Archivio Orvietosi Archivio anni 2002-2012: CORSIVI
NOTIZIE CORSIVI

Benvenuti nella citt? silente!

Bruna Iacopino

Diceva Sciascia: ?Il nostro ? un paese senza memoria??. E aveva ragione.

Probabilmente, il nostro ? anche un paese in cui la disaffezione alla politica e la disgregazione sociale stanno prendendo piede in maniera sempre pi? forte e, quasi irreversibile.

Prendo spunto dalla sensibile riflessione di Fausto Cerulli per lanciare un?altra ?pietra nello stagno? sperando che le sue onde, alla fine, riescano a lambire gli argini.

E? vero, la disaffezione alla politica ? un dato inequivocabile: dal piccolo centro ad una dimensione allargata al panorama nazionale, il divario tra il mondo reale, la cittadinanza, e i ceti politici si allarga sempre di pi?. ? una crisi della rappresentativit? che, probabilmente, rimarca ancora una volta il particolare periodo che stiamo vivendo. Sono questi, a mio avviso (e non solo) anni di transizione. Il crollo delle ideologie, quelle che avevano segnato prepotentemente lo scorso secolo, ci ha portati direttamente a questa sorta di limbo all?interno del quale tutto appare offuscato e rarefatto, pochi e labili i punti di riferimento, tanta la precariet?. E quando parlo di precariet?, non intendo solo la precariet? del lavoro, mi riferisco, in generale ad una precariet? dell?esistenza, degli affetti, delle relazioni sociali e che investe, in primis, chi ancora, una vita se la deve costruire per intero. Strutture che fungevano da ammortizzatori sociali, quali potevano essere la famiglia, le comunit? religiose, i partiti politici hanno progressivamente perso il loro ruolo centrale a causa dell?incedere dei ritmi di un mondo che procede troppo in fretta e spinge sempre pi? verso l?isolamento. La comunicazione e la condivisione vengono relegate a spazi sempre pi? ristretti e a volte vuoti di contenuti reali.

Non sono d?accordo con Cerulli quando dice che in questa citt? i luoghi di aggregazione esistono, e anche tanti? non si pu? parlare di aggregazione facendo riferimento a 50-60 persone che si trovano insieme all?interno, o anche all?esterno (!), di un locale, la sera, oppure che si riversano il fine settimana per le strade principali di Orvieto. L?aggregazione implica necessariamente la condivisione di interessi comuni e la creazione successiva di spazi diversi in cui non ? l?alcol a farla da filo conduttore ma la reale capacit? di una dialettica costruttiva che sia funzionale alla crescita individuale e, conseguentemente collettiva.

Questi spazi, a Orvieto, non esistono, e, se anche esistono sono ristretti a tal punto da diventare quasi elitari, nel senso che non hanno la capacit? di creare coivolgimento attivo.

Le realt? cittadine come Orvieto, stanno affrontando una crisi identitaria, troppi piccoli per aspirare ad un?offerta variegata quale pu? essere quella di una metropoli, ma grandi a tal punto da soffrire la frustrazione legata ad una mancanza di crescita ulteriore, che si amplifica dal confronto con l?offerta reperibile in citt? prossime, come, in questo caso Roma; ? la sindrome della periferia. Disorientamento, questo il sentimento diffuso che ne deriva: disorientamento nell?agire e nel proporre, a cui si aggiunge l?arrocamento su posizioni a volte intransigenti.

Mi sconcerta l?idea che dopo una certa ora, il sabato sera, si debba smettere di suonare in pubblico per evitare le proteste da parte dei residenti ( queste sono le regole, certo), mi sconcerta ancora di pi? la notizia recente della proibizione del biliardino all?aperto dopo le 10.30 di sera?

Orvieto ? una citt? che ha deciso di fermarsi, di dormire sonni tranquilli, che si ? adeguata al limbo della mancanza di propositivit?. Orvieto ? una citt? da cui ? pi? semplice scappare anzich? fermarsi per cercare di cambiare le cose, perch? le cose non cambiano.

?Che vuoi farci, questo ? quello che abbiamo? questa frase l?avr? sentita milioni di volte da quando vivo qui, l?ho sentita pronunciare da miei coetanei e da ragazzi anche molto pi? giovani.

Orvieto ? una citt? che non si interroga, probabilmente per mancanza di coraggio.

Due suicidi in due settimane. Lo scalpore a ridosso dell?evento, e subito dopo il silenzio. Silenzio perch? certi argomenti sono bollati come tab? sociali, perch? ? meglio non parlarne, in pubblico, ? meglio limitarsi alle congetture private per poi lasciar cadere la cosa? fisiologico, ? ovvio, la vita continua comunque. Ma, continua in che modo? Continua senza aver preso coscienza dell?esistenza di un problema e della sua realt? tangibile.

Non ci sono ricette specifiche non esistono antidoti per far s? che gesti simili non si ripetano mai pi?, ma fermarsi per capire, gi? di per se, potrebbe rappresentare un tentativo di ricerca, di autoanalisi e forse di autocritica. Perch? solo da una critica severa, e qui faccio riferimento all?etimologia del termine ?critica?, ? auspicabile un miglioramento. La ricostruzione, dunque la continuit? vitale, ? possibile solo a partire dalle macerie accumulate a cui, per?, sia stato applicato un ulteriore criterio di stabilit?.

Nel caso contrario, il rischio che si corre ? di continuare a vivere fra le macerie pensando, invece, di essere circondati da solide mura.

Pubblicato il: 09/07/2007

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