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Dall'Europa economica a quella politica: il ruolo dei saperi e delle armi

Il ministro Rocco Buttiglione a Viterbo ha parlato di una Ue al bivio. Senza una politica comune a rischio anche il benessere

Cronaca

«Non ci può essere Europa senza il popolo europeo».

Lunedì 5 maggio il ministro per le Politiche comunitarie RoccoBottiglione, a Viterbo, nell'aula magna del rettorato dell'università degli studi della Tuscia, ha spiegato come l'Europa da entità economica potrà (dovrà) trasformarsi in unità politica. L'occasione gli viene data dall'incontro-dibattito "L'Unione europea al bivio: dall'Europa economica a quella politica", organizzato dal centro culturale Il Lazzaretto, in collaborazione con l'università della Tuscia e patrocinata da Comune e Provincia di Viterbo.

«Gli atenei sono il punto di partenza per la costruzione dell'Europa politica - ha detto Buttiglione -. Infatti, senza una presa di coscienza (autonoma) della medesima appartenenza ad una cultura europea (nata da due pilastri fondamentali: l'insegnamento laico della cultura greco-latina di Socrate e quello religioso della cultura giudaico-cristiana di Gesù) i cittadini dell'Unione non potranno condividere un bene comune, appunto la cultura. Quindi non potranno essere definiti un popolo». Il ministro batte su un punto: se non nasce il demos europeo, cioè il popolo, non può esserci unione politica. Popolo significa un insieme di cittadini che decidono, con delle leggi da rispettare, di condividere un bene comune. Fino ad oggi non esiste un popolo europeo, ma un popolo italiano, uno francese, uno tedescoPer far nascere il demos continentale, secondo Buttiglione, l'Università (intesa come istituzione ma anche come centro dei saperi) dovrà svolgere un ruolo essenziale. «Compito che già è stato iniziato» - ha detto il rettore Marco Mancini - parlando degli scambi culturali tra gli studenti dell'ateneo laziale e quelli di molti Paesi europei nell'ambito del progetto Erasmus. A questo si è allacciato il ministro spiegando come lo studiare e il vivere in altre nazioni, rappresenta per i giovani un mezzo di conoscenza diretta di altri modi di intendere la società nel suo insieme. «Sono proprio queste esperienze - ha affermato Buttiglione - che cementano il senso di appartenenza ad una "casa" comune, quella europea». Inoltre, gli scambi con studenti stranieri dà l'opportunità a quelli italiani di apprendere una lingua nuova, sempre più utile per vivere e lavorare nell'Europa del futuro prossimo.

Il ministro ha poi evidenziato come, economicamente parlando, l'imminente allargamento dell'Ue ad altri dieci Paesi (nel maggio 2004 entreranno a far parte dell'Unione europea Polonia, Slovenia, Cechia, Slovacchia, Estonia, Lituania, Lettonia, Ungheria, Malta e Cipro) debba essere affrontato con una certa apprensione: «I Paesi dell'est, hanno delle competenze solide proprio in quei settori dove l'Italia ha i suoi punti di forza: nelle manifatture a basso contenuto tecnologico. Siccome, a parità di qualità, i bassi costi della manodopera sono una prerogativa di queste nazioni, le produzioni italiane ne soffriranno». La ricetta di Buttiglione è, quindi, sviluppare gli investimenti in ricerca «affinché i prodotti nostrani possano (almeno) mantenere le quote di mercato attuali», altrimenti saranno guai seri. Ed in quest'ottica - della ricerca - l'università deve metterci del suo. Naturalmente con l'aiuto del governo. «Al riguardo - ha promesso l'esponente dell'Udc - il ministro per l'Istruzione, l'università e la ricerca Letizia Moratti, sta predisponendo dei progetti per favorire i ricercatori italiani». Da qui al discorso sulla "fuga dei cervelli" il passo è stato breve. E il ministro Buttiglione ha snocciolato le cifre sul ritardo («grave») dell'Europa rispetto agli Stati Uniti: gli Usa investono in ricerca il 2,9% del loro prodotto interno lordo, contro meno del 2% della Germania e poco più dell'1% dell'Italia.

Dati che testimoniano - anche - perché l'America è la superpotenza mondiale e l'Ue sia solo, come dicono autorevoli commentatori, "un gigante economico" (ma la perdita di competitività derivante dai minori investimenti in ricerca e sviluppo potrebbe far rivedere al ribasso questo concetto) "e un nano politico". La definizione potrebbe ampliarsi con la "nullità dell'Europa dal punto di vista militare". Buttiglione questo non lo ha detto (lo ha solo sfiorato parlando di una maggiore attenzione alla sicurezza), ma legato indissolubilmente al concetto di unione politica sta il bisogno per l'Ue di dotarsi di un esercito. Solo così, infatti, il "nano politico" potrà crescere. E magari farsi sentire anche aldilà dell'Atlantico.

Perché se gli Usa sono la più grande potenza mondiale lo devono sì alla loro capacità di saper vendere di tutto (anche i prodotti non loro), lo devono sì alla loro capacità di far sognare (vedi Hollywood), lo devono sì alla loro lingua (l'inglese è l'esperanto del mondo moderno). Ma lo devono, innanzi tutto, alla loro strapotenza militare. Volenti o nolenti, gli europei (quando acquisiranno la consapevolezza di essere un popolo, il "popolo europeo") dovranno sottrarsi dalla abitudine di farsi difendere dalle forze armate statunitensi. E spendere parte dei loro "euro" e del loro benessere per un esercito comune. Senza difesa non si può avere una politica estera. Quindi non si può parlare di (vera) Unione europea.

Pubblicato il: 07/05/2003

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