del resto questo signore accetti un mio consiglio che gli gioverà:
Per mettersi in evidenza e sputar sentenze attenda almeno di aver conseguito quel diploma (ragioniere?) invano agognato per otto lunghi anni da che sta scaldando le povere panche degli Istituti Tecnici di Roma e di Perugia».
A questo articolo il Barzini rispose con un altro violentissimo, fino a dire al Buccellí che «il suo fegato era appena adatto per farne pasticcini di Strasburgo».
Si finì inevitabilmente in un duello. Per dare delle lezioni a Luigi Barzini, che di scherma era quasi digiuno, venne ad Orvieto il Maestro Greco. Le lezioni avevano luogo in una grande sala della casa Cozza dove appunto abitava allora il Nostro.
Alto, snello, con le gambe lunghe lunghe, che gli permettevano spaccate fenomenali, di un'elasticità soprendente, Barzini, apprese con rapidità quanto gli era indispensabile per affrontare il piccolo e grassottello avversario.
E dal Maestro imparò un colpo speciale, che gli riuscì magnificamente sul terreno; tanto bene che se il Buccelli davanti a quell'ira di Dio istintivamente non si fosse un pò ritratto, la cosa sarebbe finita con ogni probabilità tragicamente.
Se la cavò, invece, con qualche leggera scalfittura al collo ed al petto e tutto finì nel migliore dei modi: riconciliazione e champagne!
Questi vivaci intermezzi poterono per qualche tempo attenuare la monotonia di quella sua vita nella piccola città di provincia, dove, è naturale, che un Luigi Barzini si sentisse come soffocare.
Quando non poteva fare altro, sfogava il suo estro con le caricature (lo sanno i marmi dei tavoli del rammentato Caffè Martini!), con i frizzi pungenti verso certi «parrucconi» che mal sopportavano le vivacità dei suoi atti e dei suoi scritti. E non risparmiava neanche il suo «tutore»; una volta che questi lo aveva invitato a «misurare» le parole, ricevette una lettera... in versi, spassosissima: c'era il «metro» e c'era... il resto!
Abbiamo scritto a sommo di questo capitolo, anche la parola «amori»; in verità molto si potrebbe dire e potrebbero spuntar fuori aneddoti graziosissimi, ma... sarà meglio tacere e limitarci a dire che vari amorazzi passeggiarono per il cuore di Luigi e fortuna non gli mancò anche in avventure addirittura boccaccesche.
(Angelo Della Massea, Luigi Barzini)

Pubblicato il: 17/05/2003

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