Archivio Orvietosi Archivio anni 2002-2012: CORSIVI
NOTIZIE CORSIVI

Sergio Ercini, il politico, lo scrittore, la morte. L?amico

Fausto Cerulli

Sergio Ercini, il politico, lo scrittore, la morte. L?amico.

L?ultima volta che ho parlato con Sergio Ercini ? stato in occasione della presentazione del suo particolarissimo libro su un oscuro poeta italo slavo. ?Il poeta la morte e il giovane? ( Edizioni Thirus.) Non avevo potuto partecipare alla presentazione e lo avevo chiamato al telefono per scusarmi. In quella occasione gli promisi una breve recensione di quel libro, Gli avevo promesso che avrei scritto una mia modesta recensione a quel libro, da queste colonne on linet. Poi i giorni sono trascorsi, lunghi ed inutili. Sono stato sconvolto dalla tragica fine di una mia amica, i miei pensieri ne sono stati occupati e coinvolti. Ora apprendo della morte di Sergio. Ne vengo a conoscenza con il solito ritardo di chi vive a Porano.

Ora mi trovo dunque a parlare nello stesso tempo della morte e della vita di Sergio, e della

sua coraggiosa opera letteraria.

Con Sergio ci conoscevamo da molto tempo: da quando lui era l?astro nascente della

politica orvietana ed io ero, come sempre, il rivoluzionario inconcludente. Ci stimavamo a vicenda, con la stima che travalica le posizioni politiche, anche se ? intrisa di politica nel senso buono della parola.. Mi rimane in mente quella volta che volle che lo accompagnassi in una delle tante sedi della dc romana, una sede con pretese di promozione culturale, una specie di universit? per giovani democristiani. Una sede piena di grandi sale in stile vetro metallo, forse dalla parti dell? Eur. In quella sede  lui si muoveva a suo agio, con il suo sorriso cordiale ed ironico insieme: tutti lo salutavano con deferenza- all?epoca credo che fosse un big della corrente forlaniana,  addirittura il delfino di Forlani-  lui rispondeva ai saluti senza nessuna supponenza, gli piaceva sentirsi riverito ma conosceva i suoi reverenti. Poi ci appartammo nel suo ufficio, e lui ebbe modo di ironizzare su quella atmosfera un po? falsa, di parlarne con distacco saggio, con la coscienza di muoversi in un nido di serpi. Aveva notato il tipo di sguardo che mi era stato riservato dagli adeptii, uno sguardo stupito e diffidente: che cosa aveva a che fare con Sergio, molto elegante in giacca e cravatta, potente forse e disinvolto sicuramente,  un tipo come me, con i capelli disordinati, la barba incolta, un modo di vestire poco consono a quell?ambiente . Ma Sergio anche in questo doveva esser contento di aver stupito i suoi amici, come si chiamavano allora tra loro i democristiani, per distinguersi dai compagni e dai camerati.

A Sergio piaceva flirtare con la sinistra; era tutto fuorch? un anticomunista di ferro.

Del resto la sua prima formazione politica si era sviluppata in un ambiente come quello di

Orvieto, in cui sarebbe stato assurdo non fare i conti con la predominante presenza

comunista, egemonica in tutto meno che a livello culturale. Di cultura Sergio ne aveva da vendere; era uomo di ampie e raffinate letture: ci incontravamo qualche volta nella sua casa dinanzi all? Istituto d?Arte. L? si era ricavato una specie di salotto cultuale, ricordo le riviste sparse sulle sedie, i libri poco in ordine come accade quando sono spesso consultati. Sergio passava per uno snob; per via che frequentava persone in odore di comunismo, come me e Giorgio Spagnolo, per via della sua erre moscia che non so se fosse vera

o voluta, e poco me ne importa. Ora so che la sua fama di snob era stata costruita dai suoi molti avversari politici, dentro e fuori del suo partito: che malamente tolleravano il suo essere migliore di loro. Magari ammanicato, ma certo colto, capace di dominare

la lingua italiana ? cosa rara sempre nei politici, fornito di una vasta vis dialettica. Tutte qualit? che si scontravano con la sostanziale rozzezza dei politicanti orvietani. Sfoglio a caso pagine del suo libro, Sergio indugia.sulla formazione culturale di Lenin, ne ricorda il combattuto amore per Dostoievsjy si pone il problema del dramma che portava un rivoluzionario di professione ad amare la letteratura e nello stesso tempo a  doverla rifiutare. Nelle pagine del suo libro ricorrono spesso, quando analizza acutamente la figura del poeta affascinato da D?Annunzio e nello stesso tempo contrario alle indecisioni del Vate, ai suoi frequenti ammiccamenti ed indugi, ai suoi compromessi che volevano essere tattici e rispondevamo invece ad una precisa pretesa di protagonismo: dalle pagine di questo libro, scritto mentre la morte, evocata nel titolo, si avvicinava ad un Sergio pi? o meno conscio di quell?avvicinarsi, si riaffaccia l?immagine vera di Sergio, quella che ho pi? amata.

Sergio che scrive un libro difficile, che sa che quel libro non avr? mai successo di pubblico. Eppure si appassiona al suo personaggio, ne scruta l? ambiente e le sfumature. Compie insieme un lavoro erudito ed appassionato: le moltissime note che accompagnano il testo

stanno l? a dire di uno scrupolo senza erudizione, di un appassionarsi al personaggio e scavarlo fino in fondo. Una scrittura apparentemente asettica, un vedere il giovane poeta nei suoi slanci ma anche nelle sue sconfitte. Forse nulla di autobiografico, forse molto,

E? di questo che avrei voluto parare con Sergio, se il tempo ci avesse lasciato il tempo.

Ma il suo tempo stava per scadere e lui lo sapeva; lo sapeva da quando si era ritirato alla Torretta, e veniva a comperare i giornali a Porano, e parlavamo a lungo, di politica, da cui si stava staccando, e della sua malattia, che lo rendeva cupo. Si sentiva vittima di un complotto, ma ne parlava senza rancore. Ci dicevamo sempre che ci saremmo rivisti.

Mi resta la memoria di un amico intelligente e garbato, e mi resta il suo libro, che ? un libro difficile ed affascinante.

In una intervista dopo la la pubblicazione del libro, aveva dichiaro, tra l?altro, che o che lo aveva scritto perch? era affascinato dalla cultura triestina, quella di Nievo prima e di Svevo dopo, per intenderci. Un? altra provocazione di Sergio, che si era voluto distaccare dal pericolo di passare per dannunziano- fiumano, anche se il poeta protagonista, un  poeta pressoch? sconosciuto ma veramente vissuto, Leon Koknitzisky, si era agitato in quella

temperie poliitica e culturale, ma con sue idee e con sua martoriata sensibilit?.

I temi di Sergio  erano appunto il poeta, senza etichette, la morte come certezza con certezza cristiana, la giovent? come memoria e come stile di vita

Mi accorgo adesso che avrei avuto molte cose da chiedere a Sergio, su di lui, su di noi, su come eravamo e su come siamo, segnati dal tempo e  dai disincanti.

Forse trover? in quelle pagine il suo testamento spirituale.  Perch? la morte, ogni morte, ? l?interruzione di un dialogo. Ma voglio continuare a dialogare con Sergio dalle pagine, complesse e insieme liberate, del suo libro, libro scritto quasi  forse in articolo mortis e insieme per scacciare la morte.

Pubblicato il: 31/07/2007

Torna ai corsivi...