I piccioni della Piave

di Antonio Barberani

Passando sotto il Casermone, salta agli occhi che, forse approfittando delle troppe vetrate rotte, incominciano a farla da padrone I PICCIONI. Non ? una gran novit?, se non per il fatto che contribuiscono pesantemente ad avviare quella costruzione alla dignit? archeologica di rudere. Sono passati gi? molti, troppi anni da quando il nostro Comune ha riacquisito la propriet? della ex Caserma Piave. Si sono, da allora, accese immediatamente le speranze di riscatto di una citt?, di un intero territorio prigioniero del sottosviluppo legato al controllo della politica e al 'collateralismo' imprenditoriale diffuso. Oggi, il Casermone ? da tempo oggetto di propaganda, vedi le squallide pagine del Sole 24 ore, o set di scomode manifestazioni allestite per dimostrare che ancora esiste. Comincia a farsi spazio tra i cittadini la convinzione che forse le scelte non sono state giuste (vedi RPO), che non si hanno le idee chiare, che non ci sono competenze all'altezza di questa risorsa. Intanto i piccioni minacciano di fare come Gli Uccelli di Hitchcock: tentano di demarcare un territorio da troppi rivendicato e, di fatto, fino ad oggi, solo luogo di patetiche e improduttive ripicche politiche. Proviamo, ancora una volta, a ricordare, di corsa, cosa ? avvenuto ad Orvieto negli ultimi decenni. Il Centro Storico, luogo residenziale per lo pi? borghese, e, di conseguenza, insignificante serbatoio di voti per la sinistra, qualche decennio fa veniva progressivamente svuotato di senso, letteralmente abbandonato. Via le scuole, via gli uffici, via i negozi, via l'Ospedale, via i residenti. Veniva favorita la nascita di nuovi quartieri periferici, vagheggiato luogo del comunismo realizzato, se non, pi? spesso, o insieme, di speculazioni forsennate. Questi nuovi quartieri monotematici erano (sono), in sostanza, enormi dormitori, svuotati, nonostante ridicoli sforzi, di ogni altra funzione. La CITTA' cos? concepita non ha retto, in quanto non poteva che produrre separatezza, marginalit?: il Centro Storico 'luogo' di anziani, le periferie per le coppie e i pi? giovani. Nonostante i ponti, i laghetti, i monumenti, "Orvieto su" ? rimasta una cosa, gli "altri quartieri" un'altra, e non ? sufficiente qualche affollata passeggiata slow per restituire una identit? complessiva. In questo senso, la ex Piave, ma non solo, tutta l'area che va da Piazza Cahen alla ex Smef, comprendendo le Carceri, la Caserma dei Carabinieri, il campo di Via Roma, ? una occasione unica anche per ritrovare la "citt? perduta", nella quale ricostruire possibilit? abitative, occasioni di lavoro e di divertimento. Una citt? polifunzionale secondo le tendenze pi? aperte e moderne, dove tutto pu? convivere, ponendo un argine all'espansione periferica selvaggia. Vanno date risposte alle esigenze di Orvieto - ripopolamento, sviluppo, identit? culturale - attraverso l'urbanistica e l'architettura: non ? questo il ruolo della politica? In questa citt? va completamente cambiato il progetto sociale, e per questo non bastano n? buone intenzioni, n? furbate di facciata. Il grande architetto Norman Foster, incaricato a Milano di ripensare una grande area industriale dismessa (guarda caso), sta realizzando la "citt? nella citt?", seguendo le pi? moderne teorie urbanistiche che raccomandano di non produrre periferie, ma di riqualificare la citt? esistente, non avendo paura di inserire nuova architettura tra gli edifici storici. In definitiva: trasformare senza pi? espandersi. In questo senso ho sempre creduto che la strada giusta per quella grande porzione di citt? dove insiste il Casermone, fosse il 'concorso internazionale di idee'. Oggi, in tutto il mondo, oltre al dramma dello squallore dei quartieri periferici, esiste il problema delle aree urbane dismesse e viene affrontato senza complessi o tic pseudoconservativi: si 'rottama' e basta, cio? si demolisce. Lo sta facendo anche Veltroni a Roma, che sta radendo al suolo, zitto zitto, alcune spettrali costruzioni-dormitorio, pessimo esempio di architettura socialista. L'occasione delle Caserme, o meglio, di quell'area urbana, va colta al volo, nella consapevolezza che la nostra citt? pu? anche raccontare una storia diversa dalla sola storia di 'citt? d'arte'. Un grande progetto urbanistico pu? ridare speranze concrete all'intero territorio, considerando che riprogettare ex novo consentirebbe di utilizzare l'architettura per migliorare tangibilmente la qualit? della vita, dando indicazioni concrete pure su alcune compatibilit? oggi ineludibili: la parte energetica, ad esempio, o quella verde. Senza per? dimenticare quello che afferma il troppo citato Arch. Fuksas:" la vitalit? di un insediamento urbanistico non ? data dalla quantit? di alberi, ma dai bambini che ci nascono". E' certamente un' idea ambiziosa, sconvolgente per certi aspetti. Forse per questo non si far?, nonostante qualche timido cenno di resipiscenza. Certamente ? L'ULTIMO TRENO per Orvieto. Non c'? pi? spazio per gli indugi della politica, le spallate tra fazioni, le speculazioni mascherate da sviluppo. Non c'? pi? spazio per questa sospetta, asfissiante presenza pubblica nell'economia. Prendiamo a modello chi ? gi? intervenuto in simili questioni. A Bilbao, quando chiusero le acciaierie, lasciando un enorme spazio urbano inutilizzato, l'urbanistica e l'architettura sono stati il fattore principale della qualit? del cambiamento: oggi vi sono oltre un milione di visitatori all'anno che vanno a vedere quei contenitori prima ancora dei contenuti!La vecchia Fiera di Milano ? stata venduta al migliore offerente che ha presentato il pi? convincente progetto urbanistico, secondo il giudizio di una commissione internazionale. La cordata CityLife(con a capofila Generali Properties) ha vinto e si ? aggiudicata l'area, utilizzando la tecnica del 'Project Financing', che rende possibile il finanziamento di iniziative economiche sulla base della valenza dei progetti. Anche le Caserme si potrebbero cos? 'cartolarizzare' (cio? vendere) e destinare l'enorme ricavato ad un altro grande investimento da programmare per favorire lo sviluppo economico del nostro territorio. Sarebbe la rivoluzione!L'importante ? darsi come orizzonte la modernizzazione e lo sviluppo della citt?, piuttosto che gli 'affaretti', il consenso, le supremazie interne. Non si possono soltanto produrre degustazioni e mascherate medioevali!Orvieto ce la pu? ancora fare, a patto che i nostri amministratori la smettano con le diffidenze ed i tentennamenti. Per adesso ? serio dubitare dei 'comitati' e delle partecipazioni fasulle che fanno perdere altro tempo. Bisogna ormai andare dritti al problema, coinvolgendo vere competenze in campo culturale, economico e urbanistico. Ce ne sono molte, in Italia e all'Estero, basta uscire dalla cerchia di "quelli che capiscono", sempre i soliti, sempre inutili.