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Traffici orvietani ? prima puntata. Il traffico delle statue

cerco guai

Il traffico delle statue

Dopo la trionfale apertura dell?ex chiesa di Sant?Agostino con le statue degli Apostoli e l?Annunciazione di Mochi, dopo tutta la fatica fatta dal professor Della Fina, prima in seno all?Opera del Duomo per portare quei capolavori nel quartiere medievale, poi come assessore ai beni culturali e al turismo per rilanciare la zona di San Giovenale (e quella di Piazza Cahen), la notizia di ricollocare le statue in cattedrale arriva come una doccia fredda, per non dire come una sonora presa? diciamo? di posizione.

E tutti schierati su due fronti: o statue dentro o statue fuori, o con Sborra o con Riccetti, anche se sarebbe molto pi? orvietano dire ?o contro Riccetti o contro Sborra?. Naturalmente tutti pronti a sostenere il primato della propria tesi.

Parlandone con Marco Marino e con altri operatori del quartiere medievale, ci siamo trovati d?accordo sul fatto che ? addirittura controproducente schierarsi in questa diatriba, dato che entrambe le ipotesi hanno una loro validit?. Solidissime basi teoriche possono essere infatti schierate su ambo i fronti, sia per mantenere il Duomo al rigore a cui era stato riportato ormai un secolo fa e le statue in una degnissima sede museale (magari ricollocandole all?altezza per cui erano state scolpite e non per terra, cos? da ammirarne l?imponenza pi? che le sproporzioni dovute ad un errato punto di vista), sia per ricontestualizzare le opere d?arte nel loro ambiente originario (che per? ? totalmente diverso dal trionfo di stucchi e altari barocchi per cui erano state realizzate, tanto che la loro ricollocazione creerebbe in ogni caso un ibrido).

Non sarebbe pi? logico, allora, riportare il gruppo della maest? sopra la porta centrale della facciata, dato che anche l? ricontestualizzeremmo un?opera decontestualizzata, rialloggiandola, per?, in un ambito che non ha affatto subito stravolgimenti dal progetto originario?

Vabbeh, diranno molti, ma gli Apostoli tornano in Duomo per merito della parola magica di questi ultimi mesi: la PARTECIPAZIONE, che non ho ben capito cosa sia di preciso, ma il cui nome mi evoca sempre una fregatura latente. Quando ero bambino, infatti, e arrivava a casa una partecipazione, voleva dire che dovevamo fare un regalo agli sposi che valesse almeno il doppio delle somme delle tariffe del banchetto nuziale a cui, tirati a lucido e con un leggero retrogusto di naftalina, avremmo, di l? a poco, preso parte. E ancora adesso, quando sento quella parola, mi raggelo un attimo, dato che la partecipazione ? s? un atto di concertazione, ma non certo di democrazia, dato che i dettagli della cerimonia e del ricevimento sono concertati, seppure a seguito di lunghi e snervanti tira e molla, dagli sposi e dalle loro famiglie, mentre agli invitati resta solo la democratica scelta del regalo, da selezionare, possibilmente, all?interno di una opportuna lista sempre stilata da chi la partecipazione l?ha spedita. Potrei provare a risolvere questo mio personalissimo problema con qualche seduta di psicanalisi, ma l?idea di pagare qualcuno per farsi i cavoli miei, quando ho sempre cercato di farmeli gratis, mi suona davvero male. Comunque vedremo?

Quello che invece viene sinceramente (e seriamente) da chiedersi ? se sia davvero necessario ammassare tutto in Piazza del Duomo, rinunciando a diffondere il patrimonio del museo della cattedrale anche nel resto della citt?. La risposta potrebbe venire anche semplicemente andando al supermercato, e riflettere tre secondi e mezzo sul perch? il bancone del pane stia sempre sul lato opposto dell?ingresso?

Cos? facendo, poi, il nuovo museo rinuncia in un colpo solo a una dozzina di capolavori di sicuro richiamo, compreso il gruppo dell?Annunciazione, universalmente considerato come il primo esempio di scultura barocca italiana.

E pensare che si stava addirittura studiando un percorso che collegasse Sant?Agostino con San Giovenale, passando per l?area del poco fortunato progetto local-vip del ?Giardino delle Peonie?, per risalire davanti all?ingresso principale della pi? orvietana delle chiese medievali.

E pensare che speravamo addirittura che ci avrebbero riportato Papa Fico, ovvero la statua di Bonifacio VIII che, dal medioevo fino a otto anni fa, sedeva solenne nella nicchia sopra Porta Maggiore. Ora anche lei, capocciona e sproporzionata come gli Apostoli, sebbene molto pi? antica, alloggia, accanto alla sorella decapitata di Porta Rocca, nella chiesa di San Francesco, naturalmente a due passi dal Duomo. Ricollocarle entrambe nelle loro sedi originarie sarebbe un atto non solo dovuto, ma anche politicamente corretto per la par condicio geografica: un papa ad est e uno ad ovest, uno a destra e uno a sinistra, che manco a falle co? le mano verrebbero bene cos? le faccenne.

E se i due papi dovessero dar fastidio a chi non vuole statue di religiosi all?aria aperta, possiamo ricordare a questi solerti signori che Bonifacio VIII fu l?unico personaggio che Dante mise nel suo inferno sebbene fosse ancora in vita al momento di stilare la Divina Commedia. Sarebbe quindi il monumento, didascalico e didattico, al papa idolatra e simoniaco, al papa che prese da Sciarra Colonna lo schiaffo di Anagni, al papa stronzo per eccellenza, e ognuno potrebbe vederci ci? che vuole, il ?santo padre? o il ?nobile prepotente?, un modello da imitare o un solenne ammonimento a ricordo di quando Orvieto viveva in una situazione di regime.

La due antiche statue furono tolte per essere restaurate ed esposte nel mitico anno 2000 ad una mostra sui Giubilei a Roma, dato che Bonifacio VIII, oltre ad essere stato sia il capitano del popolo che il podest? di Orvieto, ebbe anche la non piccola intuizione di inventare il primo Giubileo della Cristianit?, nel 1300. E tutti fummo felici di contribuire a rendere belli i giubilei altrui invece di provare a far bello il nostro. Vabbeh, acqua passata non macina pi?!

Resta solo sto gran traffico di statue verso il centro, con tanto di partecipazione. Ma i confetti?

 

Pubblicato il: 26/11/2007

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