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Ricordo di Vindicio Bonagura. Un giudice militare poco giudice e poco militare

Fausto Cerulli

Un giudice militare poco giudice e poco militare: un altro amico che se ne va, modestamente e serenamente. Come era vissuto. Eppure era un cittadino orvietano che si era fatto strada. E che strada. Giovanissimo era entrato nella magistratura militare ed era giunto ai vertici. Da anni, ormai, era Procuratore Generale della Giustizia Militare presso la Cassazione. Il massimo grado di una carriera di giudice. Odio queste maiuscole, ma mi stento di utilizzarle per Vindicio Bonagura, per significare l??importanza della sua carica e metterla a confronto con il suo modo leggero di portarla. Lo conoscevo dai tempi del Liceo, lui era pi? giovane e lo conoscevamo come il figlio del Preside. Gi?, il Preside Bonagura. Una figura particolare, a suo modo indimenticabile. Entrava nelle classi all?improvviso, mettendo in soggezione anche i professori, timorosi di una sua fulminante battuta in dialetto napoletano. Benigni. Vindicio era molto diverso dal padre, era riservato per quanto il padre era sempre alla ribalta di se stesso. Non ricordo adesso se Vindicio sia stato uno studente brillante: ? certo che faceva il suo dovere, che non faceva affidamento al fatto di essere figlio del Preside; anche perch? suo padre, per come lo ricordo, lo avrebbe preso a calci se solo avesse pensato che suo figlio potesse sentirsi raccomandato per motivi di famiglia. Di Vindicio ricordo adesso certe serate passate sugli scalini del Duomo; cominciavamo con il parlare dei nostri comuni studi di diritto. Poi passavamo, in maniera inevitabile a quei tempi, a parlare di politica. Il Preside era uomo di destra,

mi pare che sia stato anche consigliere comunale per quello che allora era il MSI. Vindicio no; non era neppure di sinistra, se aveva un senso essere di sinistra; ricordo che per qualche tempo fu vicino alle idee di Pannella, senza per? apprezzarne le gigionerie, da persona riservata quale era lui,

Vindicio, In ogni modo mi piaceva parlare con lui; ricordo ancora la sua voce pacata, il suo idioma in cui il napoletano, cos? caro al padre, si era stemperato, senza perderne la musicalit?. Seguivo la carriera di Vindicio dall?esterno, lui non ne parlava mai, lui non si vantava, almeno con me; perch? sapeva forse che lo avrei preso in giro se mi avesse parlato di una carriera in ambiente militare. Poi cominciai a frequentare, da avvocato, anche la giustizia militare; e sentivo che i giudici citavano il suo nome con soggezione e rispetto. Capii che Vindicio, in quell?ambiente, era ?uno che conta?

Ci incontravamo spesso sul treno per Roma, io avvocato pendolare, lui pendolare giudice. Poi, una mattina, mi scapp? detto che dovevo andare al Tribunale Militare e lui mi disse che faceva la stessa strada. Alla stazione lo aspettava un?automobile di servizio, con tanto di autista in divisa e deferente. Quando arrivammo alla sede della Giustizia Militare, i soldati di guardia lo salutarono militarmente. Poi uno di loro gli apr? la portiera dicendogli buon giorno Eccellenza. Scendemmo insieme dall?automobile ed io gli dissi scherzando che adesso, essendo stato visto con lui avrei vinto

tutte le cause.  Non ne sarei troppo sicuro, mi disse con il suo sorriso indimenticabile, ironico e pessimista, in fondo in fondo napoletano.

Poi seppi che era un Procuratore scomodo; fu lui, insieme a qualche altro giudice coraggioso, ad aprire il famoso armadio della vergogna: quello in cui, per finta e precisa dimenticanza, erano stati tenuti nascosti fascicoli scottanti su militari nazisti e su militari italiani collegati con essi. Non so che fine abbiano fatto quei fascicoli polverosi; magari si staranno coprendo nuovamente di polvere; ma non credo che Vindicio sia stato contento di ci?.

Ricordo un ultimo episodio in cui la modestia e l?assoluta assenza di formalismo mi resero pi? vicino e pi? amico Vindicio.

Un dibattito pubblico per la presentazione di un libro di un giudice informale e scomodo come Vindicio. Gherardo Colombo, se ben ricordo ;Vindicio era seduto con me in quarta o quinta fila.

In prima fila tutte le Autorit? Autoritarie, quelle con quattro maiuscole.

Venne qualcuno degli organizzatori a dire  che, ovviamente in prima fila un posto era riservato a lui, a Sua Eccellenza. Vindicio gli disse che preferiva restare con me, lo disse con la sua consueta bonariet?; ma nel suo tono c?era tutta l?ironia napoletana di uno che se ne strafotte delle Eccellenze. Ricordo che le Autorit? si girarono a salutarlo ossequiosi: ma si capiva che non gradivano che una Eccellenza non si sentisse Eccellente.

Pubblicato il: 23/03/2007

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