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C'era una volta Pio Ilice

Fausto Cerulli

Un uomo venuto dal nulla, vissuto di nulla, e che ora siede alla destra del Padre. Non ? uomo che abbisogni di necrologio, Pio Ilice, ma semmai di necro-elogio.  Con quel nome poteva essere un Papa, ma sarebbe stato Pio Tredici, e il tredici non ? un numero allegro. Si ? accontentato di essere pio, di una sua religione senza chiesa, lui che era umile come un francescano, e sottile di ingegno come un domenicano. Pio, per quello che mi resta  in mente di lui, ? stato un uomo ricco di ironia e di autoironia. Ha giocato tutta la vita a fare il giullare di se stesso, il giullare di qualche suo Dio. Soltanto Pio poteva inventarsi un biglietto da visita lungo come una enciclopedia, contraddittorio e feroce, felice e cattivo. Molte leggende metropolitane si raccontano a proposito del suggeritore di quello storico biglietto da visita; e si pensa che sia stato qualcuno che voleva prenderlo in giro, approfittando di quella sua svagatezza che molti hanno preso per sprovvedutezza. Ma Pio ha superato il suggeritore, ha interiorizzato il suo biglietto da visita, ne ha fatto il suo programma di vita. E chi lo voleva deridere ? restato deriso. Pio ? stato uomo di pensosi silenzi, di scarse parole; ma il suo sguardo era pieno di cose viste, di cose da vedere, di cose da immaginare.

Aveva a suo modo uno strabismo di Venere: ma se lo guardavi attentamente, era come un cacciatore che socchiude un occhio per prendere bene la mira: ed io avevo molta soggezione di lui, del suo sguardo tenero e spietato; mi spiazzava quel suo non aver nulla da perdere e molto da dare. Ora lo so: lui pesava i suoi silenzi, li teneva come arma di offesa e di difesa. Il silenzio era il suo bozzolo e la sua corazza. Un uomo disarmante ? sempre un uomo molto armato; per togliere le armi bisogna usare le armi. E questo era Pio: apostolo del suo camminare senza sosta, del suo rendersi disponibile anche allo scherno di cui gli stolti lo facevano oggetto: lui che stolto non era, e che colpiva con il suo sguardo unico al mondo chi pensava di poterlo colpire.

Era pronto alle battaglie sindacali, senza bisogno di sindacato: come quella volta che gli dissi che doveva farsi pagare i contributi da Tittocchia, del Bar Centrale, a cui nottetempo potava le piante della terrazza del Bar; e lui mi rispose che sarebbe sceso in piazza, che avrebbe incrociato le minuscole braccia, che non si sarebbe fatto sfruttare. Oppure quando lavorava con Nazzareno, altro mito metropolitano, a raccogliere cartoni, avanguardisti delle discariche: e gli dissi che doveva fare un contratto con Nazzareno, e che doveva farsi pagare le ferie; visto che Nazzareno passava l?estate a Riccione, a fare il riccone a suo modo. E quando Nazzareno ? volato tra gli angeli, Pio lo ha pianto con quei suoi occhi che erano uno, e pieno di pietas.

Soltanto un artista sottile e fine politico come Paolo Aceto ha saputo comprendere a fondo le potenzialit? di Pio: e lo ha messo come numero due di una lista per le elezioni amministrative. Una lista che voleva essere una provocazione; e che nello schierare Pio raggiungeva il culmine e la perfezione della provocazione intelligente. Avrei dato non so che cosa per essere il numero tre di quella lista; ma allora conoscevo Paolo Aceto soltanto di nome e di fama, e non mi sentivo degno. Pio accett? quella scelta di Aceto come si accetta una missione; non ha fatto una capillare campagna elettorale; ha soltanto fatto ristampare in gran numero quel suo mitico biglietto da visita; ed ha fatto comizi silenziosi, seguendo la strategia del dico e non dico, anzi non dico: e se mi vuoi capire capiscimi. E lui che non aveva nulla da chiedere ha preso una ventina di voti; ma li ha presi tutti sinceri, pesati, affettuosi, convinti. Molti amministratori, se avessero dovuto farsi la campagna elettorale da soli, avrebbero preso soltanto il proprio voto e quello della moglie, e magari, ma non ? detto, quello dell?amante di turno.

Uomo di molte medaglie, di cui andava fiero: ogni medaglia una campagna vinta o persa, ma combattuta con l?ostinazione di chi combatte da solo: il Che Guevara senza macchia e senza paura di una citt? piena di macchie e di paura.

Ed ora ricordo le sue giacche incredibili; attillatissime e corte, a sottolineare un fisico non atletico, certo, ma asciutto. Giacche da guerra e di guerra; unte al punto giusto, ma non bisunte. L?abbigliamento di chi non ha molto da perdere a farsi bello; ma che ? bello in quella  sua divisa di un improbabile esercito di cui era generale e soldato semplice.

Un uomo venuto dal nulla; instancabile nel camminare senza m?ta verso una m?ta che lui solo sapeva. Ed anche adesso cammina, silenzioso e pensoso: in quelli che, in una canzone che sembra fatta per lui, sono i pascoli del cielo.

Pubblicato il: 15/06/2008

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